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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
AL TERMINE DELLA LETTURA DEL DECRETO
CON IL QUALE LA SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI
APPROVA I MIRACOLI OPERATI PER INTERCESSIONE
DEL CANONICO GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO 
 

Aula ducale del Palazzo apostolico Vaticano
13 agosto 1916

 

Al triplice inno di lode e di ringraziamento a Dio che si è sprigionato or ora dal vostro labbro, o dilettissimo figlio, Noi facciamo eco con un accento che Ci esce dal cuore più che dal labbro. Voi, novello Superiore della Piccola Casa della Divina Provvidenza in Torino, avete preso le mosse al vostro dire dalle parole che i figli del Venerabile Cottolengo sogliono scambiarsi come saluto, e col medesimo affettuoso Deo gratias ripetuto tre volte avete posto degna corona al vostro discorso. Merita lode il pubblico omaggio da voi reso ad una tra le belle tradizioni, che fioriscono all’ombra del provvidenziale Istituto, di cui avete da poco tempo assunto il governo. Ma voi avete opportunamente avvertito che oggi il Deo gratias risuona sul vostro labbro come espressione del giubilo che a voi e ai figli vostri cagiona il progressivo avanzarsi della Causa di beatificazione del Venerabile Cottolengo verso l’appagamento del comune desiderio. Al vostro giubilo, alla ben fondata letizia dell’animo vostro partecipammo anche Noi, adorando gli arcani disegni, ai quali sembrano ordinati i prodigi da Dio compiuti. Oh! quanto godiamo di potere oggi annunziare a tutta quanta la Chiesa che le guarigioni attribuite alla intercessione del Venerabile Cottolengo presentano tali caratteri da doversi dire « opera di Dio »! « A Domino factum est istud » possiamo dire riguardo alla guarigione di Maria Liberata Re, perché non l’uomo, ma solo Iddio poteva operarla, instantanea e perfetta, a favore della pia probanda, che la sera innanzi del miracolo era stata dichiarata in agonia: « a Domino factum est istud» dobbiamo del pari ripetere riguardo alla più recente guarigione di Suor Maria Addolorata, perché di una infermità, di cui i medici proclamano che « l’esito è sempre funesto », chi mai se non Iddio poteva assicurare la guarigione, che oggi ancora la settantenne religiosa Taidina dimostra di aver conseguita instantanea, perfetta e durevole?

Ma il reale Salmista nell’annunziare il carattere soprannaturale di quella pietra che, rigettata dai giudei come inutile, divenne invece testata di angolo nell’edificio della Chiesa, non fu pago di dire che Iddio solo potea far cosa tale — « a Domino factum est istud » —, aggiunse di più: « e la cosa è meravigliosa negli occhi nostri » « et est mirabile in oculis nostris ». Anche Noi, o dilettissimi, non vogliamo limitarci a riconoscere il carattere soprannaturale nelle guarigioni operate da Dio per intercessione del Ven. Cottolengo; ma, facendo nostra tutta la frase del Salmista, non siamo paghi di dire: « dal Signore è stata fatta la tal cosa », ma soggiungiamo: « ed ella è meravigliosa negli occhi nostri »: « a Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris » (Ps. XCVII. 22).

I prodigi operati da Dio per intercessione del Venerabile Cottolengo devono certamente eccitare nell’animo nostro un senso di profonda ammirazione, perché sono altrettanti atti della Divina Onnipotenza, e l’uomo, quando sente a sé vicino Iddio, deve atteggiarsi a maggior riverenza, quando lo conosce a sé benefico deve alla cresciuta riverenza congiungere stupore e gratitudine. Ma a voi, o dilettissimi, non è ignota la parola di S. Agostino che diceva « doversi chiamare mirabili tutte le cose che Iddio fa contro il consueto corso della natura: cum Deus aliquid facit contra cognitum nobis cursum solitumque naturae Magnalia vel Mirabilia nominantur » (lib. 26 contra Faustum c. 3). Non ci dobbiamo perciò indugiare nel mettere in rilievo il nesso logico che unisce le due parti della citata frase del Salmista, perché al dire di S. Tommaso « è mirabilissimo quell’effetto che ha una causa semplicemente e a tutti occulta, la quale non può essere che Dio » « admiratione plenum quod habet causam simpliciter et omnibus occultam » (1a q. CV. 7). Anzi torna agevole intendere che quando di un prodigio ottenuto mercé l’intercessione del Ven. Cottolengo può affermarsi che « è opera del Signore » « a Domino factum est istud », necessariamente e quasi a fil di logica se ne deve affermare anche la mirabilità, propria di ogni effetto che solo deriva da Dio: « et est mirabile in oculis nostris ».

