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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Tre donne

Lunedì, 15 settembre 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.210, Lun.-Mart. 15-16/09/2014)

 

Due donne e madri — Maria e la Chiesa — portano Cristo a una terza donna, che assomiglia alle prime due ma è più «piccola»: la nostra anima. Con questa immagine tutta al femminile il Papa ha voluto riaffermare che senza la maternità di Maria e della Chiesa non abbiamo Cristo. «Noi non siamo orfani» ha ricordato durante la messa celebrata stamani, lunedì 15 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta.

Francesco ha messo subito in evidenza come «la Chiesa, nella sua liturgia, ci porta due volte, per due giorni, uno dopo l’altro, al Calvario»: difatti «ieri ci faceva contemplare la croce di Gesù, oggi la sua madre presso la croce» (Giovanni 19, 25-27). In particolare, «ieri ci faceva dire una parola: gloriosa». Una parola riferita alla «croce del Signore, perché portava la vita, ci portava la gloria». Ma «oggi la parola più forte della liturgia è: madre. Gloriosa la croce; umile, mite la madre», che la liturgia celebra oggi come Vergine addolorata.

La meditazione sulla madre ci porta dritti a Gesù come figlio. «Nel brano della Lettera agli ebrei che abbiamo sentito — ha fatto notare il Pontefice riferendosi al capitolo 5 (7-9) — Paolo sottolinea tre parole forti parlando di Gesù figlio: imparò, obbedì e patì». Gesù, in sostanza, «imparò l’obbedienza e patì». Dunque «è il contrario di quello che era accaduto al nostro padre Adamo, che non aveva voluto imparare quello che il Signore comandava, che non aveva voluto patire né obbedire». Oltretutto, ha proseguito, «questo brano della Lettera agli ebrei ci ricorda quell’altro passo della Lettera ai filippesi: pur essendo Dio, non considerò un bene irrinunciabile; si annullò, umiliò se stesso facendosi servo. Questa è la gloria della croce di Gesù». Il quale, ha affermato Francesco, «è venuto al mondo per imparare a essere uomo, ed essendo uomo, camminare con gli uomini. È venuto al mondo per obbedire e ha obbedito». Ma «questa obbedienza l’ha imparata dalla sofferenza».

«Adamo è uscito dal paradiso con una promessa — ha proseguito — che è andata avanti durante tanti secoli. Oggi, con questa obbedienza, con questo annullare se stesso, umiliarsi di Gesù, quella promessa diventa speranza». E «il popolo di Dio cammina con speranza certa».

Anche Maria, «la madre, la nuova Eva, come lo stesso Paolo la chiama, partecipa di questa strada del figlio: imparò, soffrì e obbedì». Ella «diventa madre». Potremmo dire che è «unta madre» — ha affermato il Pontefice — e lo stesso vale per la Chiesa.

Questa dunque è «la nostra speranza: noi non siamo orfani, abbiamo madri»: anzitutto Maria. E poi la Chiesa, che è madre «quando fa la stessa strada di Gesù e di Maria: la strada della obbedienza, la strada della sofferenza, e quando ha quell’atteggiamento di imparare continuamente il cammino del Signore».

«Queste due donne — Maria e la Chiesa — portano avanti la speranza che è Cristo, ci danno Cristo, generano Cristo in noi» ha ribadito il vescovo di Roma. Così «senza Maria, non sarebbe stato Gesù Cristo; senza la Chiesa, non possiamo andare avanti». Sono «due donne e due madri».

«Maria — ha spiegato Francesco — era fermissima presso la croce, era legata con il figlio perché lo aveva accettato e sapeva, più o meno, che la aspettava una spada: Simeone glielo aveva detto». Maria è «la madre fermissima», ha proseguito, «che ci dà sicurezza in questa strada di imparare, di soffrire e di obbedire». E anche la Chiesa madre «è fermissima quando adora Gesù Cristo e ci guida, ci insegna, ci copre, ci aiuta in questa strada della obbedienza, della sofferenza, dell’imparare questa saggezza di Dio».

Di più, ha affermato ancora il Pontefice, «anche la nostra anima partecipa di questo, quando si apre a Maria e alla Chiesa: secondo il monaco Isacco, l’abate di Stella, anche la nostra anima è femminile e assomiglia analogamente a Maria e alla Chiesa». Così «oggi, guardando presso la croce questa donna — fermissima nel seguire suo figlio nella sofferenza per imparare l’obbedienza — guardiamo la Chiesa e guardiamo nostra madre». Ma «anche guardiamo la nostra piccola anima, che non si perderà mai se continua a essere anche una donna vicina a queste due grandi donne che ci accompagnano nella vita: Maria e la Chiesa».

Francesco ha concluso ricordando che, «come dal paradiso sono usciti i nostri padri con una promessa, oggi noi possiamo andare avanti con una speranza: la speranza che ci dà la nostra madre Maria, fermissima presso la croce, e la nostra santa madre Chiesa gerarchica».

 



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