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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL SACRO COLLEGIO E ALLA PRELATURA ROMANA

Martedì, 22 dicembre 1970

 

Signori Cardinali!

L‘orologio del tempo ci riporta a questo incontro, nel quale gli animi si effondono nell’espressione di voti per auspicare un corso ordinato e felice ai giorni venturi del nostro cammino nella vita presente, e, rivolti poi a sguardo più ampio e più alto, intendono implorare dal divino Moderatore dei nostri destini una pienezza di sapienza e di merito, quale sola può dare alle nostre esistenze il loro vero significato ed il loro migliore valore. Ha perciò un senso escatologico, a ben vedere, questo ricorrente momento, del quale a nessuno di noi può sfuggire questa misteriosa intenzione. E ben sappiamo perché: se lo scambio di questi sentimenti augurali cerca la ragione della sua spontaneità e della sua sincerità, esso la trova nel fatto che suo motivo è la celebrazione d’una memoria, d’una grande memoria, quella della natività di Nostro Signore nel mondo or sono, secondo il calendario convenzionale, mille novecento settanta anni fa; così che dal presagio ottimista ed ardente verso il futuro i nostri animi si riportano verso il passato, verso quell’avvenimento illuminante e determinante della storia che fu l’inserzione del Verbo di Dio nell’umanità, donde la Chiesa trasse l’origine, la ragion d’essere, il suo finale traguardo.

Siamo perciò indotti da questa abituale udienza al non facile tentativo, sempre tuttavia tonificante, di porre davanti al nostro spirito il panorama totale del tempo, nel quale la nostra religione trova il suo quadro, anzi l’alveo del suo corso nelle vicende dei secoli; e per non smarrire in così breve momento e nell’ampiezza di tale visione storica il senso del concreto e dell’immediato la nostra riflessione si fissa un istante sul presente, e con insolita attenzione si chiede: qual è per noi, per la Chiesa l’ora presente? Anche ridotta in queste ristrette dimensioni la domanda potrebbe avere risposta esuberante, oltre i limiti d’un colloquio come questo; del resto le parole del Signor Cardinale Decano hanno già accennato ad alcuni fatti ed alcuni aspetti dell’ora presente della Chiesa; e a Noi basterà adesso presentare qualche punto caratteristico di questo momento storico della Chiesa stessa, per trarne poi insieme con voi propositi e voti adeguati all’ora che volge sul quadrante del nostro tempo, in questo fausto e benedetto ricorso della memoria natalizia di Cristo nostro Signore.
Questo incontro tradizionale assume oggi un rilievo particolare a motivo del lungo viaggio che abbiamo compiuto (e nel quale ci hanno accompagnato specialmente, con la sua abituale intrepidezza, il Cardinale Decano, oggi interprete dei voti del Sacro Collegio, e il nuovo Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli).

IL VIAGGIO NELL’ESTREMO ORIENTE E NELL’OCEANIA

Sì, il primo punto, meritevole d’una certa riflessione, è il Nostro viaggio nell’Estremo Oriente. Se ne è tanto parlato dai mezzi di comunicazione sociale, stampa, radio, televisione, che non occorre che Noi ne ripetiamo qui la descrizione; esprimiamo piuttosto il Nostro elogio ed il Nostro ringraziamento a quanti hanno dato esatta e premurosa notizia dell’avvenimento e vi hanno fatto commenti obiettivi, intelligenti e benevoli. Ed anche maggiore riconoscenza dobbiamo manifestare a chi ha reso possibile ed agevole questa spedizione, circondandola di premure e di accoglienze che non possiamo dimenticare, non tanto perché rivolte alla Nostra umile persona, quanto perché si è inteso in essa onorare il ministero che ci è affidato, ed in modo speciale la rappresentanza di quel Signore, al Quale va da Noi per primi l’ossequio della nostra fede e del nostro amore, e perciò, con tale rappresentanza, il segno ed il principio dell’unità e della cattolicità della nostra Chiesa.

