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VISITA PASTORALE IN LOMBARDIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cimitero di Milano - Venerdì, 2 novembre 1984

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Non sembri strano che il Papa incontri una città attiva e operosa come Milano presso il cimitero. Poiché oggi tutti i milanesi visitano il cimitero, anch’io ho voluto unirmi a voi in questo pellegrinaggio alle tombe. Trovo qui espressa un’intuizione preziosa: la vita non può risolversi tutta nel fare, nel lavorare, nel godere, nel soffrire dentro un orizzonte terreno.

Nella doverosa memoria di chi non è più tra noi, la vita ci appare nella dimensione fondamentale: considerazione dei fini ultimi, interrogazione su ciò che viene dopo la morte, sguardo rivolto all’aldilà, al nostro destino eterno.

2. Purtroppo due atteggiamenti svigoriscono questa intuizione validissima, che si esprime nella visita al cimitero. Il pensiero della morte, che coltiviamo specialmente in questo giorno, dedicato al ricordo dei defunti, viene accantonato negli altri giorni dell’anno. La nostra civiltà tende a depistare il pensiero della morte, perché non vuole essere disturbata nel suo sogno di benessere terreno come valore esclusivo per l’uomo, inteso quale soggetto assoluto. L’uomo tende a eliminare dalla propria mente il pensiero che tutto, specie quanto da lui costruito col proprio ingegno e lavoro, debba finire.

La memoria dei defunti, inoltre, tende a volte a generare una devozione solo intimistica, che non è in continuità con la pietà autenticamente cristiana, con la preghiera della Chiesa, con la celebrazione eucaristica, con l’intensa partecipazione alla vita di fede e di carità di tutta la comunità cristiana.

3. Carissimi fedeli, perché non chiedere al nostro patrono san Carlo di illuminarci sul significato della morte? Nonostante i quattro secoli che ci separano da lui, egli ha forse la risposta capace di orientare i nostri passi sulle strade del mondo contemporaneo.

Ciò che balza all’occhio, leggendo la sua biografia, è che san Carlo seppe trarre dal pensiero della morte un messaggio per la vita. È noto che egli prese la decisione definitiva di dedicarsi al servizio di Dio e della Chiesa proprio in occasione della morte del fratello Federico. Essendo rimasto l’unico figlio maschio della famiglia, molti insistevano perché si sposasse e assicurasse una continuità nella discendenza dei Borromeo. Invece proprio la morte del fratello gli aprì gli occhi sulla povertà delle cose umane. Carlo chiese al Papa di essere ordinato presbitero, fece un corso di esercizi spirituali e cominciò risolutamente nel cammino della santità, in cui perseverò per tutta la vita.

Anche dopo la peste, che si abbatté su Milano nel 1576 mietendo migliaia di vittime, san Carlo si rivolse ai milanesi con un “memoriale” in cui chiedeva loro di ricordare il flagello della recente epidemia, apportatrice di sofferenza e di morte, per impegnarsi a cambiare vita. Questa era, infatti, la sua convinzione: la morte deve essere maestra di vita per tutti.

4. Ma come ciò può avvenire? Come è possibile fare della morte il principio vero e profondo di una vita nuova? Qui è necessario ricordare quell’atteggiamento di san Carlo, che a tal punto ha caratterizzato la sua figura spirituale e ha impressionato i suoi contemporanei, da diventare l’atteggiamento in cui più spesso egli è ritratto, cioè la preghiera davanti a Gesù crocifisso. La morte di Cristo in croce è quella che ha aiutato san Carlo a capire il senso della morte e la possibilità di vita nuova, che dalla morte scaturisce. La morte di Cristo è il segno supremo dell’amore di Dio per noi peccatori ed è il modello dell’affidamento dell’uomo alle mani del Padre. Per questo è fonte di vita, vittoria sul male e sul peccato, principio di una vita vissuta nell’obbedienza, nella fedeltà, nella dedizione a Dio e ai fratelli. “Dio è colui per il quale ci affatichiamo - diceva il santo arcivescovo in un discorso pronunciato pochi mesi prima di morire - ; Dio è colui al quale serviamo... O fratelli, o figli, il Figlio di Dio ha fatto e ha sofferto per noi cose molto più grandi... Che cosa, se non l’amore per noi, ha condotto lui, il più bello tra i figli degli uomini, a un tale stato, da non avere né bellezza, né splendore? Ripaghiamo dunque l’amore, con l’amore”.

5. Carissimi milanesi, se vogliamo che il pensiero della morte, che ci ha condotti quest’oggi al cimitero, dove riposano persone che hanno avuto un significato e un’importanza nella nostra vita, non venga dimenticato negli altri giorni della nostra esistenza o non generi solo una pietà sentimentale e privata, dobbiamo illuminarlo e purificarlo con la luce che ci viene dalla morte di Cristo. Questa ci dice che la nostra morte è vinta e redenta. Come Cristo attraverso la morte è giunto alla vita, così anche i credenti in Cristo attraverso la morte sono chiamati alla gioia della risurrezione e della vita immortale. La morte per l’uomo è il momento dell’incontro con Dio: è l’inizio della vita che non avrà fine.

La morte di Cristo, vista come gesto supremo di amore, diventa sorgente di vita non solo oltre la morte, ma già in ordine all’esistenza che conduciamo su questa terra.

Essa ci insegna paradossalmente a non volere e insieme a volere la morte. Ci insegna a non volere quella morte che è frutto di odio, di ingiustizia, di peccato. Anche a Milano si muore per la solitudine, per l’abbandono, per il disprezzo della vita che inizia o finisce, per l’aggressione ingiusta, per l’egoismo di chi non pensa ai gravi bisogni degli altri, per l’inosservanza o la carenza delle leggi. La morte di Cristo ci insegna a non volere con tutte le nostre forze queste morti.

E insieme ci insegna a volere la morte nel senso di prepararci, giorno per giorno, alla morte, nel senso di essere pronti a servire i fratelli fino al dono della vita, fino a spendere giorno per giorno tutte le energie della nostra vita non nella ricerca del nostro interesse egoistico, ma nella dedizione incondizionata al bene dei fratelli.

6. Milanesi, io sono qui con voi a pregare per i vostri morti, per tutti coloro che in questa città, nel corso dei secoli, vissero, faticarono, amarono, gioirono, piansero, morirono, e ora sono nella pace di Dio. Per loro elevo con voi la preghiera del cristiano suffragio.

Il loro ricordo sia per voi di sprone a impegnarvi in una vita degna degli esempi migliori da essi lasciati. Che dal cielo il vostro san Carlo e, con lui, sant’Ambrogio e gli altri vescovi santi, i quali spesero le loro energie al servizio del gregge di Cristo in questa città; che i vostri antenati, i quali credettero, sperarono, amarono in questi stessi luoghi in cui voi oggi abitate, possano essere fieri di voi per la nobiltà dei vostri sentimenti, per la limpidezza della vostra fede, per la coerenza della vostra condotta in ogni circostanza della vita. Che la Milano di oggi, in spirituale sintonia con la Milano cristiana di ieri, passi la fiaccola della fede alla generazione che popolerà la Milano di domani. È la fede, infatti, che alimenta in noi la beata speranza di poterci ritrovare tutti uniti, un giorno, nella gioia senza ombre del cielo.

Così sia!

 

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