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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AL SACRO COLEGIO IN OCCASIONE DEL NATALE

Martedì, 24 dicembre 1946

 

Agli eminentissimi Cardinali,
agli eccellentissimi Vescovi e
ai Prelati della Curia Romana

Vi fu mai nella storia del genere umano, nella storia della Chiesa, una Festa natalizia ed un volgere dell’anno, in cui più viva che al presente ardesse nei cuori e si manifestasse la brama di veder dileguarsi il contrasto fra il messaggio di pace di Betlemme e le interne ed esterne agitazioni di un mondo, che tanto spesso abbandona la diritta via della verità e della giustizia?

L’umanità, uscita appena dagli orrori di una guerra crudele, le cui conseguenze la colmano ancora di angoscia, contempla con stupore l’abisso aperto fra le speranze di ieri e le attuazioni dell’oggi; abisso che anche gli sforzi più tenaci difficilmente valgono a sormontare, perché l’uomo, capace di distruggere, non è sempre da lui solo idoneo a restaurare.

Ecco ormai quasi due anni da che tace il rombo del cannone. Gli avvenimenti militari sui campi di battaglia hanno condotto ad una incontestabile vittoria di una delle parti belligeranti e ad una sconfitta senza precedenti dell’altra.

Rare volte nella storia mondiale la spada aveva tracciato una così netta linea di divisione fra vincitori e vinti.

L’ebbrezza gioiosa ed esuberante della vittoria è svanita. Le inevitabili difficoltà si sono manifestate in tutta la loro crudezza.

Come? — Sopra tutti i disegni e gli ordinamenti umani sta la parola del Signore: « Ex fructibus eorum cognoscetis eos » [1].

Una cosa rimane fuori di ogni dubbio: i frutti della vittoria e le sue ripercussioni sono stati finora non solo d’indicibile amarezza per i soccombenti, ma si sono fatti sentire come una sorgente di molteplici ansie e di pericolose scissioni anche fra i vincitori.

I riflessi di queste divisioni sono andati, in passato, man mano crescendo a tal segno, che nessun vero amante della umanità, — e ancor meno la Chiesa di Cristo, sempre sollecita di corrispondere alla sua missione, ha potuto chiudere gli occhi dinanzi a tale spettacolo.

La Chiesa, che dal Salvatore divino è stata mandata a tutti i popoli per condurli alla loro eterna salute, non intende d’intervenire e di parteggiare in controversie su oggetti puramente terreni.

Essa è madre. Non domandate a una madre di favorire o di combattere la parte di uno o dell’altro dei suoi figli. Tutti debbono egualmente trovare e sentire in lei quell’amore chiaroveggente e generoso, quella intima e inalterabile tenerezza, che dà ai suoi figli fedeli la forza di camminare con passo più fermo nella via regia della verità e della luce, e ai traviati e agli erranti ispira la brama di tornare sotto la sua guida materna.

Giammai forse la Chiesa di Cristo, giammai i suoi ministri e i suoi fedeli di ogni ceto e classe non hanno avuto tanto bisogno di questo amore illuminato, pronto al sacrificio e che non conosce nessun limite terreno e nessun pregiudizio umano, quanto nelle angustie del tempo presente, in paragone delle quali sembrano impallidire le dolorose vicende del passato.

Soltanto, dunque, lo spirito di carità, il sacro dovere del Nostro ministero apostolico, oggi, in questa vigilia del Santo Natale, Ci aprono le labbra; essi solo Ci inducono a rivolgerCi al mondo intero, ad affidare alle onde eteree, perché le portino sino alle estremità della terra, l’espressione delle Nostre cure e dei Nostri timori, delle Nostre preghiere e delle Nostre più ardenti speranze — nella fiducia che molti cuori nobili e comprensivi, anche fuori della comunione cattolica, faranno eco a questo Nostro grido e Ci presteranno la loro efficace collaborazione.

Non intendiamo di criticare, ma di stimolare. Non di accusare, ma di soccorrere. «Intenti di pace e non di afflizione » [2] muovono il Nostro cuore e vorremmo destarli nel fondo delle anime di coloro che Ci ascoltano.