È stata in tal modo una celebrazione singolare della Chiesa il Nostro viaggio, una celebrazione, a cui solo la novità ha conferito curioso e pio interesse, senza che alcuna studiata esteriorità ne velasse il semplice e genuino carattere religioso e familiare. Essa si è così inserita senza alcun artificio nella vita, oggi normale, della Chiesa: com’è noto, il Nostro viaggio è stato una risposta ad inviti locali; due principali, quello proveniente dalle Isole Filippine, e quello dall’Australia; entrambi germinati da pressanti richieste delle Gerarchie ecclesiastiche e delle Autorità civili dei due Paesi, alle quali richieste si aggiunsero altre, parimente di fonte ecclesiastica e di fonte statale, a cui ci parve dovere annuire, anche per non perdere l’irrepetibile occasione di dimostrare all’Indonesia e all’Isola di Ceylon il Nostro eguale, deferente interesse. Dovemmo rinunciare, a malincuore, ad altri inviti, per sé ben degni di considerazione, ma il Nostro programma non poteva estendersi oltre certi limiti. Sentiamo ora l’obbligo, in questa solenne circostanza, di rinnovare alle Autorità civili dei vari Paesi da Noi visitati, i Nostri ringraziamenti, i Nostri omaggi ed i Nostri voti per le cortesi accoglienze a Noi riservate nei loro rispettivi territori: non mai dimenticheremo la loro nobile cortesia; il Signore rimeriterà una così provvida e gentile ospitalità.

GLI INCONTRI CON LE CONFERENZE EPISCOPALI

Ma, come dicevamo, le stazioni d’arrivo del Nostro itinerario erano ecclesiastiche; due principali: la riunione dei rappresentanti delle Conferenze Episcopali dell’Asia Orientale a Manila, e quella dei rappresentanti delle Conferenze Episcopali dell’Oceania a Sydney. Noi assistemmo alle conclusioni dell’una e dell’altra riunione, con grande gaudio spirituale e con grande speranza apostolica. Siamo stati felici e edificati di vedere i Pastori di quelle Chiese lontane animati da tanto zelo e da tanta saggezza, tutti variamente impegnati nelle questioni religiose e sociali dei loro rispettivi Paesi; e tutti riuniti in una mirabile unità di fede, di propositi, di pazienza e di speranza. Magnifici quadri di vita ecclesiale. Fra le tante cose, abbiamo inaugurato la Radio-Veritas, a Manila; ivi abbiamo visitato quasi con atto simbolico della carità prioritaria della Chiesa, un quartiere periferico poverissimo, assistito con impavido amore dai Salesiani; a Manila, pieni di commozione, che osiamo qualificare profetica, abbiamo conferito la ordinazione sacerdotale a numerosi Diaconi, provenienti dalle Filippine e dai Paesi dell’Asia Orientale; e a Sydney abbiamo avuto la sorte felice di ordinare Mons. Louis Vangeke, primo Vescovo nativo della nuova Guinea, e Ausiliare dell’Arcivescovo di Port-Moresby.

E ancora gustiamo la tranquilla delizia spirituale della Santa Messa celebrata ad Apia, Isola indipendente delle Samoa, presente il Vescovo indigeno, Mons. Pio Taofinu’u, e la sua comunità cattolica e relativi Missionari e Missionarie, con le Autorità locali e i rappresentanti di altre denominazioni cristiane e d’altre religioni: da quella piccola stazione missionaria, in mezzo all’Oceano Pacifico, parve propizia occasione rivolgere a tutta la Chiesa una speciale esortazione a dare alla causa missionaria nuovo amore e nuovo impulso.
Le vicissitudini presenti non debbono, però, far passare inosservato l’immenso lavoro di evangelizzazione in cui lo Spirito Santo è incessantemente all’opera. Nel Nostro viaggio Noi abbiamo avuto l’esperienza tangibile della cattolicità della Chiesa, «circumdata varietate» e pur sempre una nella fede, e abbiamo personalmente costatato, in un momento in cui l’immenso continente asiatico è travagliato da molteplici fermenti, con quanto impegno la Chiesa di Cristo si adoperi per apportargli il messaggio evangelico.

