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CELEBRAZIONE NELLA CHIESA PARROCCHIALE DI S. FILIPPO IN EUROSIA

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica seconda di Quaresima, 19 febbraio 1967

 

Il Santo Padre inizia il suo dire rievocando, con animo commosso, gli alti motivi di questa visita alla parrocchia di S. Filippo in Eurosia.

Anzitutto la memoria di San Filippo Neri, compatrono di Roma che, nel secolo XVI, con la iniziativa della visita alle Sette Chiese - un itinerario lungo circa venti chilometri e compiuto in un solo giorno - si soffermava qui con le comitive da lui guidate, per breve riposo, nel lungo e polveroso tratto da San Paolo a San Sebastiano.

ATTIVI SACERDOTI DELL’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI

L’esempio del grande apostolo dell’Urbe fu seguito dai suoi figli spirituali; e due sacerdoti dell’Oratorio sono particolarmente benemeriti : il Padre Generoso Calenzio, che, nel secolo scorso, seppe porre in nuovo valore l’interessamento per le zone archeologiche e, soprattutto, della chiesetta di Sant’Eurosia; e il carissimo Padre Paolo Caresana, già parroco alla Chiesa Nuova, ormai un po’ anziano, ma sempre vigoroso di spirito e di fervore. A lui si deve il merito di aver iniziato studi e concreti lavori per la nuova parrocchia. Il Santo Padre, perciò, dopo aver salutato il Signor Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari e l’altro Vescovo presente, l’oratoriano Monsignor Carlo Manziana, Vescovo di Crema, stimato condiscepolo e amico, tributa particolare elogio al Padre Caresana, con il ringraziamento e con l’augurio che possa trarre ancora nuovi gaudi da questo centro benedetto. Egli inoltre si dice onorato e felice di aver potuto favorire e incoraggiare a suo tempo, essendo alla Segreteria di Stato, il sorgere della nuova Parrocchia e del nuovo Istituto.

Al realizzatore dell’opera, Padre Caresana, vanno associati, in gratitudine perenne, i più attivi benefattori, a cominciare dal compianto Monsignor Giovanni Carroll e dai Signori Streicht e Bradley, che concorsero generosamente sia per la costruzione della chiesa, sia per il sorgere della casa di studi intitolata al Cardinale Baronio.

Dopo questa premessa, il saluto alla popolazione della parrocchia. Poiché in essa la maggioranza è composta di impiegati dello Stato, Paolo VI tiene a menzionare questa categoria di bravi e solerti servitori della comunità nazionale, con l’augurio che essi abbiano sempre più ad onorare il Paese con la loro opera animata da onestà, precisione, competenza, spirito di sacrificio, e dall’amore per i fratelli.

IL RADIOSO AVVENIMENTO SUL TABOR

Con loro il Papa intende salutare le singole famiglie e particolarmente i giovani: quelli di S. Filippo in Eurosia hanno uno speciale titolo, nei luminosi insegnamenti ed esempi dell’insigne Fondatore della Congregazione dell’Oratorio, ad essere di modello, nella cristiana educazione e nel cristiano impegno, per i coetanei delle altre parrocchie.

Ed ora il Santo Padre entra nel vivo della Esortazione ai fedeli.

Gli araldi del Vangelo - Egli dice - i Vescovi e, primo fra essi, il Papa, hanno l’obbligo di annunciare e diffondere la parola di Dio, spiegarla e commentarla.

Rimeditiamo insieme, con attento animo, il brano di San Matteo testé presentatoci dalla Liturgia. È il racconto della Trasfigurazione del Signore. Una pagina della storia di Cristo, tra le più belle, splendide e misteriose.

Gesù, di notte, su di una montagna, all’aria aperta, forse durante la primavera, con tre suoi Discepoli: Pietro, Giovanni e Giacomo. Mentre questi, stanchi per l’ascesa, sostano a riposare sull’erba, Gesù si allontana alquanto per attendere alla preghiera, come sempre faceva durante le ore notturne: «Erat pernoctans in oratione Dei», ci ricorda San Luca.

Nel buio profondo, a un certo punto i tre dormienti sono destati da un abbagliante guizzo di luce. Ed ecco che, trasecolati, vedono Gesù - San Marco dà alcuni particolari - splendente come il sole, mentre le sue vesti sono candide come la neve.

Sole e neve. È la festa della luce. In quel trionfo i discepoli scorgono due eccelse figure dell’Antico Testamento, Mosè ed Elia, a colloquio con Gesù.