Noi ben sappiamo che le Nostre parole e le Nostre intenzioni rischiano di essere male interpretate o svisate a scopi di propaganda politica.

Ma la possibilità di tali erronei o malevoli commenti non potrebbe chiuderCi la bocca. Noi Ci stimeremmo indegni del Nostro ufficio, della Croce che il Signore ha posto sulle Nostre deboli spalle, crederemmo di tradire le anime che attendono da Noi il lume della verità e una sicura guida, se, per schivare sinistre interpretazioni, esitassimo, in un’ora così critica, a fare quanto è da Noi per ridestare le coscienze assopite e richiamarle ai doveri della santa milizia di Cristo.

Nessun diritto di veto, da qualunque parte esso venga, potrebbe valere contro il precetto di Cristo « Andate e insegnate ». Con una obbedienza indefettibile al divino Fondatore della Chiesa, Noi Ci adoperiamo e continueremo ad adoperar- Ci, fino all’estremo limite delle Nostre forze, per adempire la Nostra missione di difensore della verità, di tutore del diritto, di propugnatore degli eterni princìpi della umanità e dell’amore. Nell’esercizio di questo Nostro dovere ben potremo incontrare resistenze e incomprensioni. Ma Ci conforta il pensiero della sorte toccata allo stesso Redentore e a coloro che hanno seguito le sue vestigia, e Ci tornano alla mente le umili, ma fiduciose parole dell’Apostolo Paolo: « A me importa pochissimo di essere giudicato … dagli uomini … chi mi giudica è il Signore » [3].

I. UN LUNGO E PENOSO CAMMINO

Era ben da temere, nelle condizioni rovinose e confuse in cui l’immane conflitto lasciava il mondo, che l’itinerario dalla fine della guerra alla conclusione della pace sarebbe stato lungo e penoso. Ma la durata di quello, a cui al presente assistiamo, senza poter ancora prevedere, nonostante alcuni notevoli progressi ormai acquisiti, né quando né come giungerà al suo termine, questo prolungarsi indefinito di uno stato anormale d’instabilità e d’incertezza, è il chiaro sintomo di un male, che costituisce la triste caratteristica dell’epoca nostra.

L’umanità, che è stata testimone di una prodigiosa attività in tutti i campi della potenza militare, formidabile di precisione e di ampiezza nella preparazione e nella organizzazione, fulminea di rapidità e d’improvvisazione nell’adattamento continuo alle circostanze e ai bisogni, vede ora svolgersi la elaborazione e la formazione della pace con una grande lentezza e fra contrasti non ancora superati nella determinazione degli scopi e dei metodi.

Allorché la Carta atlantica venne per la prima volta annunziata, i popoli furono tutti in ascolto; finalmente si respirava.

Che cosa è ora rimasto di quel messaggio e delle sue disposizioni?

Anche in alcuni di quegli Stati che — o per propria elezione, o sotto l’egida di altre e più grandi Potenze — amano presentarsi alla umanità di oggi come antesignani di nuovo e vero progresso, le « quattro libertà », dianzi salutate con entusiasmo da molti, non sembrano quasi più che un’ombra o una contraffazione di quel che erano nel pensiero e nelle intenzioni dei più leali fra i loro promulgatori.

Noi ben volontieri riconosciamo gl’incessanti sforzi di insigni Uomini di Stato, che, da circa un anno, in una serie quasi ininterrotta di laboriose conferenze si sono adoperati a conseguire ciò che gli onesti di tutto il mondo desideravano o a cui ardentemente aspiravano.

Purtroppo i contrasti di opinione, la sfiducia e i sospetti reciproci, il valore discutibile, in fatto e in diritto, di non poche decisioni già prese o da prendersi ancora, hanno reso incerta e fragile la consistenza e la vitalità di compromessi e di soluzioni fondate sulla forza o sul prestigio della potenza politica e che lasciano nel fondo di molti cuori delusione e scontento.

Invece d’incamminarsi verso una reale pacificazione, in vasti territori del globo terrestre, in ampie regioni soprattutto di Europa, i popoli si trovano in uno stato di costante agitazione, da cui in un tempo più o meno vicino potrebbero sorgere le fiamme di nuovi conflitti.