DIFFICOLTÀ DEL POST-CONCILIO

Noi abbiamo coscienza d’aver compiuto un Nostro dovere: quello di «confermare i nostri Fratelli» (Cfr. Luc. 22, 32) nella loro fatica pastorale, costruttiva della Chiesa e animatrice della società contemporanea; quello d’aver osservato e confortato delle esperienze effettive del criterio di sussidiarietà e di collegialità, che presiedono all’organizzazione ecclesiastica, intensificando ad un tempo la vitalità spirituale propria di quei Popoli lontani, e il senso profondo dell’unità che fa di noi un solo Corpo mistico di Cristo.
Abbiamo così avvertito la gravità di alcune questioni, che dovranno essere meditate con accresciuto senso di responsabilità; e la prima questione è quella che si pone alle antiche cristianità dell’Occidente: sono esse abbastanza consapevoli di quanto le altre cristianità nel mondo, con angoscia e speranza, attendono da loro, in ordine specialmente ai problemi prospettati dalla Nostra Enciclica «Populorum progressio» per uno sviluppo integrale, fino alla fede, e solidale (Populorum progressio, 21), fino alla partecipazione ai beni della moderna civiltà? (Ibid., 49) Questo tema, che si va formulando nel grande quadro della giustizia, a cui il mondo aspira, sarà proposto allo studio della Chiesa in occasione del Sinodo preannunciato per il prossimo anno.

E poi l’altra questione: il movimento di critica corrosiva verso la Chiesa istituzionale e tradizionale, il quale diffonde da non pochi centri intellettuali dell’Occidente (non esclusa l’America) nell’opinione pubblica ecclesiale, giovanile specialmente, una psicologia dissolvitrice delle certezze della fede e disgregatrice della compagine organica della carità ecclesiale, non delude forse i bisogni veri, non deforma forse le aspirazioni buone e generose delle cristianità, che all’occidente ancora riconoscono un credito culturale di maturità e d’autenticità? Noi ci chiediamo talvolta, quando il pensiero di queste espressioni contestatarie in seno alla Chiesa ci pesa sul cuore, quando le statistiche delle volontarie defezioni di non pochi sacerdoti e religiosi ci opprimono di dolorosa meraviglia, quando vediamo nostri giovani Laici di grande promessa per il sostegno del Popolo di Dio e per l’apostolato nel mondo moderno attestarsi su posizioni spirituali e sociali illogiche al disegno di unità e di carità proprio della Chiesa cattolica, ci chiediamo quale sarebbe stato il postconcilio per la Chiesa stessa e per la società se invece di sprecarsi e di inaridirsi, e di paralizzare il rinnovamento auspicato, queste forze si fossero mantenute fedeli ed operose.

Ma la prova, Noi sempre speriamo, non sarà senza frutto, non foss’altro quello di confermare nei buoni, nei nostri ottimi Preti e sinceri Religiosi, nei nostri Laici valorosi ed esemplari, una più salda coscienza del loro impegno con Cristo e una più valida adesione alla Chiesa, non di ieri, non di domani, ma a questa, del nostro momento storico, che la Provvidenza ha fatto nostra «madre e maestra», e oggetto del nostro invitto amore.
Ma osservando l’ora presente della vita della Chiesa la Nostra attenzione è richiamata da un altro avvenimento, che riempie, questo, il Nostro animo di profonda amarezza, e pone davanti a noi nuovi gravi problemi. Si tratta della introduzione del divorzio nella legislazione italiana.

L'ALTISSIMO PRINCIPIO DELL'INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO

L’amarezza è data innanzitutto, come è giusto, dalla considerazione del danno morale che simile innovazione è destinata ad arrecare al popolo italiano. La Chiesa non può, infatti, cessare dal proclamare quell’altissimo principio che, iscritto già nel diritto di natura, è stato confermato e rafforzato, per i cristiani, dalla legge dell’Evangelo, là dove Cristo ammonisce che non può l’uomo osare di separare ciò che Dio stesso ha unito. Né può la Chiesa cessare dal ricordare che l’osservanza di legge così solenne ed elevata è, per l’uomo e in particolare per il cristiano, non solo dovere ma garanzia di bene: il bene, appunto, proveniente dalla tutela che la indissolubilità del vincolo matrimoniale garantisce alla stabilità, alla sicurezza, alla serenità della famiglia, cellula naturale della società umana, e specialmente dei figli.

