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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Quando i pastori diventano lupi

Mercoledì, 15 maggio 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 111, Giov. 16/05/2013)

 

Vescovi e preti che si lasciano vincere dalla tentazione del denaro e dalla vanità del carrierismo da pastori si trasformano in lupi «che mangiano la carne delle loro stesse pecore». Non ha usato mezzi termini Papa Francesco per stigmatizzare il comportamento di chi — ha detto citando sant’Agostino — «prende la carne, per mangiarla, alla pecorella; si approfitta, fa negozi ed è attaccato ai soldi, diventa avaro e anche tante volte simoniaco. O si approfitta della lana per la vanità, per vantarsi».

Per superare queste «vere e proprie tentazioni» vescovi e sacerdoti devono pregare, ma hanno anche bisogno della preghiera dei fedeli. Quella che lo stesso Pontefice ha chiesto questa mattina, mercoledì 15 maggio, a quanti hanno partecipato alla celebrazione della messa nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Il Santo Padre ha commentato le letture del giorno: la prima (Atti degli apostoli, 20, 28-38) «è una delle pagine più belle del Nuovo Testamento» ha notato. Racconta del rapporto tra Paolo e i fedeli di Efeso, dunque del rapporto del vescovo con il suo popolo, «fatto di amore e di tenerezza». Di questo rapporto si parla anche nel vangelo di Giovanni (17, 11-19), «dove ci sono alcune parole chiave» — ha spiegato il Pontefice — che il Signore rivolge ai discepoli: «vegliate»; «custodite, custodite il popolo»; «edificate, difendete». E «Gesù dice al Padre: “consacra”». Sono parole e gesti che esprimono proprio un rapporto di protezione, di amore fra Dio e il pastore e fra il pastore e il popolo. «Questo — ha precisato il Papa — è un messaggio per noi vescovi, per i preti e per i sacerdoti. Gesù dice a noi: “Vegliate su voi stessi e su tutto il creato”. Il vescovo e il prete devono vegliare, fare la veglia proprio sul suo popolo. Anche curare il suo popolo, farlo crescere. Anche fare sentinella per avvertirlo quando vengono i lupi».

Tutto ciò «indica un rapporto molto importante fra vescovo, prete e popolo di Dio. Alla fine un vescovo non è vescovo per se stesso, è per il popolo; e un prete non è prete per se stesso, è per il popolo». Un rapporto «molto bello» basato sull’amore reciproco. E «così la Chiesa diventa unita. Voi — ha chiesto ai fedeli — pensate sempre ai vescovi e ai preti, eh? Abbiamo bisogno delle vostre preghiere».

Del resto, ha precisato, il rapporto tra vescovi, preti e popolo di Dio non è fondato sulla solidarietà sociale, per cui «il vescovo, il prete è solidale col popolo: noi qui, voi là». Si tratta piuttosto di un «rapporto esistenziale», «sacramentale», come quello descritto nel Vangelo, nel quale «vescovo, preti e popolo si inginocchiano e pregano e piangono. E quella è la Chiesa unita! L’amore mutuo tra vescovo, prete e popolo. Noi abbiamo bisogno delle vostre preghiere per fare questo, perché anche il vescovo e il prete possono essere tentati».

Dunque, primo compito di un vescovo e di un prete «è pregare e predicare il Vangelo. Un vescovo, un prete deve pregare e tanto... Deve annunciare Gesù Cristo Risorto e tanto. Noi dobbiamo chiedere al Signore che custodisca proprio noi vescovi e i preti, perché possiamo pregare, intercedere, predicare con coraggio il messaggio di salvezza. Il Signore ci ha salvato! E lui è vivo fra noi»!

Ma «anche noi — ha aggiunto — siamo uomini e siamo peccatori»: tutti possiamo essere peccatori «e siamo anche tentati. Quali sono le tentazioni del vescovo e del prete? Sant’Agostino, commentando il profeta Ezechiele, parla di due tentazioni: la ricchezza, che può diventare avarizia, e la vanità. E dice: “Quando il vescovo, il prete si approfitta delle pecore per se stesso, il movimento cambia: non è il prete, il vescovo per il popolo, ma il prete e il vescovo che prende dal popolo”». Sete e vanità: ecco le due tentazioni di cui parla sant’Agostino: «È la verità! Quando un prete, un vescovo va dietro ai soldi, il popolo non lo ama e quello è un segno. E lui stesso finisce male. Paolo parla di questo: “Ho lavorato con le mie mani”. Paolo non aveva un conto in banca, lavorava. E quando un vescovo, un prete va sulla strada della vanità, entra nello spirito del carrierismo, fa tanto male alla Chiesa». E alla fine diventa persino ridicolo, perché «si vanta, gli piace farsi vedere, tutto potente. E il popolo non ama quello! Vedete qual è la nostra difficoltà e anche le nostre tentazioni; perciò dovete pregare per noi, perché siamo poveri, perché siamo umili, miti, di servizio del popolo».

Il Pontefice ha rinnovato ai presenti l’invito a rileggere questa pagina di Vangelo per convincersi della necessità di pregare per «noi vescovi e per i preti. Ne abbiamo tanto bisogno per rimanere fedeli, per essere uomini che vegliano sul gregge e anche su noi stessi». E anche perché «il Signore ci difenda dalle tentazioni, perché se noi andiamo sulla strada delle ricchezze, se andiamo sulla strada della vanità, diventiamo lupi, E non pastori».

Con il Papa hanno concelebrato, fra gli altri, monsignor Ricardo Blázquez Pérez, arcivescovo di Valladolid, in Spagna, e il gesuita Andrzej Koprowski, direttore dei programmi della Radio Vaticana, presente insieme con un gruppo di collaboratori dell’emittente.

 



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