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INAUGURAZIONE DELLA CHIESA PARROCCHIALE DI S. GREGORIO BARBARIGO

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 9 ottobre 1971

 

Il primo pensiero a Dio! Varcando le soglie di questo nuovo edificio sacro il senso religioso ci invade e ridesta in Noi l’avvertenza della presenza divina, la quale è dappertutto, così che ci dovrebbe sempre e in ogni luogo parlare e ci dovrebbe trovare intenti a scoprirla nel linguaggio e nella trasparenza di qualsiasi cosa che ci circonda: nulla è profano nella creazione. Tutto postula una ascensione dello spirito umano, se intelligente e se consapevole che ogni spazio, ogni tempo, ogni essere è voce che parte dal mistero divino. Ce lo ricorda la parola stessa di Gesù nel colloquio con la Samaritana, scelto come lettura evangelica di questa Messa: gli adoratori veri del Padre celeste lo dovranno adorare, non vincolati a condizioni esteriori e locali, ma in spirito e verità. Grande lezione evangelica per tutta l’umanità attenta al messaggio della creazione e credente nel messaggio della rivelazione che ci autorizza alla conversazione trascendente con l’ineffabile Iddio mediante il nome umanissimo di Padre. Ma questo non toglie che per svolgere questa estasiante conversazione, questo colloquio specificamente religioso gli uomini abbiano pur bisogno di trovarsi insieme in un luogo che diventa sacro, e d’avere per la loro imperizia al linguaggio religioso e per la loro impotenza, al contatto con i divini misteri, la Parola e i Sacramenti, un ministero autorizzato e fornito di prodigiosi carismi, il Sacerdote cioè il Parroco responsabile; ed ora ecco la «Chiesa», luogo ed assemblea insieme, la Chiesa locale, la Parrocchia.

Ed ecco anche questa Parrocchia!

LA STORIA DEL NUOVO EDIFICIO PARROCCHIALE

Questo sacro edificio, che oggi abbiamo la fortuna d’inaugurare, ha già una storia; la storia delle ragioni donde ha avuto origine. Come ognuno sa, esso è stato voluto e poi costruito per celebrare l’ottantesimo genetliaco del venerato Nostro Predecessore, il Papa Giovanni XXIII: egli era nato il 25 novembre 1881; e fu precisamente dieci anni fa, nel 1961, quando per tributare a lui, giunto alla bella, ma declinante età degli uomini più longevi, come dice il Salmo (Cfr. Ps. 89, 10), un omaggio di devozione e di affezione, che fosse a lui gradito, che rispondesse a scopo utile e religioso, e che perpetuasse nel tempo futuro la cara e paterna memoria di lui, si stabilì di erigere in questa sua ed ora Nostra diocesi di Roma, a cui le innumerevoli e monumentali chiese dei secoli passati non bastano per il servizio pastorale dei nuovi e moderni quartieri, una nuova chiesa parrocchiale; ed è questa, alla quale Papa Giovanni prescrisse il nome del Santo a cui dedicarla, quello di San Gregorio Barbarigo, ed alla costruzione della quale tutta la cattolicità volle concorrere con le offerte, che qui sono diventate le strutture della nuova casa di Dio e della locale comunità dei fedeli, la quale questa sera qui tutti ci accoglie. E proprio perché questo complesso edificio è dovuto alla generosità, non solo romana, ma mondiale dei cattolici, l’invito ad assistere a questa cerimonia di apertura è stato esteso ai Vescovi presenti al Sinodo, quasi in riconoscimento della liberalità manifestata dall’intera Famiglia cattolica in quella occasione allo scopo, che ora vediamo finalmente e felicemente raggiunto.

Perciò l’assemblea, che qui ora ci riunisce, merita da parte Nostra, quali umili successori e quasi interpreti del sempre compianto Papa Giovanni, un particolare e riconoscente saluto. Lasciate che Noi espressamente a voi di cuore lo rivolgiamo:

- al Nostro Vicario Generale per la diocesi di Roma, il Cardinale Angelo Dell’Acqua, collaboratore e confidente dapprima, esecutore poi del voto manifestato da Papa Giovanni in ordine a questa impresa memoriale; e con lui, lo rivolgiamo ai suoi Collaboratori della Pontificia Opera per le nuove chiese in Roma;

- a voi tutti, Signori Cardinali e venerati Fratelli nell’Episcopato, qui presenti, esperti tutti certamente della commozione propria dell’animo d’un Pastore quando vede compiuta un’opera come questa; possa codesta partecipazione al Nostro gaudio spirituale meritare anche a voi e alle vostre lontane e gravate Diocesi simile soddisfazione per il bene delle vostre popolazioni;