Ma un’altra considerazione si impone. Ed è che la nuova legge è stata emanata, per quel che riguarda il matrimonio canonico, in aperto contrasto con quanto stabilisce l’articolo 34 del Concordato, nel quale lo Stato Italiano «volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo», si è impegnato a riconoscere «al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili».
E tutto ciò, nonostante che la Santa Sede avesse fatto sentire la propria voce, amichevole, ma chiara e ferma, come la gravità della materia esigeva, rilevando che la proposta disposizione, tendente a render possibile, in forza d’una decisione della magistratura italiana, la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio canonico, avrebbe costituito evidente violazione dell’impegno solennemente assunto dall’Italia nel Concordato. La Santa Sede si era dichiarata pronta, di fronte alla segnalata divergente interpretazione che da parte del Parlamento italiano si riteneva di dovere o poter dare alla ricordata disposizione del Concordato, a procedere «di comune intelligenza» con il Governo italiano, «ad una amichevole soluzione» della invocata difficoltà d’interpretazione, così come l’art. 44 del Concordato medesimo prevede e richiede.
Scambi di documenti e colloqui, con il Governo italiano, vi sono stati: cortesi ed aperti. Ma non può certo dirsi che essi abbiano portato ad una bilaterale soluzione della divergenza. Il che non può non renderci pensosi.

IMPEGNI CONCORDATARI

La Nostra amarezza è poi accresciuta dal fatto che la violazione del Concordato avviene proprio in coincidenza con la celebrazione del centenario della fine del potere temporale pontificio, quando, a conclusione della questione romana, l’equilibrio dei rapporti fra Chiesa e Stato, felicemente instaurato dai Patti Lateranensi e sancito dalla stessa Costituzione Italiana, pareva doversi ritenere sicuro e inviolabile.
Non è venuto meno, però, o diminuito in alcun modo, il Nostro affetto per la diletta Nazione italiana e per tutti i suoi figli, ai quali va l’esortazione paterna che sappiano, ancor oggi e nell’avvenire, rimanere saldamente fedeli alle antiche e onorevoli loro tradizioni di rispetto ai valori cristiani della famiglia, e per i quali invochiamo dal Signore pace e prosperità.

PACE PER TUTTA LA FAMIGLIA UMANA

In questa vigilia natalizia, ripieni di gratitudine di fronte alle meraviglie della grazia di Dio, che ci ha permesso di essere il suo testimone davanti alle Nazioni; che ci ha dato, attraverso un increscioso episodio, di toccare con mano l’affetto dei Nostri fratelli e dei Nostri figli; che ci ha reso più sensibile ancora la confidenza e la lealtà dei nostri fratelli separati, come pure quella di tutti i credenti e di tutti gli uomini di buona volontà; che ci ha concesso di conoscere meglio i tesori di sapienza, di cultura, di civiltà proprie dell’Estremo Oriente e ci ha fatto presentire ciò che potrà essere la Chiesa nel mondo, quando quei popoli le daranno, con la loro fede in Gesù Cristo, tutto l’apporto del loro genio, della loro personalità umana e cristiana: di fronte a queste meraviglie, diciamo, non possiamo concludere questa rassegna sommaria senza un pensiero ai Popoli, ancora tormentati dalla guerra, in Estremo Oriente specialmente e in quel vicino Oriente dove si trova la terra di Gesù, il Paese donde il Vangelo fu annunziato, e dove i disegni della Provvidenza nei destini storici dell’umanità si sono misteriosamente manifestati. E quanti altri Paesi, turbati da incresciose situazioni politiche e sociali, sono presenti, anche in questo Natale, al Nostro spirito! Voi sapete: la giornata della Pace, fissata all’alba dell’anno nuovo, ci dice presenti a tali turbamenti e a tali sofferenze, e tiene vigile la Nostra attenzione per ogni possibile aiuto alla riconquista della pace e della giustizia nella famiglia umana; le cronache della Nostra attività apostolica, Noi crediamo, documentano questo Nostro umile e perseverante sforzo evangelico.