II. UN TRIPLICE INVITO AI REGGITORI DEI POPOLI

Chi tutto ciò vede e medita, rimane intimamente compreso della gravità dell’ora presente e prova il bisogno di invitare i reggitori dei popoli, nelle cui mani sono le sorti del mondo, e dalle cui deliberazioni dipendono l’esito e il progresso ovvero il fallimento della pace, a una triplice considerazione:

1° La prima condizione per corrispondere all’attesa dei popoli, per attenuare e gradualmente dissipare i turbamenti, di cui soffrono all’interno, per rimuovere le pericolose tensioni internazionali, è che tutte le vostre energie e tutto il vostro buon volere mirino a far cessare l’intollerabile stato presente d’incertezza, ad accelerare il più possibile — nonostante le difficoltà che nessuno spirito sereno può disconoscere — l’avvento di una pace definitiva fra tutti gli Stati.

La natura umana durante i lunghi anni della guerra e del dopo guerra, in preda a innumerevoli e indicibili sofferenze, ha dato prova di una incredibile forza di resistenza. Ma questa forza è limitata; per milioni di esseri umani il limite è stato raggiunto; la molla è già troppo tesa; un nulla basterebbe a spezzarla e la rottura potrebbe avere conseguenze irrimediabili.

L’umanità vuole poter di nuovo sperare.

Alla rapida e completa conclusione della pace hanno un reale e vivo interesse tutti coloro i quali sanno che soltanto un pronto ritorno a normali relazioni economiche, giuridiche e spirituali fra i popoli può preservare il mondo da incalcolabili scosse e da disordini, che gioverebbero unicamente alle oscure forze del male.

Perciò fate sì che l’anno ormai volgente alla fine sia l’ultimo della vana e inappagata attesa; fate sì che il nuovo anno veda il compimento della pace.

2° L’anno del compimento! Questo pensiero conduce alla seconda invocazione, che ogni spirito retto rivolge ai reggitori dei popoli:

Voi bramate a ragione — come potrebbe essere altrimenti? — di vedere i vostri nomi scritti a lettere d’oro dalla storia sui dittici dei benefattori del genere umano; il solo dubbio che possano invece un giorno, anche senza colpa volontaria da parte vostra, essere messi alla gogna fra gli autori della sua rovina, vi fa orrore. Applicate dunque tutte le forze del vostro volere e potere per dare alla vostra opera di pace il suggello di una vera giustizia, di una lungimirante saggezza, di un sincero servizio agli interessi solidali della intiera famiglia umana.

Il profondo abbassamento, in cui l’orribile guerra ha gettato l’umanità, esige imperiosamente di essere superato e risanato mediante una pace moralmente elevata e incensurabile, la quale alle future generazioni insegni a bandire ogni spirito di brutale violenza ed a rendere alla idea del diritto il primato che le era stato iniquamente rapito.

Noi giustamente apprezziamo l’arduo ma nobile lavoro di quegli Uomini di Stato che, chiusi alle voci ingannevoli della vendetta e dell’odio, si sono adoperati e si adoperano ancora senza tregua per il conseguimento di così alto ideale. Ma, nonostante i loro sforzi generosi, chi mai potrebbe affermare che dalle discussioni e dalle trattative dell’anno che volge al tramonto sia risultato un disegno chiaro, logicamente ordinato nelle sue grandi linee, atto a ridestare in tutti i popoli la fiducia in un avvenire di tranquillità e di giustizia?

Senza dubbio, una così funesta guerra, scatenata da una ingiusta aggressione, e continuata oltre i limiti del lecito, quando cioè essa appariva irreparabilmente perduta, non potrebbe terminare semplicemente in una pace priva di garanzie, che impediscano il ripetersi di simili violenze.

Ma tutte le disposizioni repressive e preventive debbono conservare il loro carattere di mezzi e rimaner quindi subordinate all’alto e ultimo fine di una vera pace, il quale consiste nell’associare gradualmente, con tutte le necessarie guarentigie, vincitori e vinti in un’opera di ricostruzione, a vantaggio non meno della intera famiglia delle Nazioni che di ciascuno dei suoi membri.