Si ingannerebbe però colui il quale nella parola del Salmista riconoscesse solo ciò che abbiamo definito necessaria o logica conseguenza del carattere soprannaturale, insito in ogni vero prodigio.

Imperocché mirabile può dirsi un’opera non solo in se stessa, ma anche pel modo onde è compiuta, più ancora per quelle molteplici circostanze di persone, di tempi e di luoghi, che insieme concorrano ad imprimervi il carattere dell’opportunità. Nessuno pensi che sia superfluo il considerare questo carattere di opportunità nelle opere di Dio, per trarne nuovo motivo di proclamarle ammirabili. Certamente le opere di Dio sono sempre fatte « al loro tempo », e a torto noi le vorremmo accompagnate da circostanze diverse da quelle che ha voluto Iddio; a qualunque esame di esse deve dunque andare innanzi la nostra convinzione che sono opportune per ciò stesso, anzi per ciò solo, che sono fatte da Dio; donde deriva che, anticipatamente al nostro esame, le opere di Dio sono mirabili, anche per il carattere della loro opportunità.

Se non che Iddio non si compiace sempre di fare a noi conoscere ciò che costituisce l’opportunità delle opere sue: noi allora per l’anzidetta previa convinzione, non dobbiamo ammirarle meno; ma chi negherà che le opere di Dio appariscano più eloquenti, quando il Signore si degna di mostrarcene anche la opportunità? Abbiatene la prova, o dilettissimi, nella particolare eloquenza che hanno i prodigi da Dio operati per intercessione del Venerabile Cottolengo. Chi per poco li esamini non può non ravvisarli singolarmente opportuni all’epoca in cui furono operati e, forse anche più, a quella in cui sono dalla Chiesa dichiarati autentici; ma chi non dirà che questa opportunità è un nuovo titolo a proclamarli mirabili, non solo in se stessi, ma principalmente a riguardo nostro? « A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris ».

A dimostrare che i prodigi da Dio operati per intercessione del Ven. Cottolengo siano stati opportuni all’epoca in cui furono operati, e tuttora lo siano a quella in cui dalla Chiesa sono autenticati, è d’uopo anzitutto volgere il pensiero all’indole della Società, ossia allo spirito da cui, nella loro maggioranza, appariscono animati i figli dell’una e dell’altra epoca. Notiamo peraltro che unico o cumulativo può essere un tale esame, sia perché non è remota la data degli accennati prodigi, sia perché dalla metà del passato secolo agli albori del presente, lo spirito animatore della umana Società non ha mutato che per farsi peggiore: i cinquanta anni trascorsi dal primo miracolo operato da Dio per intercessione del Ven. Cottolengo, hanno fatto sì che oggi sia giustificato a più forte ragione l’ammonimento che Iddio volle darci con quei prodigi.

Imperocché — duole il dirlo! — i figli dell’epoca nostra hanno ereditato dalla precedente generazione lo spirito dell’egoismo. Questo maledetto egoismo sprezza i diritti del prossimo e, ciò che è più grave, sprezza anche i diritti di Dio: dall’una parte dimentica che chi ha pari l’origine e pari il fine dovrebbe godere non diversa la considerazione degli uomini, dall’altra ripone ogni fiducia nelle proprie forze, e nega praticamente essere Iddio la fonte di ogni ricchezza e la ragione di ogni prosperità, anche materiale. Il caro nome di fratelli ha esulato dal labbro dei figliuoli del secolo, o vi risuona come amara ironia. E quanti sono coloro che a Dio levano la mente in mezzo alle difficoltà e alle angustie? quanti pensano a Dio, o a Dio ricorrono come a Colui dal quale potrebbero aver rimedio le loro infermità, sollievo i loro affanni, indirizzo gli studi, sicurezza e prosperità i loro commerci e le loro industrie? Ah! se l’oracolo infallibile maledisse l’uomo che confida solo in altro uomo: « maledictus homo qui confidit in homine », apparisce altamente riprovevole quel maledetto egoismo, pel quale l’uomo dall’un canto mira ad innalzare se stesso sopra i suoi simili, e dall’altro mostra di confidar tanto in sé da non far caso di Dio.

