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DISCORSO DI PAOLO VI
AL SACRO COLLEGIO

Venerdì, 23 giugno 1972

 

Signori Cardinali!

La ricorrenza del nostro giorno onomastico vi ha raccolti qui, secondo l’uso, per esprimerci tanto cortesemente il vostro affetto; e noi, che pur vorremmo passarla silenziosamente, nell’intimità della preghiera e dei ricordi personali, non possiamo sottrarci agli obblighi che a voi ci legano, né opporre resistenza al vostro proposito, a cui il venerato e caro Cardinale Amleto Giovanni Cicognani, come Decano del Sacro Collegio, ha dato eletta e fervida interpretazione. Lo ringraziamo di cuore, felicitandoci con lui per la prima volta in questa sede per la sua funzione, e ricordando con profondissima e immutata stima, e con sempre viva riconoscenza, la preziosa collaborazione da lui prestata a noi e al nostro Predecessore, nelle funzioni di Segretario di Stato. Con lui ringraziamo tutti i Signori Cardinali di Curia, che partecipano tanto da vicino alle fatiche apostoliche, alle gioie e alle prove dell’umile Vicario di Cristo. Ma come non evocare, in questo momento, colui che, durante lunghi anni, fu l’interprete dei voti del Sacro Collegio, in qualità di Decano: il Cardinale Eugenio Tisserant, che, fin dai primi anni del suo sacerdozio, fu al servizio della Santa Sede? La sua competenza, negli incarichi a lui commessi dai Romani Pontefici, era pari al suo ardente amore alla Chiesa e al suo zelo instancabile, di cui tutti siamo stati testimoni; e tale è il ricordo che conservano di lui quanti l’hanno visto all’opera.

La consuetudine ci induce, in questa occasione, a gettare uno sguardo sulle condizioni generali della Chiesa, all’interno e all’esterno di essa, sottolineando alcuni aspetti che meritano di trattenere la nostra attenzione.

Noi siamo grati per la sintesi, che ci è stata fatta, e che si può riassumere in una parola di cui tutti abbiamo bisogno: speranza, fiducia. Confidite, ego sum, nolite timere (Marc. 6, 50), continua a ripeterci il Signore risorto. Non turbetur cor vestrum: creditis in Deum, et in me credite (Io. 14, 1): il Cristo è presente nella sua Chiesa; e questa continua la missione da lui affidatale, indicando al mondo che in lui solo è la pace, in lui solo la giustizia, in lui solo la remissione dei peccati; e ciò fa con la forza, con la tenacia, con l’eroismo con cui lo ha additato, nei suoi giorni mortali, il Precursore, Giovanni il Battista, di cui portiamo il nome di battesimo. Questa presenza di Cristo, secondo la sua promessa (Cfr. Matth. 28, 20), questa continuità della testimonianza costruttiva e verace della Chiesa ci devono dare speranza, e infondere fiducia. Nonostante tutto, siamo sulla buona strada, perché seguiamo Cristo, e troviamo in lui la forza di continuare nel pur immane sforzo di presentare al mondo il suo messaggio. Le forze talora sembrano mancare, i risultati essere impari all’impegno. Ma non per questo ci scoraggiamo; con la forza della preghiera attingiamo le energie necessarie al compito da Lui imposto sulle nostre spalle, invocandolo con le parole di S. Ambrogio: «Sequimur te, Domine Iesu; sed ut sequamur accerse, quia sine te nullus ascendet. Tu enim via es, veritas, vita, possibilitas, fides, praemium. Suscipe tuos quasi via, confirma quasi veritas, vivifica quasi vita» (S. AMBR. De bono mortis, 12, 55; ed C. Schenkl CSEL, 33, 1896, p. 150).

È questa la speranza, la fiducia che ci sorregge, perché è fondata sulla parola di Cristo, e sull’opera che la Chiesa, per suo mandato, continua a svolgere nel mondo. Abbiamo bisogno di ribadirlo: perché oggi, nel momento che viviamo, la mancanza di fiducia verso la Chiesa è forte presso un certo numero di cristiani, e anche di sacerdoti e di religiosi; sfiducia che giunge talora anche a una certa aggressività, ma che prende altresì, e più spesso, la forma di scoraggiamento e di disillusione.

