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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL GRANDE PELLEGRINAGGIO DELLA DIOCESI DI BRESCIA

Sabato, 26 settembre 1970

 

Ecco Brescia! Col suo degnissimo Vescovo, Monsignor Luigi Morstabilini, che guida a Roma il secondo pellegrinaggio - primo fu quello dei Sacerdoti, che lasciò in Noi tanto cara memoria -, composto questo principalmente da Laici, i fedeli Laici della Nostra Diocesi, dalla quale Noi avemmo i natali alla vita naturale e soprannaturale, la prima educazione e l’ordinazione sacerdotale, radici queste che non solo sono sempre presenti nella memoria, ma tuttora operanti e sempre fertili nel Nostro spirito e nel compimento della missione apostolica, che il Signore, non certo dimentico di quanto Egli già a Brescia ci aveva elargito, ci ha voluto affidare per il Nostro ministero, da questa Sede, alla Chiesa di Dio.
A tutti voi perciò, cari concittadini e cari Fratelli e Figli Bresciani, il Nostro cordiale e riconoscente saluto.
E questo saluto vuol essere tanto più vivo e più grato quanto più gentile e più pia è l’intenzione che ha suggerito cotesto Pellegrinaggio; l’intenzione di associare alla Nostra la vostra riconoscenza al Signore per il Sacerdozio a Noi, tanto immeritevoli e manchevoli, conferito, ed esercitato per un così lungo e imprevisto periodo di tempo, per cinquant’anni. Una volta ancora, e non certo è questa la meno propizia ed obbligante, ripensiamo la bontà divina, che si fa evidente nelle vicende della Nostra vita, e ritornano alle Nostre labbra le parole del Salmo: «Venite, ascoltate, e vi racconterò, o voi tutti che temete Iddio, quanto Egli ha fatto per l’anima mia» (Ps. 65, 16).

Ricordare l’elezione, col gioco delle circostanze - la famiglia, l’ambiente, gli studi, le amicizie, la malferma salute, i maestri, il Vescovo - che la favorirono, riflettere su la misteriosa investitura delle potestà sacerdotali di Cristo, ripensare all’assimilazione che l’Ordine sacro fa d’un umile uomo a Lui, il Signore, alla sua missione mediatrice di cui il Sacerdote è reso partecipe, alla stupenda e tremenda responsabilità propria dei «dispensatori dei misteri di Dio», al servizio dovuto da un ministro della Chiesa alla Chiesa stessa, al Popolo di Dio, alle sue varie categorie di persone più degne, come i Confratelli, e più bisognose, come i piccoli, i poveri, gli affamati di giustizia, i sofferenti, gli erranti, i viandanti sul medesimo sentiero della vita, e perciò alle anime che si aprono, alle amicizie che si formano, ed anche agli avversari che si incontrano, rammentare poi le meravigliose esperienze spirituali buone e tristi, le innumerevoli gioie provate, e le non poche sofferenze patite, e riprovare quel senso di comunione con Dio, con Cristo, con i Santi, che specialmente fa parte della psicologia del Sacerdote, e trovare che nella sua vita tutto è dovere, tutto è preghiera, tutto è amore, tutto è grazia, tutto è vigilia ed attesa dell’immancabile rivelazione d’una beata speranza (Tit. 2, 13), oh! tutto questo è grande atto di coscienza, molto bello, molto pieno, molto confortante, che giustifica la celebrazione (che per sé dovrebbe essere interiormente quotidiana) d’un giubileo sacerdotale.

Ed è così che voi oggi volete onorare il Nostro giubileo sacerdotale, che rievocando la memoria della Nostra ordinazione, per le mani benedette e benedicenti del sempre compianto e veneratissimo nostro Vescovo d’allora, Monsignor Giacinto Gaggia, è attestata la parentela spirituale, oltre quella familiare e civile, che sempre ci unisce alla Nostra Città e alla Nostra Diocesi.
Brescia. A dire il vero, ricevendo voi tutti, così numerosi e quasi tutti a me personalmente sconosciuti, pare a Noi che si ripeta la leggenda del dormiente per lunghi anni, il quale, ridestatosi, s’accorge che tutto è cambiato d’intorno a lui, crede di ritrovarsi nella scena di quando il sonno lo prese e si meraviglia di non riconoscere più né le persone, né l’aspetto delle cose da cui si vede circondato; si sente forestiero in casa propria, e avverte l’opera divoratrice e generatrice del tempo. Labuntur anni. Manchiamo da Brescia, si può dire, da cinquant’anni.
La Nostra memoria si è fermata al periodo della giovinezza; e quando avevamo ancora la fortunata occasione di qualche breve soggiorno bresciano, specialmente negli ultimi tempi, ci sembrava spesse volte d’essere come un emigrato che torna in patria, e che vi si sente quasi un estraneo, con un certo interiore rammarico. Accenniamo a questo stato d’animo affinché sappiate che incontrando voi, Bresciani d’oggi, ci rendiamo conto della tentazione che potremmo avere di fermarci solo al rimpianto del passato e di non apprezzare abbastanza il presente della Nostra Città.