San Pietro non resiste alla letizia ed all’entusiasmo. Dopo aver esclamato: Come è bello star qui!, propone di erigere tre tende per un permanente soggiorno dei tre Personaggi.

Ma, contemporaneamente, i tre Apostoli vedono formarsi una nuvola bianca ad avvolgere l’intero quadro beatifico: e dalla nube odono una voce possente esclamare: «Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo».

Pietro, Giovanni e Giacomo rimangono atterriti e non osano più alzare lo sguardo. Qualche momento più tardi si sentono toccare. È ancora e sempre Gesù, ma privo del prodigioso fulgore di poc’anzi; Egli li invita a discendere il monte; e fa loro divieto di raccontare quanto era accaduto finché - altro motivo di stupore per gli Apostoli - il Figlio dell’uomo (era il titolo che Gesù dava a Se stesso) non sia risorto dai morti.

LA PIENA COGNIZIONE DI GESÙ

Si potrebbe scrivere un volume - così l’Augusto Pontefice nel passare dalla esposizione all’insegnamento - per illustrare questo tratto del Vangelo. Ma oggi il Santo Padre intende proporre soltanto qualche tema di più immediata importanza.

Quale problema pone l’episodio della Trasfigurazione? Può essere condensato in una domanda che ciascuno vorrà rivolgere a sé medesimo: Conoscete davvero Gesù? Cioè, avete di Lui una cognizione reale, positiva, concreta?

Sapreste realmente dire chi è? Lo avete presente nelle vostre anime?

C’è il pericolo - data la debolezza della natura umana - di soffermarsi a risposte e titoli giusti sì, ma non sempre completi. Un cristiano, però, deve saper rispondere più e meglio di quanto non risulti da un interesse, da una notizia superficiale.

Intanto: proprio questa domanda percorre tutta la storia evangelica, dal principio alla fine.

SAPIENZA BONTÀ AMORE DEL CRISTO

Chi è Gesù? si chiedono i suoi contemporanei. Varie sono le risposte: il figlio di Maria, il figlio del fabbro, un profeta, il Messia. Tale diversità di appellativi persiste: su di essa si costruisce addirittura un processo: la Passione di Gesù. Nella notte tremenda, dopo la cattura al Getsemani, Caifa, il Sommo Sacerdote, chiede al Cristo se Egli è il Figlio di Dio. Gesù risponde: Si, io lo sono. Più tardi è Pilato a domandargli se è Re: identica risposta affermativa. Di qui la condanna, per cui, sulla Croce, è apposto il cartello con la motivazione della sentenza: Gesù Nazareno, Re dei Giudei.

Dopo così eccezionali e terribili avvenimenti, è logico che i fedeli si chiedano se conoscono Gesù.

Per facilitare la risposta ripensiamo a due ordini di argomenti. Il primo scaturisce da Gesù stesso. In che modo Egli si presenta e si rivelai Va notata una specie di graduatoria. Il Salvatore del mondo ci appare in povertà, nell’umiltà, togliendo intorno a sé ogni apparato, ogni sfarzo e ogni segno della sua Divinità. Volle iniziare la sua vita terrena, di nascosto, introducendosi nell’umanità senza eventi straordinari; ed è vissuto per tanti anni come un povero operaio. Non poteva esservi umiltà più profonda. E chi non accetterà questa presentazione, si scandalizzerà e non comprenderà il resto della vita e della rivelazione di Cristo. Sembrerebbe, dunque, che Egli non voglia fa: notare la sua presenza. Ciò spiega perché tanti gli passano vicino e non ne avvertono il richiamo.

Ora questa rivelazione sensibile, umana, caratterizzata dalla povertà non è sola. Gesù ha dato a tutti la sua presenza, ma ad alcuni, a coloro che l’hanno avvicinato e seguito, ha accordato altre manifestazioni di Sé: la sapienza, la sua parola meravigliosa. Da essa rimangono folgorati - ad esempio - gli inviati dei nemici del Divino Maestro, i quali un giorno volevano farlo catturare. Restano come sgomenti nel sentirlo parlare. Altra volta una donna, dopo averlo ascoltato, alza la propria voce in mezzo alla folla esclamando; Benedetta colei che ti ha generato, perché nessuno ha mai parlato così bene come Tu insegni.

Accanto alla rivelazione della sapienza, quella della potenza: i miracoli. Sono tanti, strepitosi: tutti li abbiamo presenti. Non poteva, certo, un uomo qualsiasi operare simili prodigi.