Non insistiamo, o dilettissimi, nel dimostrare che sta proprio qui lo spirito del secolo: una dolorosa esperienza illumina anche i ciechi! Vi domandiamo invece se non direste opportuno ciò che fosse ordinato ad affievolire cotesto spirito, ed a correggere i danni che la diffusione di esso avesse già prodotti? La vostra risposta non può non essere affermativa. Ma la « Piccola Casa della Divina Provvidenza in Torino » non sorse appunto per accogliere sotto le grandi ali della carità tutte le miserie, morali e materiali, dell’umana famiglia, e per provvedere a tutte in opposizione all’egoistica noncuranza del passato secolo? Argomentatelo, o dilettissimi, dalla parola dell’apostolo: « caritas Christi urget nos », che il Cottolengo fece sua, e volle posta sulla fronte del primo asilo da lui aperto a sollievo dell’umanità languente. E la « Piccola Casa della Provvidenza » non sorse dessa in Torino, affinché un senso di illimitata fiducia in Dio apparisse contrapposto all’egoismo di un secolo che ogni grandezza, ogni bene, ogni felicità pretendeva potersi conseguire colle sole forze dei suoi figli? Non vorrà metterlo in dubbio chi ricordi che il Cottolengo usava chiamarsi « semplice strumento nelle mani della Divina Provvidenza », e che ogni sua parola, ogni suo atto indirizzava ad attestare la sua piena ed esclusiva fiducia in Dio. Fu detto egregiamente che una santa gara si avvertiva fra il totale abbandono del Cottolengo nelle mani della Divina Provvidenza e la sollecita cura della Provvidenza Divina nel premiare, spesso in modo prodigioso, quel totale abbandono del Cottolengo. Ma Iddio che faceva prosperare mirabilmente il novello Istituto, Iddio che adempiva il presagio onde il Cottolengo aveva detto che « il suo stabilimento si sarebbe presto cambiato in paese », Iddio richiamava fortemente i figliuoli del secolo decimonono alle massime del Vangelo, e quel forte richiamo contro il dominante spirito di egoismo non poteva non imprimere all’opera di Lui quella bellezza, che deriva anche dalla sua opportunità: « a Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris ».

Può dirsi che l’Istituto del Cottolengo eleva anche oggi la sua forte voce contro l’egoismo del secolo, perché anche oggi è la casa non dell’uomo ma della Divina Provvidenza; anzi, se ha conservato il nome di « piccola casa », ha nondimeno visto farsi ognora più grande il numero dei prodigi in essa compiuti, sicché la sua fondazione deve apparire ognora più opportuna.

Ma fra i prodigi più intimamente connessi alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, oggi devono attirare la speciale nostra attenzione quelli che furono da Dio compiuti ad intercessione del Venerabile Fondatore, perché crediamo non vada errato chi scorge in essi la voce di Dio opportunamente ripetuta contro il maledetto egoismo.