Ogni osservatore equanime vorrà riconoscere che questi princìpi indiscutibili hanno fatto nel passato anno, anche in conseguenza delle dolorose ripercussioni sugli interessi vitali degli stessi Stati vincitori, reali progressi in non pochi spiriti.

Riesce altresì di soddisfazione il notare come voci autorevoli e competenti sempre più si levano contro un illimitato prevalersi delle presenti condizioni da parte di qualcuno degli Stati vincitori e contro una eccessiva restrizione del tenore di vita e della ripresa economica dei vinti.

L’immediato contatto con la indicibile miseria del dopo guerra in alcune zone ha destato in molti cuori la coscienza di una corresponsabilità solidale per l’effettiva mitigazione e il definitivo superamento di tanto male; sentimento questo non meno onorevole per gli uni, che incoraggiante per gli altri.

Un nuovo fattore è venuto in questi ultimi tempi a stimolare il desiderio di pace e la volontà di più efficacemente promuoverla. La potenza dei nuovi ordigni di distruzione, che la tecnica moderna ha rinforzati e rinforza sempre più sino a farne agli occhi della umanità inorridita quasi spettri d’inferno, ha posto al centro delle discussioni internazionali, sotto aspetti del tutto nuovi e con impulsi prima non mai sentiti, il problema del disarmo, suscitando così la speranza di attuare ciò che i tempi passati avevano invano vagheggiato.

Nonostante questi ben fondati motivi di sperare, dei quali niuno più della Chiesa può rallegrarsi, sembra, allo stato presente delle cose, doversi prevedere con grande probabilità che i futuri trattati di pace non saranno che un opus imperfectum, nel quale non pochi dei suoi stessi autori riconosceranno piuttosto la risultante di compromessi tra le tendenze o le pretese delle diverse forze politiche, che la espressione delle loro idee personali appoggiate ai veri e giusti concetti di diritto e di equità, di umanità e di saggezza.

3° Questa considerazione porta naturalmente al terzo invito rivolto ai reggitori dei popoli:

Se voi volete dare all’opera vostra per il nuovo ordinamento e la sicurezza della pace intima stabilità e durata, se volete impedire che presto o tardi s’infranga per le sue proprie durezze, per la pratica difficoltà di metterla in atto, per i suoi insiti difetti e mancanze, per le sue oggi forse inevitabili omissioni e insufficienze, per i suoi lontani effetti reali o psichici, che non è al presente dato di calcolare, abbiate cura di lasciare impregiudicata la possibilità di correzioni, secondo una procedura chiaramente determinata, non appena la maggioranza dei popoli, la voce della ragione e della equità mostrino quelle modificazioni opportune e desiderabili, o forse anche doverose.

Una macchina può apparire, sul disegno, di una perfezione indiscutibile per la sua precisione rigorosamente matematica, ma poi manifestarsi gravemente difettosa alla prova reale, ove essa si trova facilmente esposta a una quantità d’incidenti tecnicamente imprevisti. Quanto più, nell’ordine morale, sociale, politico, un progetto può apparire eccellente sulla carta, frutto di laboriose discussioni, ma poi soccombere alla prova del tempo e della esperienza, ove i fattori psicologici hanno un posto di primaria importanza! Certo, non si può tutto prevedere. Ma è saggio mantenere una porta aperta a futuri ritocchi, a eventuali accomodamenti.

Così operando, voi vi paleserete fedeli alle parole pronunziate in memorabili circostanze da interpreti autorizzati della pubblica opinione; sarete certi di non arrecare alcun pregiudizio al vostro ben inteso interesse, e darete alla intiera famiglia umana un luminoso esempio per dimostrare non esservi altra via sicura verso la desiderata pace che quella la quale procede dalla rieducazione della umanità allo spirito di solidarietà fraterna.

III. LA LUCE DI BETLEMME

Pur sapendo di avanzare per la via sicura, è così bello camminare nella luce! La luce: guardatela, voi tutti, cui unisce la stessa fede nel Salvatore del mondo! Per rischiarare il sentiero, essa discende dalla stella che brilla al di sopra di Betlemme.