No, non saremo i laudatores temporis acti in modo da non comprendere l’espressione storica nuova e originale che Brescia sta assumendo. Anzi, vi possiamo assicurare che Noi faremo sempre conoscenza volentieri con le novità della vita bresciana; educati ad amare il progresso e lo sviluppo del mondo presente, ed ancor più edotti dalla sapienza cristiana circa la Nostra condizione di pellegrini senza riposo verso le mete del bene futuro, Noi saremo lieti di vedere nelle buone novità personali, istituzionali e locali, che formano il quadro della vostra vita attuale, i segni d’una vitalità degna di plauso e d’incoraggiamento.
Ma lasciate che un vostro concittadino di ieri renda omaggio ad uno dei valori più preziosi della vita umana e ai nostri giorni più trascurati: la tradizione, È un patrimonio fecondo, è un’eredità da conservare. Oggi la tendenza delle nuove generazioni è tutta verso il presente, anzi verso il futuro. E sta bene, sempre che questa tendenza non oscuri la visione reale e globale della vita. Perché, per godere del presente e per preparare il futuro, il passato ci può essere utile, e, in certo senso, indispensabile. Il distacco rivoluzionario dal passato non è sempre una liberazione, ma spesso significa il taglio della propria radice. Per progredire realmente, e non decadere, occorre avere il senso storico della nostra esperienza.

Questo è vero perfino nel campo delle cose esteriori, tecnico-scientifiche e politiche, dove la corsa delle trasformazioni è più rapida e impetuosa; e lo è ancora di più nel campo delle realtà umane e specialmente nel campo della cultura. Lo è in quella della religione nostra, che è tutta una tradizione proveniente da Cristo. E Brescia ha un tesoro di tradizioni, recenti e passate, civili e religiose, che non deve andare disperso. Sarebbe ingratitudine non onorare i valori della generazione precedente; sarebbe ignoranza dimenticare quelli delle generazioni passate. La storia locale: al tempo Nostro era pochissimo studiata; non sappiamo se oggi vi si guardi con maggiore attenzione; non sarebbe studio sprecato. L’arte locale, chi la conosce, all’infuori di alcuni celebri cimeli e di alcune notissime espressioni? Le istituzioni sociali, le opere letterarie, la vita civile e religiosa dei nostri padri, quale culto di memoria hanno da noi?
Questo sguardo retrospettivo, che dovrebbe maggiormente interessare la cultura degli studiosi e la formazione del popolo, non vi è da Noi raccomandato soltanto per la vanità del sapere, o per la razionalità dell’operare (oggi tutto ciò che sa di moderazione è oggetto di disprezzo), ma per la ricerca dell’identità propria della vostra definizione locale, sia civile, che religiosa.

Adesso è pur di moda questa ricerca; nel tessuto d’una concezione unitaria si ama cercare il ricamo d’un disegno particolare. Si va rivalutando l’aspetto personale della vita collettiva, il Comune, la Provincia, la Regione, la Chiesa locale; e perciò la lingua, il costume, il carattere, lo spirito. Brescia non avrebbe un suo spirito? un suo profilo morale, che valga la pena d’essere conosciuto e, in ciò che ha di buono e di vivo valorizzato, riespresso, modernizzato? Quali sono le virtù istintive, profonde, migliori della nostra gente, vantare le quali non è ambizione puerile o senile, ma coerenza con la propria personalità di popolo? Se non andiamo errati, si parlava un tempo di franchezza bresciana, di operosità bresciana, di sensibilità sociale bresciana, di religiosità bresciana, e così via. Si parlò un tempo di «stile bresciano». Cioè si voleva riconoscere ai Bresciani autentici un proprio carattere, forte, coraggioso, solidale e sensibile alle esigenze della comunità, reso idoneo all’azione metodica e generosa, al sacrificio, da un sentimento religioso né molle, né antiquato, ma vivo e cosciente, un carattere al tempo stesso molto concreto e molto idealista . . . Esiste certamente ancora questo carattere: lo coltivate? lo vivete?

Noi lo auguriamo. E ricordando la lapidaria iscrizione scolpita, in alto, sulla facciata del Palazzo civico, godiamo ricordare, energicamente riassunti, i tratti essenziali di cotesto carattere nel duplice impegno morale e storico della nostra Città; non è pigro e convenzionale ricorso ad un luogo comune ripeterne qui la notissima citazione: Brixia fidelis fidei et iustitiae sacravit: fedele alla fede, alla sua fede cattolica, alla giustizia, alla giustizia privata, pubblica, sociale, all’onestà dei cittadini e dei costumi. È l’eco del passato, è il programma del presente, è la voce profetica per l’avvenire, cari concittadini bresciani! Fidei et iustitiae: fedeltà alla fede religiosa, e fedeltà alla giustizia civile. Ecco lo spirito di Brescia.
Così sia, con la Nostra Apostolica Benedizione.

                 



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