- lo rivolgiamo il Nostro riconoscente saluto al Signor Ingegnere Raffaele Girotti, Presidente del Comitato parrocchiale promotore di questa costruzione: abbiamo testé ascoltato le sue nobili parole, eco dei suoi alti sentimenti e di quelli di quanti con lui hanno contribuito al felice esito del difficile lavoro; e Noi lo ringraziamo in modo particolare perché sappiamo quanto egli sia sovraccarico d’impegni professionali, e perciò quanto significativa sia l’adesione ad attività, come codesta, rivolta al bene spirituale di questo quartiere; ci sembra il suo esempio un lieto presagio per la vita religiosa di tutto il ceto sociale del quartiere stesso;

- con lui vorremmo ricordare il compianto Architetto Giuseppe Vaccaro, recentemente deceduto, al quale si deve lo studio architettonico della nuova costruzione, obbligata a inserirsi armonicamente nelle esigenze edilizie e prospettive circostanti; così vada il Nostro saluto al costruttore Carlo Pessina e a tutte le valorose maestranze.

Non possiamo omettere in questa rapida rassegna dei protagonisti della nuova costruzione le Autorità del Comune di Roma, tanto comprensive e premurose, e la Società Stefer, che ha ospitato in un suo deposito la nascente Parrocchia.

Ma poi il Nostro saluto si rivolge al Parroco, il bravo e zelante Don Bruno Greggio, di Padova; e vada alla Diocesi che a quella di Roma lo ha ceduto un particolare ringraziamento; e vada questo Nostro benedicente saluto a quanti, Sacerdoti, Religiosi e Religiose, prestano aiuto al Parroco nel ministero parrocchiale: così pure, e di gran cuore, ai Fedeli, alle loro singole Famiglie, ai Giovani specialmente, che s’interessano della costruzione spirituale della comunità incentrata nella nuova chiesa di S. Gregorio Barbarigo.

PER L'EDIFICAZIONE DELLA VERA CHIESA

Perché questo, alla fine, è lo scopo principale della costruzione materiale, che stiamo inaugurando: la costruzione spirituale. A nulla varrebbe l’aver speso cure, denaro, fatiche, per edificare queste mura, questa «chiesa», se essa rimanesse vuota, o se essa non servisse a edificare la vera «Chiesa», quella dei credenti in Dio, quella dei viventi per Cristo nello Spirito di grazia e di carità, e che formano la comunità locale, orante ed operante, espressione genuina e viva della Chiesa universale, corpo visibile e mistico di Cristo Signore.

La cosa è così ovvia che sembra superfluo dedicarvi un discorso. Eppure no: essa è tanto importante, e sotto molti aspetti, tanto difficile, - più difficile, «in genere suo» - che la stessa impresa edilizia ora a Noi d’intorno, che non vogliamo trascurare l’occasione per farvi un accenno.

Ricordate le parole di Gesù: «Io costruirò la mia Chiesa»? (Matth. 16, 18) Che cosa intendeva dire il Signore con questa immagine edilizia? e che cosa significa sulle labbra di Cristo la parola «Chiesa»? Lo sappiamo tutti. Gesù pensava ad una convocazione organica dell’umanità; pensava a istituire una comunità in continua formazione; pensava all’aspetto collettivo e unitario della salvezza, sempre in divenire nella storia; pensava alla composizione d’una società, voluta e promossa da lui stesso: «Io costruirò»; ma sopra di Sé, Pietra viva, Pietra d’angolo (Matth. 21, 42), sostegno d’un fondamento umano, qualificato, da Lui stesso chiamato Pietro, e sopra il quale si sovrapponessero altre «pietre vive», come scrive S. Pietro stesso (1 Petr. 2, 5-7), che sono i cristiani, sono i fedeli; i quali, assecondando l’opera degli Apostoli, costruiscono essi pure il mistico edificio, costruiscono la Chiesa. Vale a dire: la Chiesa- corpo vivo, casa animata di Cristo, è sempre in costruzione; tocca a noi a innalzare l’edificio, che nella storia documenta la presenza del Signore e riunisce in un disegno visibile e spirituale insieme il Popolo di Dio chiamato alla fede e alla salvezza.