IL BENEMERITO SERVIZIO DEL SACRO COLLEGIO

E alla fine Noi dovremmo guardare a questa stessa Sede Apostolica, a questa Nostra Curia Romana che condivide con Noi la fatica e la responsabilità del Nostro servizio alla Chiesa intera. Non è merito Nostro, ma vostro e di quanti con voi lavorano per tale servizio: Noi abbiamo la consolazione di dare a codesta attività ottima testimonianza: per la sua assiduità, per la sua intensità, per la sua fedeltà, per la sua orientazione nell’applicazione coerente e leale del recente Concilio. Noi ci sentiamo obbligati ad esprimere la Nostra sincera gratitudine per l’aiuto e per l’assistenza che il Sacro Collegio presta all’opera Nostra nel governo pastorale della Chiesa. Il quotidiano lavoro a servizio di questa Sede Apostolica, compiuto da voi, Signori Cardinali, con disinteresse e generosità, con dignità e fermezza, insieme con profonda umiltà, costituisce singolare benemerenza, della quale Noi apprezziamo tutto il valore. Né possiamo tacere l’esemplare spirito di abnegazione che anima i Membri del Collegio Cardinalizio, specialmente quando il bene superiore della Chiesa esige da essi rinuncia e sacrificio. Voglia il Signore largamente rimunerare tale indefettibile dedizione, e voglia tradurre i Nostri sentimenti di stima e di riconoscenza verso ciascuno di essi, in grazie copiose per le loro venerate persone.

IL PREMIO DELLA PACE

Due ultime parole chiuderanno questo Nostro discorso.
La prima si riferisce all’assegnazione del premio della Pace, intitolato al nome del Nostro venerato Predecessore, il Papa Giovanni XXIII. È la prima volta che avviene l’assegnazione di questo premio. Dopo lunghe consultazioni e riflessioni, di cui diamo merito specialmente al Consiglio dell’apposita Fondazione, il premio è dato ad una Religiosa, ben modesta e silenziosa, ma non ignota a quanti osservano gli ardimenti della carità nel mondo dei Poveri: si chiama Madre Teresa, Superiora Generale della Congregazione delle Missionarie della Carità, che da vent’anni, sulle strade dell’India, sta svolgendo una meravigliosa missione di amore a favore dei lebbrosi, dei vecchi e dei fanciulli abbandonati. Questo premio vuol essere un pubblico riconoscimento al suo apostolato di carità che, non più ristretto ai diseredati dell’India, si estende già a tre continenti, raggiungendo, dietro invito del Nostro Cardinale Vicario, la periferia stessa di Roma, e mobilitando così un esercito immenso di forze vive a servizio del mondo della sofferenza. Additiamo all’ammirazione di tutti questa intrepida messaggera dell’amore di Cristo, affinché dietro il suo esempio cresca il numero di coloro che si donano per i fratelli e si affermi sempre più nel mondo il senso della solidarietà e della fratellanza umana.

AL 30 SETTEMBRE 1971 IL SINODO EPISCOPALE

La seconda parola che intendiamo dirvi riguarda il prossimo Sinodo generale dei Vescovi, che si riunirà il 30 settembre dell’anno venturo, e avrà come oggetto gli argomenti: «De sacerdotio ministeriali» e «De iustitia in mundo». Ci ha indotto a questa deliberazione l’importanza che Noi annettiamo all’attiva collaborazione dei rappresentanti dell’episcopato cattolico nel governo della Chiesa universale. Noi confidiamo che il loro saggio parere, con l’aiuto di Dio, riuscirà ancora una volta ad apportare un efficace contributo alla soluzione di questioni di tanta gravità, che al momento presente sembrano con più urgenza richiamare l’attenzione e la preoccupazione dei pastori e dei fedeli.
Ed ora poniamo termine al Nostro discorso formulando per ciascuno di voi fervidi voti di letizia, di prosperità e di pace per le prossime feste natalizie. Un pensiero riverente ed augurale rivolgiamo anche alle Chiese Orientali, a quelle specialmente in comunione con questa Sede Apostolica, ed anche a quelle con cui si stanno ravvivando e ritessendo i vincoli della perfetta unità nella fede e nella carità. E preghiamo il Divin Redentore affinché l’anno nuovo che si avvicina ci trovi tutti e sempre in piena e fervorosa rispondenza ai nostri rispettivi doveri.
Facendo affidamento, come sempre sulle vostre preghiere e sulla vostra volenterosa collaborazione, di gran cuore impartiamo a voi e a ogni vostra persona cara la propiziatrice Apostolica Benedizione.

                    



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