In una terza maniera, inoltre, e in grado anche superiore: Gesù si rivela. È nella bontà. Chi lo avvicina ha la commozione e il fascino di tale incomparabile bontà. «Venite a me, voi tutti che siete affaticati; e io vi ristorerò». E il perdono ai peccatori, la dilezione per i fanciulli, i poveri, i sofferenti. Ognuno, adesso e sempre, può fare l’esperimento di passare accanto a Gesù e cogliere la sua luce penetrante, nella perfetta conoscenza delle anime. «Sciebat quid esset in homine». Sapeva ciò ch’era dentro nei cuori, e nei cuori effondere la sua bontà.

Finalmente - sempre più si restringe la schiera di coloro che conoscono la superna apparizione - Gesù si rivela pure in ciò che realmente è. Ecco la Trasfigurazione. In lui palpita non soltanto una vita umana, ma la vita divina. «Questo è il mio Figlio diletto» . È il Figlio di Dio fatto Uomo. Proprio tale aspetto diventerà, si direbbe, normale dopo la morte e la risurrezione del Signore. Il Santo Padre insiste, nel rivolgersi ai fedeli ascoltatori: l’avete mai conosciuto il Signore così?

APRIRE L'ANIMA ALLA FEDE E ALLA GRAZIA

Ora dobbiamo esaminare un secondo ordine di elementi che condizionano la nostra conoscenza di Gesù. Essa dipende da una disposizione nostra: quella di aprire gli occhi, il cuore, l’anima. Se andiamo da Lui col cuore chiuso, con gli occhi serrati, con la incredulità pregiudiziale e precostituita, Egli non si mostrerà. Passerà la luce vicino a noi e resteremo ciechi, indifferenti.

Bisogna dunque aprire gli occhi. Tutti devono farlo. Il Redentore non è venuto per una determinata categoria, ad esempio per i sapienti. Si è mostrato al mondo, alla intera umanità: e questa sarebbe, per sé, in grado di cogliere i raggi. del volto divino. La realtà ci dimostra invece che, purtroppo, non omnes: non tutti, come dice San Paolo, «oboediunt Evangelio». Alcuni guardano e non vedono: rimangono estranei e fiacchi dinnanzi alla Rivelazione.

Adunque occorre aprire le nostre menti alla conoscenza di Gesù. Né sembri esagerato questo esplicito invito, poiché non possediamo mai abbastanza siffatta conoscenza. Siamo sempre ignoranti, poiché quello che si può apprendere di Gesù è così grande ed infinito che le nostre povere facoltà, fossimo pure consumati teologi, dovrebbero ritenersi meschine e insufficienti.

Che cosa, allora, dobbiamo fare?

In primo luogo istruirci; aver cara la parola del Signore diffusa nella sacra predicazione, nella catechesi, nei libri adeguati.

LA FINALE TRASFIGURAZIONE

Gesù non si è rivelato tanto per la via degli occhi, quanto per l’ascolto che dobbiamo prestargli. Ce lo ricorda il Vangelo: «Ipsum audite»: Lui dovete ascoltare. E ancorai «Fides ex auditu» : la fede, cioè la misteriosa conoscenza di Gesù, l’avremo con la fortuna di poterlo ascoltare.

Di conseguenza non solo bisogna essere bravi ascoltatori, ma avidi di apprendere, perché la parola di Gesù è Gesù stesso, è il Verbo di Dio, che viene in maniera intenzionale, misericordiosa, amplissima, alle nostre anime, affinché ivi la sua parola sia ricevuta e divenga norma di vita.

La seconda cosa da compiere è amare Gesù. Chi lo ama, lo conoscerà nella maniera più valida. Egli stesso l’ha asserito: «Qui diligit me, diligetur a Patre meo; et ego diligam eum et manifestabo ei meipsum». Se qualcuno mi ama, io mi aprirò a lui, mi farò conoscere da lui. Sono le esperienze spirituali, che, sovente, hanno una certezza ben maggiore dei sillogismi del nostro ragionamento. Ebbene, a tutte le anime questo dono è largito; quanti desiderano realmente essere con Cristo potranno possederlo.

Allora, ecco il voto del Papa ai figliuoli carissimi; e qui siamo non tanto nell’annuncio quanto nell’augurio: tutti possano, un giorno, vedere il Salvatore nostro nella sua pienezza di vita, nella sua umanità, ch’è uguale alla nostra, nella sua Divinità che gli viene dal Padre. Il Dio vivente noi vedremo in Lui. Sarà, quell’incontro beato, quella trasfigurazione finale, la nostra gloria e felicità eterna: il nostro Paradiso. E così sia!

                                                  



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