I. FENOMENI NEGATIVI

Per alcuni, questo sentimento sorge dal fatto che l’edificio ecclesiale, il quale rappresentava ai loro occhi un tutto fortemente coerente e organizzato, oggi sembra a loro minacciato nella sua unità. Essi sono certamente scossi dal criticismo venuto alla luce in questi anni, dal carattere arrischiato di certe iniziative che ignorano la Tradizione, dall’abbandono di manifestazioni esteriori o di forme di pietà alle quali erano attaccati: però tendono a ripiegarsi su se stessi, e a rifiutare di prendere la parte loro spettante nella vita e nei compiti della Chiesa. Per altri, invece, la mancanza di fiducia nella Chiesa è originata dal convincimento che essa, secondo loro, rimarrebbe impigliata in istituzioni che hanno fatto il loro tempo: in una società secolarizzata, essi pensano che la Chiesa dovrebbe abbandonare la maggior parte delle forme che la distinguono e rinunciare perfino alle certezze acquisite, per mettersi unicamente all’ascolto dei bisogni del mondo; e provano, di fronte alla Chiesa visibile e istituzionale, una freddezza che porta alcuni ad allontanarsi da essa, sensibili, come pensano di essere, alle profonde mutazioni che caratterizzano la nostra epoca, alle novità delle situazioni culturali e alle possibilità scientifiche e tecniche.

Da queste opposte tensioni deriva uno stato di disagio, che non possiamo e non dobbiamo nasconderci: anzitutto una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa «nuova», quasi «reinventata» dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto.

Alcuni, poi, giungono a subire e a predicare il fascino della violenza, nuovo mito che si affaccia alla inquieta coscienza moderna: esso è l’apologia del fatto compiuto, della «liberazione» che non sempre è interpretazione della libertà evangelica, che nasce dalla verità e dalla carità (Io. 8, 32; cfr. Gal. 4, 31; Rom. 1, 21; Iac. 1, 25), bene peraltro difficile da custodire (Cfr. 1 Petr. 2, 16; Gal. 5, 13), ma spesso è eufemismo che copre metodi eversivi; questo fascino inoltre avalla talora il mimetismo delle sociologie a-cristiane, reputate le sole efficaci, con cieca fiducia e senza antiveggenza delle conclusioni a cui conducono; esso non resiste alla seduzione del socialismo, inteso sì da alcuni come rinnovazione sociale e socialità rinnovatrice, ma con impiego di idee, di sentimenti non e talora anti-cristiani: lotta sistematica di classe, odio e sovversione, psicologia materialistica che contagia la cosiddetta società consumistica.

Le reazioni negative a cui abbiamo accennato sembrano altresì aver di mira la dissoluzione del magistero ecclesiastico: sia equivocando sul pluralismo, concepito come libera interpretazione delle dottrine e coesistenza indisturbata di opposte concezioni; sulla sussidiarietà, intesa come autonomia; sulla Chiesa locale, voluta quasi staccata e libera, e autosufficiente; sia prescindendo dalla dottrina, sancita dalle definizioni pontificie e conciliari.

Non si può non vedere che tale situazione produce effetti assai penosi e, purtroppo, pericolosi per la Chiesa: confusione e sofferenza delle coscienze, impoverimento religioso, defezioni dolorose nel campo della vita consacrata e della fedeltà e indissolubilità del matrimonio, indebolimento dell’ecumenismo, insufficienza di barriere morali contro l’irrompente edonismo.

II. AL SERVIZIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA VERITÀ

In tale quadro, interno alla Chiesa, non si possono dimenticare difficoltà ed esigenze, da essa incontrate nell’esercizio della sua missione, che non è astratta e disincarnata, bensì calata nel concreto di situazioni ben determinate.

In primo luogo, una difficoltà di fiducia, come dicevamo, esperimenta qua e là la Chiesa nei suoi riguardi, quando si tratti dell’esercizio del suo ufficio «profetico», che è non solo quello di annunciare la verità e la giustizia, ma di deplorare, di denunciare, di condannare le colpe o i delitti, compiuti contro la giustizia e contro la verità.

