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FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

OMELIA DI PAOLO VI

Lunedì, 2 febbraio 1976

 

Ed ora venite, figli venerati e carissimi, e portatemi l’offerta simbolica del vostro cero, voi che della vostra vita avete fatto offerta generosa alla Chiesa ed amorosa a Cristo, Sacerdoti e Religiosi consacrati nel sacro celibato; venite voi, Figlie in Cristo devote, che la oblazione della vostra verginità distingue come fiori immacolati nel giardino della comunità cattolica; venite voi fedeli, che della onestà cristiana fate irradiante splendore della vostra sequela sui sentieri del Vangelo. Venite; e date tutti al gesto pio e devoto della consegna del cero benedetto il suo pieno significato, il suo trasfigurante valore: quello dell’ossequio e della obbedienza alla santa Chiesa, quello dell’austerità e della rettitudine del vostro stile morale, personale e comunitario, di vita cristiana, quello soprattutto della virtù della castità, conforme allo stato di vita da voi professato.

Questo significato, questo valore, specialmente della purezza cristiana noi vorremmo che fosse presente nei vostri animi, mentre compite la presente religiosa cerimonia. Perché questo pensiero dovrebbe oggi essere in noi prevalente? Oh! per molte ragioni, una occasionale per prima, relativa alla sua attualità, richiamata alla nostra attenzione dalla recente Dichiarazione della nostra Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, dichiarazione assai importante su certe questioni di etica sessuale e coronata alla fine di una bellissima e sintetica apologia della virtù della castità, «che non si limita, dice la Dichiarazione, ad evitare le colpe indicate; essa implica altresì esigenze positive e più alte. È una virtù che dà una impronta a tutta la personalità, nel suo comportamento sia interiore, che esteriore» (SACRAE CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI Declaratio de quibusdam quaestionibus ad sexualem ethicam spectantibus, 11).

Ed è questo aspetto positivo della purezza che noi vorremmo fosse ispiratore del rito che stiamo compiendo, confermando in noi la coscienza della sua necessità, non solo a difesa dalle aberranti opinioni e dalle alienanti debolezze, che oggi la deprezzano, e la dicono, da un lato, impossibile, dall’altro dannosa o superflua (Cfr. S. THOMAE, Summa Theologiae, II-IIæ, 151 ss.), ma ad esaltazione altresì della sua funzione riparatrice del disordine etico-psicologico introdotto nella complessa compagine dell’essere umano dal peccato originale e della sua indispensabile efficacia pedagogica in vista di un autodominio equilibratore e liberatore veramente degno d’uomo nuovo e cristiano. Dovremmo riconoscere la parentela di questa virtù con la fortezza e con la bellezza dell’anima vivificata dallo Spirito Santo (Cfr. S. AMBROSII De Virginitate, 1, 1), ben ammettendo ch’essa oltrepassa, specialmente nella sua espressione perfetta, la comprensione e ancor più l’osservanza da tanta parte degli uomini (Cfr. Matth. 19, 11); ma sempre per concludere ch’essa, la purezza, alimentata dall’ascetica e dalla preghiera, e sostenuta dall’immancabile aiuto divino, è possibile (Cor. 12, 9; Phil. 4, 13; Matth 5, 29; 18, 8-9), è facile anche (SACRAE CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI Declaratio de quibusdam quaestionibus ad sexualem ethicam spectantibus, 11 in fine), e rende felici.

Perché felici? Perché, ha detto il Signore: beati i puri di cuore, perché vedranno Dio! (Matth. 5, 8) Nulla rende più opaco lo sguardo sulle cose spirituali e divine che l’impurità dei pensieri, dei sensi, del corpo (1 Cor. 2, 14); e nulla meglio predispone la nostra anima all’affezione, alla comprensione, alla contemplazione dei misteri religiosi che la purezza. Essa favorisce la trasparenza della nostra preghiera sulle Realtà ineffabili alle quali si rivolge la nostra vocazione cristiana, e specialmente la nostra immolazione celibataria e verginale (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-IIæ, 152, 1; ibid. 2; 153, 5). Essa non spegne la fiamma del cuore; essa è anzi l’atmosfera dell’amore, della carità.

Sì, verso Dio, lo possiamo in qualche modo comprendere: l’anima votata solo a Dio lo cerca, lo serve, lo ama con tutto il cuore; una concentrazione unitaria e tutta convergente sull’infinito Iddio, reso a noi per qualche verso accessibile, si produce nel nostro spirito; una continua ricerca rimane sempre vigilante; ed insieme una inalterabile pace occupa tutto il suo spazio interiore (Cfr. S. TERESA, Cammino di perfezione).

Ma verso il prossimo? Verso la società? Verso l’umanità? Oh, Fratelli, oh, Sorelle in Cristo, voi conoscete questo altro prodigio della castità votata alla carità: essa non solo non chiude le finestre delle nostre celle sul mondo, ma le apre, non per cercarvi quell’incontro pur benedetto dell’amore coniugale, che noi oggi più che mai onoriamo e sappiamo fonte, in Cristo, di grazia sacramentale e programma normale di santificazione, ma per effondersi in carità che si sublima e si dona nel servizio altrui e nel sacrificio di sé, e che rende il celibato e la verginità sorgenti incomparabili di santità evangelica, la quale assicura loro, nell’economia cristiana, il primato nella gerarchia dell’amore. Chi può meglio amare e servire gli uomini di colui che rinunciando ad ogni proprio amore umano offre la propria vita a quel Cristo Gesù, che di ogni fratello bisognoso ha fatto sacramento d’una sua mistica e sociale presenza? (Cfr. Matth. 25, 40; cfr. Bossuet.)

Non è egoismo la castità consacrata, ma immolazione di sé per quel regno di Dio ch’è tutto una celebrazione di carità ecclesiale, cioè positiva e universale.

Così, così, Fratelli e Sorelle in Cristo Signore: portando all’altare i nostri ceri, quasi simboli della nostra purezza offerta alla luce, alla consumazione nel sacrificio di sé, rinnoviamo nei nostri cuori l’impegno della nostra donazione e la fiducia del centuplicato premio che le è da Cristo stesso promesso (Matth. 19, 29; cfr. J. COPPENS, Sacerdoce et Célibat, Louvain 1971; P. FELICI, Beati i puri di cuore, in «L’Osservatore Romano», 1° febbraio 1976).

                                  



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