Vi è noto infatti, o dilettissimi, che dei prodigi oggi dalla Chiesa autenticati furono termine avventuratissimo due membri della numerosa famiglia spirituale del Cottolengo; vi è noto che la fortunata sede di quei miracoli fu la Piccola Casa della Divina Provvidenza; e chi di voi non sa che Iddio volle fossero annunziati dallo stesso Cottolengo, non in modo ordinario, ma anche colla riprova di una profezia? Chi non sa che Iddio li volle invocati, non da due sole persone, ma da numeroso stuolo di consorelle, abituate a mettere la loro fiducia solo in Dio? Né Voi certamente avete posto in oblio la circostanza del tempo in cui ebbero luogo i due accennati prodigi, perché non fu senza un amoroso consiglio di Dio che avvenissero o in un giorno anniversario della morte del Cottolengo, o quando dopo quell’anniversario il sole non aveva ancora illuminato due volte la terra. Or l’insieme di queste circostanze di tempo, di luogo e di persone, non vi persuade o dilettissimi, che il Signore indirizzava le opere della sua mano a mettere in bel rilievo la figura di Giuseppe Benedetto Cottolengo, affinché ne fosse più universalmente conosciuto ed esaltato lo spirito? I prodigi avvenivano in quella « Piccola Casa », dove ancora echeggiavano le proteste del Cottolengo, che, vero terziario di S. Francesco, dichiarava di non voler ricorrere ai ricchi della terra per non far torto al Padrone dell’universo: i prodigi avvenivano a pro’ di alcuni membri di quelle famiglie nelle quali era ancor vivo il ricordo dei rimproveri, onde il Cottolengo aveva biasimato chi, non distribuendo tutti in un giorno i cibi forniti dalla carità dei benefattori, aveva mostrato di non avere nella Divina Provvidenza una fiducia così piena, da credere che avrebbe provveduto anche al domani: finalmente i prodigi avvenivano in giorni nei quali l’anniversaria memoria della morte del Fondatore ravvivava il ricordo dei suoi detti e dei suoi atti, rendendo quasi sensibili gli ammaestramenti del suo spirito. Oh! i prodigi ottenuti per intercessione del Ven. Cottolengo, se furono premio alla carità da lui praticata con totale abbandono nelle mani di Dio, dovettero anche essere interpretati, per la ragion dei contrarii, come condanna dello spirito di egoismo, che tante stragi menava allora in mezzo alla società. Questa opportuna condanna costituì il nuovo titolo della mirabilità di quei prodigi, quando furono operati: « a Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris ».

Ma la condanna del maledetto egoismo, implicita nei miracoli da Dio operati per intercessione del Ven. Cottolengo, non dovea limitarsi alla sola epoca in cui furono compiuti. A Noi sembra, o dilettissimi, che l’odierna solennità, con la quale la Chiesa riconosce carattere soprannaturale nelle guarigioni attribuite alla intercessione del Ven. Cottolengo, venga quasi a protendere l’ammonitrice voce di Dio, venga a rinnovare la condanna dello spirito di egoismo, che anche ai dì nostri informa l’umana società. Purtroppo il mondo poco o nulla aveva profittato della divina lezione, quando era stata impartita la prima volta; ed ecco che il Signore la ripete un’altra fiata, ordinando al Suo Vicario di commentarla, per renderne più agevole e più diffusa la intelligenza.

Riconosciamo dunque che i prodigi da Dio operati per intercessione del Ven. Cottolengo meritano tutta la nostra ammirazione anche per gli ammaestramenti che danno, e che appariscono particolarmente opportuni all’epoca in cui essi sono dalla Chiesa autenticati. La parola del reale Salmista non potrebbe avere interpretazione più rigorosa, perché non si tratta di cosa meravigliosa in genere, ma di fatto che apparisce mirabile « agli occhi nostri »; noi non diciamo solo: « a Domino factum est istud, et est mirabile », ma abbiamo ragione di dire: « et est mirabile in oculis nostris ».

Oh! piaccia al Signore che tutti i figli nostri concorrano a rendere universale siffatto riconoscimento! Piaccia a Lui di rendere efficaci le lezioni di carità e di totale abbandono nelle Sue mani, che abbiamo visto derivare dai prodigi operati per intercessione del Cottolengo!

Questo Venerabile Servo di Dio fondò una « Piccola Casa »: oh! lo spirito da cui era animato il Cottolengo si propaghi fra gli individui e le famiglie, si estenda ai paesi e alle città, domini il mondo… e il mondo diverrà non la piccola, ma la gran casa della Divina Provvidenza!

Affinché questo nostro voto abbia sollecito ed universale appagamento, impartiamo la Benedizione Apostolica non solo ai Superiori e rappresentanti della « Piccola Casa della Divina Provvidenza in Torino » oggi qua convenuti, ma anche a tutti coloro che, da vicino o da lontano, oggi si rallegrano del nuovo passo fatto dalla Causa di beatificazione del Ven. Cottolengo, e ne traggono lieti auspicii per l’avvenire.

 

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