In realtà, per quel che più direttamente concerne questa Sede Apostolica, essa è come una sentinella posta sul monte, alla quale giungono i clamori degli oppressi, il gemito soffocato di chi neppure ha la libertà di gridare alti i suoi dolori, il lamento di chi si sente colpito nei suoi diritti o abbandonato nelle sue necessità. Allargando il suo sguardo sulla scena del mondo, le si presentano le numerose situazioni che in misura più o meno grave, talvolta gravissima, sono contrarie a quel rispetto della dignità dell’uomo e di quei diritti fondamentali - primo, fra tutti, quello di una giusta libertà religiosa - che deve, o dovrebbe, essere il fondamento del convivere sociale, nelle Nazioni e fra le Nazioni.

Dobbiamo rilevare anzitutto, nelle richieste e nelle lagnanze che di tanto in tanto si levano in proposito, un aspetto non certamente esclusivo del nostro tempo, ma che in questo, come in tutte le epoche di profonde divisioni, è più sentito. E cioè che di solito si reclama non la condanna di tutte le ingiustizie, ma solo di quelle - vere o talvolta presunte, o almeno aggravate - della parte avversa. La Santa Sede è ben consapevole nel suo dovere di interpretare la «coscienza morale dell’umanità», non solo quanto ai principii, ma anche per la concretezza della realtà. Possiamo assicurare che essa non resta sorda a nessun grido o lamento che le giunga; procura, anzi, di conoscere anche ciò che si vorrebbe, e tante volte si riesce a tener nascosto. Ma la sua responsabilità esige, naturalmente, di non accontentarsi di notizie non debitamente controllate, e la più piena e assoluta obiettività; cose, l’una e l’altra, non sempre facili a conseguirsi. La sua azione si propone anzitutto, nei limiti delle possibilità, di andare efficacemente in aiuto a chi soffre ed invoca comprensione e soccorso; il che richiede, spesso, una giusta prudenza e riserbo nelle pubbliche manifestazioni, per dare la precedenza al tentativo di dialogo serio e diretto con i responsabili delle situazioni lamentate, o per non provocare più pesanti reazioni a carico di chi attende difesa.

La nostra preoccupazione è di servire l’umanità e la Chiesa in particolare; e la nostra speranza è che il prevalere di sentimenti di giustizia, e gli sforzi pazientemente compiuti, possano portare ai risultati che noi invochiamo.

Non possiamo tuttavia tacere che questa speranza è posta non di rado a grave prova, quando si nota il perdurare di difficili tensioni, oppure quando la leale disposizione della Santa Sede a giungere ad intese che consentano alla Chiesa di disporre almeno dell’indispensabile spazio vitale, conforme alle sue esigenze elementari, se non alla pienezza dei suoi diritti, si scontra con una persistente mancanza di reale volontà positiva, quasi per calcolo che l’aggravarsi delle sue condizioni di vita possa indurre la Chiesa ad accettare imposizioni che essa ha dovuto dichiarare inaccettabili.

Affidiamo alla coscienza dell’umanità e al giudizio della storia le responsabilità di simili situazioni, mentre la Santa Sede non si stancherà di continuare ad operare, anche se apparentemente contra spem, per modificarle secondo giustizia, confidando nell’azione e nell’aiuto della Provvidenza.

III. LA CHIESA E IL MONDO

La Santa Sede segue peraltro con vivo interesse gli sviluppi della situazione mondiale e dei problemi particolari.

Negli scorsi mesi l’attenzione del mondo si è polarizzata intorno ad alcuni fatti nuovi dei rapporti internazionali, nei quali ha colto, con intuito mosso da speranza, i segni di un mutamento che va sottolineato.

Tra i più rilevanti di questi fatti sono anzitutto i contatti, stabiliti a livello delle loro più alte Autorità, tra due grandi Nazioni, gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese, recentemente accolta nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel maggio scorso, si è registrato un secondo incontro di vasta risonanza, tra i supremi responsabili dei Governi degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, con la stipulazione di importanti accordi bilaterali riguardanti vari problemi. Nello stesso tempo, con simultaneità che, se non intensa, è parsa di positivo auspicio, è avvenuta in Europa la firma di un accordo circa la situazione di Berlino, insieme con la ratifica dei trattati tra la Germania Federale, l’URSS e la Polonia; complesso di atti che conclude laboriosi negoziati, protratti per anni, in un contesto di difficoltà obiettive che, dal termine dell’ultima grande guerra, avevano provocato alternative di tensioni talora gravissime.

