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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ PAOLO VI
IN ASIA ORIENTALE, OCEANIA E AUSTRALIA

DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI PARTECIPANTI ALLA
CONFERENZA EPISCOPALE PANOCEANICA

Sydney, Australia
Martedì, 1° dicembre 1970

 

Ecc.mi Vescovi,

Noi siamo venuti tra voi non solo per parlarvi, ma anche e specialmente per ascoltarvi. E volentieri vi abbiamo ascoltato, ponendo attenzione alle conclusioni della vostra assemblea. Sarà un grato dovere per Noi ricordare i vostri discorsi e riflettere sulle vostre discussioni e sulle vostre deliberazioni, facendo tesoro per Noi e per la Chiesa intera della vostra esperienza e della vostra sapienza, tanto in ordine alla dottrina, quanto in ordine alla guida pastorale della Chiesa; e perciò Noi ci asteniamo ora dal commentare i temi da voi trattati in questa riunione.

Non vogliamo tuttavia privarci del piacere ed esimerci dal dovere di rivolgervi, in un’occasione tanto singolare e propizia, una fraterna parola, ritornando sul tema dell’unità nella Chiesa e della Chiesa. Questo stesso incontro è una celebrazione sia di questa nota esteriore e distintiva della Chiesa di Cristo, sia della proprietà interiore e misteriosa della medesima Chiesa di Cristo, che Egli, con tutta evidenza e con suprema manifestazione della sua volontà: «ut sint unum» (Io. 17, 11, 21-23), ha fondato nell’unità.

Riflettiamo insieme un momento sull’unità nella Chiesa. Faremo bene a considerare quanto il pensiero teologico si sia interessato di questo tema durante i secoli: dalle indimenticabili e profetiche parole della «Didaché» (Cfr. Didaché IX, 4; X, 5), delle lettere di S. Ignazio d’Antiochia (De catholicae Ecclesiae unitate), al trattato di S. Cipriano (Cfr. Philad. 4; Eph. 20, 2; Smyr. 1, 2; ecc.), al pensiero di S. Ambrogio (Cfr. Eph. 11, 4 ; PL 16, 986), di S. Agostino specialmente, di S. Leone; e ai grandi Teologi medievali (Cfr. S. TH., III, 8) e a quelli del Rinascimento (Cfr. CAIETANO, BELLARMINO, SUAREZ), per venire a quelli moderni (Cfr. J. ADAM MOEHLER specialmente, NEWMAN, SCHEEBEN, PERRONE , CLERISSAC, CONGAR, HAMER, Card. JOURNET nella sua grande sintesi su L’Eglise du Verbe Incarné) e finalmente ai teologi post-conciliari (Fra i tanti: cfr. PHILIPS; ecc.). Non dovremo dimenticare la grande Enciclica Mystici Corporis di Papa Pio XII, e dovremo avere sempre presenti i documenti del Concilio Vaticano secondo, in modo particolare le due Costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes, nelle quali la coscienza dottrinale della Chiesa su se stessa e sulla sua posizione storica e concreta nel mondo contemporaneo si esprime in modo incomparabile.

Noi ci permettiamo ricordarvi questo grande fatto culturale della Chiesa contemporanea per la sua importanza primaria nella vita ecclesiale, e per l’obbligo che deriva a noi Vescovi, testimoni della fede e pastori del Popolo di Dio, di assumere una posizione sicura circa la dottrina riguardante la Chiesa, e specialmente circa l’unità, che deve dare al volto della Chiesa il suo riflesso divino, il segno della sua autenticità, e la sua simbolica esemplarità anche per il mondo contemporaneo, orientato verso una sua unificazione temporale in una pacifica civiltà.

A voi, venerati Fratelli, accogliere questa ovvia raccomandazione, e approfondire uno studio così attraente, così vasto, così complesso, com’è quello su la nostra amatissima Chiesa cattolica, per la quale Cristo versò il suo Sangue (Cfr. Eph. 5, 25).

A noi invece accennare appena a due aspetti di questa intima comunione della Chiesa dentro se stessa.

La prima comunione, la prima unità, è quella della fede.

IL CRISTIANESIMO È FATTO PER TUTTE LE GENTI DELLA TERRA

L’unità nella fede è necessaria e fondamentale, voi lo sapete. Su questa esigenza non possiamo transigere. Per differenti che siano le condizioni soggettive del credente, non possiamo ammettere l’incertezza, il dubbio, l’equivoco circa il sommo dono, che la Rivelazione ci ha fatto, su Dio Padre onnipotente, Creatore d’ogni cosa, Principio immanente di tutto ciò che esiste, Essere trascendente e ineffabile, degno di adorazione e di amore sconfinati da parte di noi, che abbiamo l’indescrivibile fortuna d'essere elevati dal grado di creature a quello di figli. Così non possiamo esitare a riconoscere in Gesù Cristo, il Verbo fatto uomo, il. Maestro delle supreme verità su i destini umani, il Salvatore, sacrificato e risorto, dell’umanità, che riassume in Sé ogni cosa (Cfr. Eph. 1, 10), che mediante la sua Croce attira a Sé tutta l’umanità (Io. 12, 32) e fa degli uomini fedeli un suo unico corpo mistico (Cfr. Eph. 4, 5). Non possiamo dubitare dello Spirito Santo, che vivifica e che dà di Sé testimonianza dentro i nostri cuori (Cfr. Io. 15, 26; 16, 16; Rom. 8, 16; ecc.), e che dà alla Chiesa ministri qualificati per la testimonianza decisiva sulle verità religiose (Cfr. 2 Cor. 10, 5-6). Non possiamo prescindere dal grande fatto, che emana da Cristo, la sua continuazione, il suo Corpo sociale e storico, visibile e mistico, la sua Chiesa, segno e strumento per la salvezza dell’umanità, né dimenticare le parole scultoree di S. Agostino a questo riguardo: «nulla deve tanto temere il cristiano, quanto l’essere separato dal corpo di Cristo» (In Io. Tr. 27, 6 ; PL 35, 1618). In una parola il «Credo», il nostro Credo è per noi inalienabile. È la nostra ricchezza. È la nostra vita.