Ripetiamo a voi, fedeli di questa recente Parrocchia: tocca ora a voi farne una vera, viva e bella costruzione spirituale. Noi non ignoriamo che questo programma non trova facile predisposizione nella gente d’oggi; lo spirito associativo, talvolta anche nelle popolazioni che praticano la religione, non è fiorente; molti preferiscono. proprio a riguardo dei propri sentimenti religiosi, non manifestarli in pubblico; molti non amano avere vincoli comunitari; molti non sentono più, come era un tempo, l’onore e la forza d’appartenere ad un’organizzazione, e molti rifuggono d’essere classificati e tanto meno mescolati fra la folla eterogenea per motivi spirituali. L’urbanesimo moderno poi ha abituato la massa a vivere nella stessa città, nella stessa via, nella stessa casa spesso senza nemmeno che gli individui si conoscano; così, cittadini e colleghi in un medesimo complesso sociale facilmente si rimane anonimi ed estranei gli uni agli altri; spesso questo abitare insieme non forma conoscenze, non forma amicizie, non forma popolo. Non è così della Chiesa: essa rispetta e tutela la libertà e la personalità di ogni suo membro e non obbliga alcuno ad assumere rapporti sociali facoltativi; ma essa, di natura sua, tende a diffondere fra quanti la compongono un’atmosfera di solidarietà e di simpatia, ad armonizzare animi e voci in una medesima preghiera, a fare dei fratelli, a fare d’ogni singola Famiglia un nido di amore, di fedeltà e di pietà, a fare un Popolo; un Popolo di Dio, a cui la stessa fede, la stessa speranza, la stessa carità lasciano pregustare qualche cosa del gaudio dell’unità escatologica, cioè quello pieno e perfetto della comunione dei Santi finale.

L’INSEGNAMENTO DI PAPA GIOVANNI XXIII

Del resto questo fenomeno, chiamiamolo così, non è poi cos? ostico come qualcuno potrebbe credere: non si catalizzano forse oggi con facilità gruppi giovanili spontanei, in ordine a qualche formula culturale o spirituale? E se la formula si integra con uno scopo di carità sociale non è già trovato il cemento per una fusione comunitaria più stabile e più interiore? Ovvero, se un atto di culto, che esiga un esercizio ascetico di fedeltà e una certa intensità di raccoglimento e di preghiera, riunisce qui qualche persona franca e fervorosa, non trova subito seguaci che formano cenacolo? Ci è giunta notizia che questa vostra Parrocchia si distingue per un culto speciale all’Eucaristia, e alla Madonna: che cosa di meglio si può desiderare affinché essa, la vostra Parrocchia, si sviluppi in ricchezza di vita comunitaria e di fervore religioso?

Noi pensiamo, se così è e se così sarà, che Papa Giovanni ne sarà veramente onorato, e nel cielo felice, e prodigo per voi della sua caratteristica benevolenza. Perché, dedicando questo centro parrocchiale a San Gregorio Barbarigo, Egli, quasi definendo se stesso, ha indicato quale tipo di comunità cattolica Egli abbia auspicato: fu il Barbarigo, come sicuramente vi sarà stato detto e ripetuto, un Vescovo a lui caro, tanto che lo volle canonizzare non solo perché questi esercitò il suo ministero prima a Bergamo, patria di Papa Roncalli, e poi lungamente a Padova, ma perché fu un Santo di virtù pastorali, che proprio vuol dire virtù comunitarie e popolari, imitatore così d’un altro grande Pastore d’anime, che caratterizzò un periodo della Chiesa, quello Post-tridentino, San Carlo Borromeo. Figure e formule antiquate? No: esse sono così vicine, da un lato, all’autenticità del Vangelo e della Chiesa, dall’altro così dedite al bene del popolo, al servizio delle sue concrete e storiche necessità, da rimanere «tipiche», esemplari cioè per quel rinnovamento della Chiesa, diciamo di più, della vita morale, culturale, sociale del loro tempo, che noi, sicuri nella perenne vitalità della fede, andiamo cercando per il nostro tempo, sotto il titolo programmatico dell’«aggiornamento», cioè, dell’attualità cristiana, autentica quale il nostro tempo reclama; il cattolicesimo vivo, di cui Barbarigo fu allora magnifico promotore, e Papa Giovanni oggi quasi profeta e maestro.

Ecco: nel nome di questi benedetti protettori e ispiratori, Noi vi esortiamo ad essere davvero buoni parrocchiani, qui dov’è per voi offerto nella classica e imperitura formula parrocchiale (bisognosa d’integrazione, ma sempre necessaria) l’incontro con Dio e l’incontro con i Fratelli. Con la Nostra Apostolica Benedizione.

                                        



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