Non è facile valutare oggi la portata e prevedere le ripercussioni che potranno avere tali avvenimenti, o rintracciare, in iniziative con protagonisti diversi e materie di così complessa discussione, il nesso logico che consenta di prevedere con certezza una direzione univoca di effetti e di sviluppi.

Ma qualcosa di nuovo succede nel mondo. Anzitutto, già il fatto del verificarsi di incontri che, fino a qualche tempo fa, neppure erano pensabili.

Ci sembra pertanto legittimo attendere che un tale processo, se perseguito, come auspichiamo, con lealtà e ben volere, e nel rispetto della autonomia, dei diritti e dei legittimi interessi degli altri Paesi, gioverà non solo al bene dei rispettivi popoli ma all’intero intreccio dei rapporti tra le varie nazioni (corre spontaneo il pensiero anche soltanto al sollievo che una limitazione degli armamenti può produrre per la vita e la pace di tutti!). Potranno infatti essere più facilmente ridotte le tensioni generali e incoraggiate e rese possibili iniziative di ampio respiro, come lo dimostra la prospettiva, ora non più remota, di una conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Sarà inoltre diminuito il pericolo che conflitti particolari possano vedere coinvolti, fra gli altri, i Paesi maggiori, mentre più grande credibilità si potrà sperare per le decisioni ed iniziative che, nell’ambito dell’ONU, sono tuttora condizionate nella loro efficacia da divergenze di grandi e resistenze di Paesi di ogni potenza e dimensione.

Ci pare anche altrettanto significativo che, mentre si sono avviati negoziati tra i Paesi di maggiore responsabilità nell’equilibrio mondiale, gli altri popoli non rimangano inerti, come è dimostrato da alcune grandi conferenze internazionali, ad esempio la III Conferenza per il commercio e lo sviluppo, di Santiago del Cile, o la Conferenza di Stoccolma sull’uomo e l’ambiente: problemi di importanza primaria per la vita e i rapporti delle nazioni. È positivo, infatti, che sia data sempre più vasta possibilità a tutti i popoli di fare udire la propria voce; che tali dibattiti concorrano a delineare una visione più unitaria e solidale dei problemi: e che questa solidarietà faccia emergere sempre più viva la coscienza di una sorte comune, unica dell’umanità.

È forse utopia sperare che in questo nuovo contesto di minori diffidenze, di avviati contatti, di incipiente cooperazione, possano finalmente trovarsi soluzioni eque e rapide, leali e coraggiose, per i conflitti definiti cronici, ma di un’attualità così sanguinante, come le guerre nel Medio Oriente e nel Vietnam? Nel Vietnam, ove ogni giorno in cui ritarda la pace è pagato da distruzioni terrificanti che coinvolgono in una unica tomba uomini e natura, forze combattenti e popolazioni inermi, vita e speranza di vivere?

Noi auguriamo, e preghiamo, che questa prospettiva trovi conferma nel far tacere le armi, nell’arrestare il sangue che scorre, nel comporre ed intendersi, ricostruire e sanare. E tale augurio va del pari a tutte le altre regioni della terra ove manca la pace: così nell’Irlanda carissima, sempre tormentata da dolorose esplosioni di violenza, che esortiamo a continuare nello sforzo di diminuire sempre più le reciproche violenze, e di cercare nel dialogo la soluzione ai suoi problemi; o dove debbono rimarginarsi ferite tuttora sanguinanti, come in un altro Paese, a noi non meno caro, il Burundi.