E con questa sicurezza, per la cui conferma è data a Noi, umili ma autentici successori di Pietro, speciale potestà da Cristo Signore (Luc. 22, 32), noi guardiamo alla realtà umana del cattolicesimo: esso, proprio per sua definizione, è fatto per tutti, per tutte le genti, per tutte le Nazioni, per tutta la terra.

Come potrà il cattolicesimo, così fermo e così geloso della sua unità, abbracciare tutti gli uomini, tanto diversi fra loro? Esige esso forse l’uniformità assoluta in tutte le manifestazioni della vita? Esiste forse una sola maniera pratica e storica d’interpretare la vera ed unica fede di Cristo?

Voi sapete, Fratelli, come sia facile e chiara la risposta a questa conturbante domanda. L’ha data lo stesso Spirito Santo nel giorno della Pentecoste, quando coloro che avevano ricevuto l’effusione del Vento e del Fuoco divino, mandato dal Cristo celeste, parlavano inebriati «ciascuno nella propria lingua (Act. 2, 6), sebbene appartenessero a stirpi diverse». E la risposta è data poi anche dal recente Concilio, ampiamente e ripetutamente, specialmente nell’ormai famoso Decreto Ad gentes, dove l’unità propria del cattolicesimo è messa in armonia con la sua apostolicità, la quale, non solo non soffoca quanto vi è di buono e di originale in ogni forma di cultura umana, ma accoglie, rispetta e valorizza il genio di ogni popolo, e riveste di varietà e di bellezza l’unica veste inconsutile (Io. 19, 23) della Chiesa di Cristo (Cfr. Ps. 44, 10; Ad gentes, 22; ecc.).

I PERICOLI DEL PLURALISMO

Dunque, ognuno può dire, è ammesso un «pluralismo»? Sì; ma bisogna intendersi bene sul significato di questa parola. Esso non deve assolutamente contraddire all’unità sostanziale del cristianesimo (Cfr. Eph. 4, 3-6). Voi conoscete certi pericoli che si nascondono nel pluralismo, quando non si limita alle forme contingenti della vita religiosa, ma presume di autorizzare interpretazioni individuali e arbitrarie del dogma cattolico, ovvero di erigere a criterio di verità la mentalità popolare, o di prescindere nello studio teologico dalla tradizione autentica e dal magistero responsabile della Chiesa.

Il secondo aspetto della comunione cattolica è quello della carità. Voi conoscete quale sovrana importanza abbia la carità in tutto il disegno divino della religione cattolica, e quale particolare riferimento abbia la carità nel tessuto connettivo dell’unità ecclesiale. Noi dobbiamo praticare una carità più cosciente e operosa in ordine agli aspetti ecclesiali, che il Concilio ha messo in rilievo: il Popolo di Dio dev’essere sempre più educato all’amore vicendevole di ogni suo membro; la comunità tutta della Chiesa deve sentirsi mediante la carità in se stessa unita, indivisa, solidale, e perciò distinta (Cfr. 1 Cor. 1, 10; 12, 25-26; 2 Cor. 6, 14-18);  i rapporti gerarchici, quelli pastorali, com’è noto, quelli collegiali, quelli delle diverse funzioni ministeriali, quelli sociali, quelli domestici, tutti devono essere percorsi da una corrente sempre operante di carità, che ha per suoi immediati effetti il servizio (cioè il sacrificio e il dono di sé), e l’unità; la Chiesa è carità, la Chiesa è unità.

Questa è, a noi sembra, la virtù principale, ch’è domandata alla Chiesa cattolica in quest’ora del mondo, tanto agitata spiritualmente, fino a insinuare il timore di grandi e rovinosi rivolgimenti. La Chiesa sarà salda e forte se sarà in se stessa unita nella fede e dalla carità. E molti si domandano che cosa deve fare la Chiesa per avvicinare a sé il mondo ostile e incredulo: l’unità nella fede e nell’amore sarà testimonianza che agirà salutarmente sul mondo, come ci lasciò detto Gesù (Io. 17. 21).

E questo, venerati Fratelli, è il messaggio, che noi, in nome di Cristo, vi lasciamo a memoria di questo incontro: «ut omnes unum sint». Con la Nostra fraterna, Apostolica Benedizione.

     



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