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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
NELLA CAPPELLA MATILDE A CONCLUSIONE
DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI

Sabato, 5 marzo 1977

 

Al termine della predica il Santo Padre, interpretando i sentimenti di tutti i presenti ha espressioni di compiacimento e di ringraziamento per «colui - dice - che ci ha accompagnato in questi giorni col servizio della parola del Signore», mettendo in luce la sua preparazione culturale e spirituale maturata nella segregazione del monastero, un centro in cui «si rifugia la pienezza della fedeltà, della preghiera, della ricerca di santità, della fedeltà alla Chiesa».

«Ringraziandola di questa parola - prosegue Paolo VI - così viva, così ricca, così sapiente ed anche così attuale noi cercheremo di consolarla e di remunerarla con la promessa di farne tesoro. Non sarà parola perduta. Non sarà parola che passa, si ascolta e si spegne. Ma parola che vuole rimanere. Ed è questo anche l’augurio che faccio a tutti i partecipanti, ringraziandoli della loro presenza, della loro frequenza, del loro esempio, del segno di solidarietà nella preghiera, nei sentimenti, nei propositi che questi esercizi celebrati insieme offrono anche a noi, che abbiamo tanto bisogno di essere sostenuti dalla comunione di questa officina della Chiesa che è la Curia Romana».

«Quasi a compenso del bene ricevuto - assicura il Santo Padre - quasi a garanzia che non andrà perduto ma rimarrà, e sarà fecondo e si tradurrà in frutti spirituali non solo oggi ma per quanti altri giorni il Signore ci darà, noi ci impegneremo a corrispondere ad una caratteristica che ci pare essere quella della Chiesa di oggi: il bisogno che è evidente in chiunque studia i segni dei tempi, cioè il bisogno di intensità. La Chiesa non può vivere, oggi, con un ritmo normale, tranquillo, lento e pacifico, che si svolge quasi automaticamente, che la storia porta con sé, perché le istituzioni della Chiesa sono garantite da una perennità che non le lascia morire. Ma, proprio dai tempi viene questa chiamata per noi: bisogna essere presenti con tutta l’anima; bisogna essere presenti con uno sforzo ed una coscienza di pienezza e di rispondenza generosa. Non possiamo essere dei consuetudinari e dei tiepidi che minimizzano la loro collaborazione. Vogliamo entrare davvero nel cuore della Chiesa e sentire anche l’appello dei tempi che ci richiama a un serio contributo per la pace e l’intesa tra i popoli.

Dobbiamo essere vigilanti, noi, specialmente, che abbiamo la responsabilità di questa Sede Apostolica che è un po’ il termometro della storia della Chiesa e dei popoli. La Chiesa vive un momento decisivo della sua storia drammatica e stimolante per chi abbia davvero quell’amore alla Chiesa di cui abbiamo sentito in questi giorni così bene parlare». Ma con animo aperto al futuro il Papa presagisce quella primavera della Chiesa che sempre spunta, proprio là dove forse non si sarebbe mai creduto: nella gioventù, sazia della moderna civiltà e disillusa, che cerca in altre direzioni e forse verso Cristo qualche cosa di più vero, di più vivo, di più sincero.

«Bisogna vivere con intensità - conclude il Santo Padre -. E sarà questa la promessa che noi offriremo a Dio e al Padre che ci ha fatto dono della sua parola, che ci ha arricchito con lezioni di tanta sapienza. Ne faremo tesoro vivo ed operante. Cercheremo di guardare all’avvenire con occhio sereno e fiducioso, in attesa dell’incontro finale con Cristo Signore».

                              



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