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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Dio è persona

Giovedì, 18 aprile 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 91, Ven. 19/04/2013)

 

Parlare con Dio è come parlare con delle persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Perché questo è il nostro Dio, uno e trino; non un dio indefinito e diffuso, come uno spray sparso un po’ ovunque. È questo il senso della riflessione proposta da Papa Francesco nell’omelia pronunciata durante la messa celebrata questa mattina, giovedì 18 aprile, nella Domus Sanctae Marthae, alla quale hanno partecipato dirigenti e agenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano.

Con il Pontefice hanno concelebrato, tra gli altri, l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato; i vescovi Charles Scicluna, ausiliare di Malta, e Flavio Roberto Carraro, emerito di Verona; i monsignori José Bettencourt, capo del protocollo della Segreteria di Stato, Assunto Scotti, capo ufficio della prima sezione della Segreteria di Stato, e Giuseppe Saia, coordinatore nazionale dei cappellani della Polizia di Stato italiana. Il rito è stato diretto da monsignor Guillermo Javier Karcher, cerimoniere pontificio. Tra le personalità presenti, i prefetti Alessandro Marangoni, vicecapo della Polizia con funzioni vicarie, e Salvatore Festa, direttore dell’ufficio di collegamento tra le autorità vaticane e il ministero dell’Interno italiano, ed Enrico Avola, dirigente dell’Ispettorato di pubblica sicurezza presso il Vaticano.

È il Signore che «ci parla della fede» ha esordito il Papa all’omelia. Egli ci dice di «credere in lui. Ma prima ci dice anche un’altra cosa: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Andare da Gesù, trovare Gesù, conoscere Gesù è un dono del Padre. È un dono. La fede è un dono. Un dono che abbiamo ricevuto nel battesimo ma che poi deve svilupparsi nella vita, svilupparsi nel cuore, svilupparsi nelle opere che facciamo. La fede è un dono, e chi ha questa fede ha la vita eterna. Possiamo domandarci: “Abbiamo fede?”. “Sì, sì: io credo in Dio”. “Ma in quale Dio tu credi?”. “Mah, in Dio!”. Quante volte sentiamo questo “in Dio”. Un dio diffuso, un dio-spray, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in persone, e quando parliamo con Dio parliamo con persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede».

Riferendosi poi alla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (8, 26-40), il Papa si è soffermato sulla figura dell’eunuco etiope tesoriere della regina Candace, il quale aveva una fede ancora poco matura e salda, una «fede all’inizio». Però «aveva buona volontà. Era venuto a Gerusalemme a pregare, ad adorare Dio, e leggeva il profeta Isaia. Aveva una certa inquietudine nell’anima. L’aveva messa il Padre per attirarlo a Gesù. E quest’uomo, quando Filippo si avvicina a lui e gli domanda: “Ma tu capisci quello che leggi?”, gli risponde di no. E quando Filippo gli annuncia Gesù, quest’uomo sente che quella è una buona notizia. Sente gioia. Incomincia a sentire una gioia speciale. E tanta era la gioia che quando vede l’acqua dice: “Battezzami adesso! Io voglio seguire Gesù!”».

Questa, ha sottolineato Papa Francesco, è una cosa che ci deve far riflettere: «Pensiamo: non era un uomo di strada, un uomo comune. Era un ministro dell’economia, eh! Possiamo pensare che sia stato un po’ attaccato ai soldi. Possiamo pensare anche che fosse un carrierista perché aveva rinunciato alla paternità per la sua carriera, no? Ma tutto questo crolla davanti a quell’invito del Padre a incontrare Gesù. Questa è la fede. E poi Gesù ci dice come è la sua strada, ci insegna gli atteggiamenti di quelli che lo seguono: nelle beatitudini, poi nell’atteggiamento nostro. “Per seguire me, queste sono le cose da fare: le beatitudini”». Alle quali si aggiungono gli atteggiamenti descritti nel «capitolo 25 di Matteo, a proposito del Giudizio finale: “Ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai offerto l’acqua, sono stato ammalato e mi hai visitato” (cfr. Matteo 25, 31-46). Sono gli atteggiamenti dei discepoli di Gesù. Chi ha la fede ha la vita eterna, ha la vita. Ma la fede è un dono, è il Padre che ce la dà. Noi dobbiamo continuare questo cammino».

Potrebbe capitare anche a noi, ha notato il Pontefice, di percorrere quella strada mentre siamo assorti nei nostri pensieri. Del resto, «peccatori siamo tutti e abbiamo sempre alcune cose che non vanno», nonostante il Signore ci perdoni «se gli chiediamo perdono: e avanti sempre, senza scoraggiarci!». È possibile dunque che su quella strada ci succeda la stessa cosa capitata al tesoriere etiope. Una volta risaliti dall’acqua dopo il battesimo — ha raccontato Papa Francesco — lo Spirito del Signore rapì Filippo ed egli «non lo vide più. E pieno di gioia proseguì la sua strada».

Era la gioia della fede, «la gioia di aver incontrato Gesù, la gioia che soltanto ci dà Gesù, la gioia che dà pace: non quella che dà il mondo, quella che dà Gesù. Questa è la nostra fede», quella che ci «fa forti, ci fa gioiosi», e si alimenta sempre nella vita «con i piccoli incontri quotidiani con Gesù».

A conclusione della messa, dopo la preghiera a san Michele arcangelo, patrono della Polizia di Stato, il Papa ha voluto ringraziare tutti i presenti «per il servizio che svolgete nella società. Un servizio difficile; un servizio per il bene comune, per la pace comune. Un servizio che è pericoloso, anche, per la vita. Un servizio che — come abbiamo chiesto a san Michele arcangelo — vuole rettitudine della mente, vigore del volere, onestà per gli affetti, serenità. Grazie tante per questo servizio. Il Signore vi benedica tanto».

 


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