IV. POSITIVI ELEMENTI DI FIDUCIA

I fatti internazionali, a cui abbiamo accennato, nonostante le gravi ombre che perdurano, ci hanno recato un segno, sia pur cauto, di grande speranza. E tornando da esso alla vita della Chiesa, ci sentiamo obbligati in conseguenza a sottolineare le correnti positive che oggi danno ali alla sua azione e alla sua presenza nel mondo. Perché la Chiesa è viva, la Chiesa è attiva, la Chiesa è giovane! A quanti, come abbiamo detto all’inizio, la osservano con occhio critico da opposti punti di vista, non basta ormai più mostrare l’insufficienza, il pericolo e la sterilità delle loro vedute parziali, per farli riconciliare in una comune fedeltà alla Chiesa. E perciò - pur senza porre in dubbio la sincerità di nessuno, e senza disconoscere l’utilità delle critiche serie e misurate, da parte di uomini competenti e responsabili - noi vogliamo ricordare che la fiducia di cui la Chiesa ha bisogno da parte di tutti i suoi figli, e che è in diritto di attendersi da loro, non poggia solo su vedute umane, bensì sul disegno di Dio. È il sentimento che ci ha sorretti nell’accettare il grave peso del Pontificato, nove anni fa; e come dicemmo mercoledì scorso nell’udienza Generale, «vorremmo così che anche in voi, come in tutta la Chiesa, turbata talvolta per le debolezze che affliggono, avesse a prevalere il senso evangelico di fede-fiducia, richiesto da Cristo ai suoi seguaci, e non avesse mai la paura o lo scoraggiamento ad intristire l’ardimento ed il gaudio dell’operare cristiano» (Cfr. L’osservatore Romano, 22 giugno 1972).

Sì, la fiducia nella Chiesa, e la fiducia della Chiesa in se stessa, si fonda sulle promesse e sui carismi divini che l’accompagnano; sul patrimonio di verità, trasmesso dalla Tradizione autentica; sulla sua struttura costituzionale e mistica; sulla sua capacità di ristabilire l’unità infranta dell’unica e universale famiglia cristiana; sul valore e sulla nobiltà della sua azione pastorale, capace d’inserire nel tessuto della vita cristiana il rinnovamento ecclesiale, voluto dal Concilio Vaticano II e da noi, con l’aiuto di Dio, instancabilmente perseguito; sulla sua missione di segno e di strumento per l’umanità intera, aperta com’essa è al mondo di oggi e di domani.

Malgrado le difficoltà, come non confortarci per i segni di speranza, che si discernono nella Chiesa? Quanti cristiani provano un intenso bisogno di preghiera e di unione con Dio! Quante anime generose cercano uno stile di vita più evangelico, radicato nella contemplazione, vissuto nell’amore fraterno! Quanti sacerdoti, religiosi e religiose, apostoli laici danno testimonianza al Signore, con una abnegazione e una fedeltà che è certamente frutto dello Spirito Santo! L’assillo della giustizia nel mondo tormenta moltissime anime, specialmente tra i giovani, e le spinge a dedicarsi coraggiosamente e disinteressatamente all’elevazione e allo sviluppo dei popoli, alla cura spirituale e materiale dei fratelli. Un più spiccato senso di povertà, configurata sull’esempio di Cristo e della Chiesa Apostolica, è oggi vivo nella coscienza ecclesiale, spinge molti, come i nostri carissimi Missionari, all’eroismo. Una maggiore apertura ai valori positivi del mondo, mirabilmente incoraggiata dalla Costituzione conciliare Gaudium et Spes, rende la Chiesa oggi aperta e disponibile a tutti i settori e i problemi della vita sociale, culturale, spirituale dell’umanità, che cerca se stessa. La Chiesa è «esperta in umanità»!

Effettivamente, essa dà un apporto continuo per rispondere sempre meglio alle presenti necessità del mondo: è uno spettacolo consolante quello che viene offerto in questo campo dall’Episcopato mondiale, con l’aiuto di organi coesivi, collaudati o di recente istituzione, di cui si avvale l’opera pastorale, tra i quali ci piace ricordare le Conferenze Episcopali, i Consigli presbiterali e pastorali delle varie diocesi, l’Azione Cattolica, le forme di apostolato laicale. Cresce il senso sociale e la carità operante: effettivamente, è tutto un fiorire di iniziative per la catechesi, per l’azione sociale, per la cura dei poveri, per l’assistenza spirituale ai lavoratori, per l’irradiazione cristiana tra i mezzi di comunicazione sociale; un rinnovato impegno missionario unisce tra loro varie Chiese locali, pur senza dimenticare il preminente sostegno delle Pontificie Opere Missionarie; uno slancio di generosità e di dedizione permea sempre più vasti strati del clero e del laicato. In questa opera, i Vescovi del mondo intero sono sulle prime linee, e si sentono strettamente uniti alla Santa Sede, che li sostiene. Il Sinodo, dello scorso autunno, è stato la testimonianza più cospicua di questa mutua collaborazione, per la soluzione di delicati e urgenti problemi interni - come il sacerdozio ministeriale - ed esterni della Chiesa - come la giustizia nel mondo.