Se si vuol rivenire ai grandi princìpi della giustizia che conducono alla pace, bisogna passare per Betlemme; bisogna richiamarsi all’esempio e alla dottrina di Colui, il quale, dalla culla alla Croce, non conobbe più alta missione che adempire la volontà del Padre celeste, trarre il mondo dalla notte dell’errore e dal fango della colpa, ove giaceva allora miseramente, risvegliare in lui la consapevolezza della sua soggezione alla maestà della legge divina, come norma di retto pensiero, come impulso di forte volere, come misura di sana e coscienziosa azione.

Il « gran ritorno » alle massime del messaggio di Betlemme non è stato mai più che oggi necessario al mondo.

Eppure raramente è stato così dolorosamente manifesto in mezzo agli uomini il contrasto fra i precetti di quel divino messaggio e la realtà, quale noi la vediamo.

Vorreste voi forse, diletti figli e figlie, atterriti da questo contrasto, perdervi di coraggio? Vorreste voi aumentare il numero di coloro che, sconcertati dalla instabilità dei tempi, vacillano essi stessi, e in tal guisa, più o meno consapevolmente, fanno il giuoco degli avversari di Cristo? dar prova di pusillanimità dinanzi alla marea crescente dell’orgoglio e della violenza anticristiana?

Nessun cristiano ha il diritto di mostrarsi stanco della lotta contro l’ondata antireligiosa dell’ora presente. Poco importa quali siano le forme, i metodi, le armi, le parole melliflue o minacciose, i travestimenti con cui il nemico si copre! Niuno potrebbe essere scusato di rimanere dinanzi a lui le braccia incrociate, la fronte bassa, le ginocchia tremanti.

È sempre la medesima tattica contro la Chiesa: « Percuoti il pastore, e le pecorelle saranno disperse » [4]. Sempre la medesima tattica impotente a rinnovellarsi, sempre non meno vana che ingloriosa; essa si ripete nei più diversi luoghi, e si cimenta fino al piede della Sede di Pietro. La Chiesa non teme, anche se il suo cuore sanguina, non per sé (essa ha le promesse divine), ma per la perdita di tante anime: i suoi Annali son là per rammentarle quante volte gli assalti più furiosi si sono infranti schiumando contro la rupe forte e calma, su cui, sicura della immortalità, essa riposa. Oggi come ieri, domani come oggi, tutti gli sforzi per vincerla e disgregarla dovranno cedere e spezzarsi dinanzi alla forza vitale del vinculum caritatis, che unisce il pastore al gregge.

Se nell’arduo ma fermo compimento del Nostro ufficio alcunché Ci serena e Ci anima, esso è, dopo la Nostra fiducia in Colui che elegge le cose deboli per confondere l’arroganza dei forti, la convinzione solidamente fondata di poter contare sulla preghiera, sulla fedeltà, sulla vigilanza di una acies ordinata [5], la cui prontezza ed esperienza ha avuto ragione delle più dure prove.

Recentemente Noi abbiamo avuto il gaudio di elevare agli onori degli altari una eroica schiera di martiri, che, suggellando col sangue la professione della loro fede, hanno illustrato l’aurora del nostro secolo.

Da allora, altre falangi di sacerdoti e di fedeli, militi di Cristo ancora ignoti, gli hanno reso e gli rendono la medesima testimonianza. Verrà il giorno, non ne dubitiamo, che li farà uscire dall’ombra e salire nella gloria, quando la storia del nostro tempo vedrà alfine cadere la pesante cortina, che la vela e la oscura.

Possa l’esempio del loro valore e della loro fedeltà sprezzatrice della morte infiammare i cuori dei Nostri diletti figli e figlie e infondere loro quei medesimi sentimenti di fortezza e di fiducia, che assicureranno al vessillo di Cristo la sua pacifica vittoria per il maggior bene di tutta la umanità!

IV. IL FLAGELLO DELLA FAME

Non possiamo terminare questo Nostro Messaggio Natalizio senza un richiamo ai dolori e ai bisogni derivanti dalle gravi condizioni alimentari e sanitarie delle Nazioni provate dalla guerra.