La Sede Apostolica, dal canto suo, non si stanca di corrispondere con le sue iniziative, nuove o tradizionali, a venire incontro alle esigenze del mondo: ci sia lecito ricordare i rapporti intrattenuti con i vari Paesi del mondo, il suo incoraggiamento alle numerose manifestazioni della vita cattolica, la sua presenza a Congressi internazionali, la sua azione silenziosa e discreta in seno agli Organismi che uniscono i vari Popoli in uno sforzo sincero di pace, di collaborazione e di progresso, specie nel campo della promozione sociale ed economica e della cultura.

L’azione della Santa Sede è svolta, poi, come di consueto, attraverso la preziosa collaborazione dei vari Dicasteri della Curia Romana, che si applicano a tutti gli accresciuti bisogni della Chiesa e del mondo, con un impegno squisitamente pastorale che a noi è di grande conforto, e di grande esempio alla comunità ecclesiale, per la dedizione, per la competenza, per il sacrificio con cui è compiuto. A tale proposito ci piace ricordare anche qui - come l’abbiamo fatto qualche giorno fa nella qualificata sede di una riunione dei Cardinali Capi Dicastero - la riforma della Curia, da noi operata mediante la Costituzione Apostolica «Regimini Ecclesiae universae», di cui si compirà il prossimo 15 agosto il quinto anniversario : essa ha dato nuovo rilievo e impulso alla dimensione pastorale del servizio che la Santa Sede è chiamata a dare alle Chiese locali e al mondo intero, con i suoi smisurati problemi, con uno stile più articolato, più agile e al tempo stesso più coordinato, che permetta di raggiungere a tempo e opportunamente le numerose questioni di interesse particolare e generale.

Venerati Fratelli e figli!

Tutti questi elementi, benché trascelti fra molti e appena accennati, sono segno indubitabile della vitalità della Chiesa; e non è vana compiacenza crediamo, insistervi, ma semplicemente metterci davanti agli occhi il mistero di fede, senza il quale il cristiano perderebbe la sua identità, e la confidenza nella Chiesa.

Le lentezze, gli scacchi, le prove sono inerenti al mistero della Croce e della Risurrezione di Cristo. Solo la certezza di compiere l’opera di Dio ci deve sostenere. Solo essa darà la serenità indispensabile per portare avanti la nostra missione. Ogni giorno bisogna ricominciare da capo. Dopo il Concilio Ecumenico, non si tratta di distruggere, di contestare, bensì di metterci tutti al lavoro per migliorare, per sanare, per piantare, per rinnovare, per costruire, sul sentiero autentico della unità, della fede, del culto, della carità, dell’obbedienza, della collaborazione. Tutta l’opera della Chiesa viene da Dio, e a Lui deve condurre. Essa non può realizzarsi senza la sua grazia. Si possono pur trasformare le strutture, ma è lo spirito che bisogna immettervi: e questo Spirito è dono di Dio. Se le tensioni sono inevitabili, la comunione nella fede, l’essere radicati nella Tradizione vivente, la fedeltà all’insegnamento del Magistero restano sempre le garanzie indispensabili dell’unità, e sono al tempo stesso la sola via, in cui possa conservarsi e aumentare la confidenza verso la Chiesa.

Preghiamo tutti il Signore che assista la Chiesa in quest’opera immane di salvezza in favore degli uomini, a cui essa è destinata; e a voi chiediamo l’appoggio della carità e dell’orazione quotidiana, perché il Signore che ci ha chiamati al tremendo incarico di suo Rappresentante in terra, ci dia la forza necessaria per assolverlo con fedeltà.

Tutti, dunque, avanti, insieme, con fiducia, in Nomine Domini! E tutti ci benedica il Signore.

                                                           



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