Già il 5 aprile di quest’anno Noi lanciammo un grido d’invocazione ai governanti e ai popoli di quei Paesi, che con le loro riserve potevano venire in aiuto alle popolazioni affamate. E in verità molto è stato fatto. Dinanzi alle tragiche sventure che colpivano soprattutto i deboli, i vecchi, i bambini, il mondo civile non è rimasto insensibile né pigro, e lode va tributata al senso umano e cristiano di quegli uomini e di quelle Nazioni, che hanno provveduto a creare multiformi opere di soccorso. Ricalcando le vie insanguinate degli eserciti, essi hanno recato alle vittime della guerra aiuti di ogni genere; hanno salvato l’onore della umanità così turpemente calpestato dalla violenza e dall’odio.

Volesse il Cielo che quei tesori di energie e di mezzi, caritatevolmente profusi per assistere e sottrarre all’ultima rovina i più miseri, fossero stati sufficienti al bisogno! Purtroppo non è così; onde Noi Ci troviamo costretti a rinnovare l’invocazione della primavera scorsa. Sopra vasti territori dell’Europa e dell’Estremo Oriente incombono gli spettri della più spaventosa carestia e della fame nera.

Il pane — nel senso letterale della parola — manca a intere popolazioni, che vanno quindi miseramente languendo, consunte, fiaccate, preda delle malattie e della miseria, pericolosamente agitate da sordi stimoli di disperati rancori e di profondi sovvertimenti sociali.

Tale è il tremendo pericolo che oscura l’alba del nuovo anno, pericolo tanto più grave perché da alcuni sintomi, i quali palesano incertezza e stanchezza, quella magnanima opera di solidarietà umana sembra prossima a venir meno, prima ancora che sia posto rimedio ai mali di cui si era fatta soccorritrice.

È umano infatti che coloro, cui la fortuna è seconda, siano inclini a mettersi in disparte con l’oblio degli altrui mali. Chiusi l’occhio e il cuore sulle disgrazie di un prossimo ignoto e lontano, stimano di poter giustificare dinanzi alla propria coscienza l’isolamento e il disinteresse verso le altrui necessità; i bisogni personali esauriscono i proventi che le arti della carità risparmiavano; e i mezzi di soccorso restano defraudati di quell’azione di conforto, a cui la fraterna pietà li avrebbe destinati.

Perciò Noi ripetiamo a tutti coloro che possono porgere una sovvenevole mano: Non si raffreddi il vostro zelo; il vostro aiuto sia sempre più pronto e generoso! Taccia ogni gretto egoismo, ogni meschina esitazione, ogni amarezza, ogni indifferenza, ogni rancore. Riguardi l’occhio vostro soltanto la miseria, e soprattutto l’affanno di milioni di fanciulli e di giovani, fra i quali la fame fa strage! In tal guisa voi al tempo stesso darete e riceverete l’ineffabile dono natalizio: Pace in terra agli uomini di buona volontà!

Nulla è infatti così atto a creare gl’indispensabili presupposti spirituali della pace, come il sollievo liberalmente largito, da Stato a Stato da popolo a popolo, al di sopra di ogni confine nazionale; così che, placati da ogni parte i sentimenti di rivalità e di vendetta, frenate le brame di dominazione, bandito il pensiero di privilegiato isolamento, i popoli imparino dalle loro stesse sventure a conoscersi, a tollerarsi, ad aiutarsi, e sulle rovine di una civiltà dimentica dei precetti evangelici si ricostruisca la città cristiana, dove legge suprema è l’amore.

Con tale voto Noi auguriamo a quanti Ci ascoltano, in questa vigilia del Santo Natale, « la pace di Dio che sorpassa ogni intendimento » [6], mentre con effusione di cuore impartiamo a tutti i Nostri diletti figli e figlie nel mondo intero, come pegno delle più elette grazie del Verbo di Dio fatto uomo, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.


[1] Matth., 7, 20.

[2] Ier., 29, 11.

[3] I Cor., 4, 4.

[4] Zac., 13, 7.

[5] Cant., 6, 3.

[6] Philipp., 4, 7.

 



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