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VISITA PASTORALE IN LOMBARDIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza Vittoria (Pavia) - Sabato, 3 novembre 1984

 

1. “. . . Abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16).

Ci troviamo sull’itinerario di san Carlo Borromeo: in occasione del IV centenario della sua morte, visitiamo i luoghi che ebbero un significato-chiave per la sua vita. Tutta la vita di Carlo Borromeo fu una via alla santità. E la santità nasce dalla conoscenza dell’amore, per riempire di esso i pensieri, le parole e le opere.

“Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16).

Queste parole della prima Lettera di san Giovanni sono la voce di un testimone oculare. Le applichiamo oggi a san Carlo Borromeo. Si può dire che esse riassumono in modo lapidario il pellegrinaggio di 46 anni di questo vescovo e cardinale, che Cristo chiamò in un periodo difficile della storia della Chiesa, per farlo diventare un testimone autentico del Vangelo.

Carlo Borromeo ha conosciuto l’amore. Ha conosciuto quest’amore che si è rivelato nella storia dell’uomo mediante Cristo e in Cristo. In Gesù Cristo si è rivelato l’amore che è da Dio stesso. E si è rivelato per il fatto che Cristo “ha dato la sua vita per noi”.

Carlo ha conosciuto l’amore. Questa fu la più grande scoperta della sua vita, la più grande “conoscenza”. Tale conoscenza ha tracciato una direzione a tutti i suoi pensieri, alle parole e alle opere. In ciascuno di essi risuonava una forte eco di questa conoscenza: anch’io devo dare la vita per i fratelli.

2. Questa conoscenza risale certamente all’ambiente familiare, nel quale egli ricevette una buona educazione cristiana, che lo abituò fin dai più teneri anni al distacco da quegli agi e quelle ricchezze tra i quali viveva, così da sapersene servire con uno sguardo particolarmente rivolto alle necessità dei poveri. Carlo dette prova di questa sua generosità appresa dai pii genitori fin da quando, appena ragazzo, poté usufruire del beneficio di un’abbazia e pensò subito, col pieno consenso del padre, di devolverlo totalmente a favore dei bisognosi. Carlo saprà mantenere per tutta la vita questo stile di azione: le ingenti possibilità economiche che la Provvidenza gli mise a disposizione, egli seppe sempre utilizzarle dando prova di un’eccezionale capacità organizzativa e amministrativa tutta orientata alla salvaguardia e alla promozione del bene comune e a sovvenire alle necessità di chi era meno favorito dalle situazioni della vita.

Tuttavia questa conoscenza dell’amore si collega senza dubbio in modo particolare con il periodo che il figlio della famiglia Borromeo ha passato qui: all’università di Pavia. Inviatovi dal padre, egli ebbe infatti modo di perfezionare in essa la sua educazione e di crescere nelle virtù, dedicandosi con diligenza agli studi di diritto civile e canonico, nei quali conseguì la laurea, e conducendo un tenore di vita che, se non era diverso da quello dei suoi coetanei, tuttavia già da allora dava prova di essere ispirato a solida pietà e onestà, alieno da ogni ambizione, e frutto di una costante disciplina interiore e di un forte dominio di sé. La sua modestia e semplicità di spirito, nell’ambiente universitario, non furono sempre ben comprese, come suole purtroppo accadere. Egli dava l’impressione di essere un timido, mentre in realtà già da allora il suo animo, distaccato dalle realtà caduche, mirava all’esercizio di un amore, posto al servizio del bene supremo della persona e della collettività. Nella calma e nella riflessione dello studio, egli meditava sul vero bene, approfondiva la conoscenza del vero amore - l’amore di Cristo -, quella conoscenza che sarebbe stata il criterio e la sorgente di tutta la prodigiosa azione pastorale, alla quale la Provvidenza lo destinava.

3. Tra gli sforzi richiesti dall’acquisto della scienza universitaria, è cresciuto in Carlo ciò che è più importante: ha conosciuto l’amore.

Quell’amore che si è rivelato in Gesù Cristo, quando, nel suo mistero pasquale, “ha dato la sua vita per noi”, introdusse san Carlo nel profondo del mistero del Buon pastore.

Nei suoi studi all’università di Pavia, Carlo Borromeo si immerge nella teologia del Buon Pastore.

Gesù dice: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10, 17-18).

L’amore che si lascia conoscere in Gesù Cristo, rivela Dio che è amore. Rivela il Padre.

È proprio il Padre che si rivela nel Figlio, che è il Buon Pastore, e che offre la vita per le pecore (cf. Gv 10, 15).

Carlo Borromeo, durante i suoi studi, conosce sempre più profondamente l’imperscrutabile mistero di Dio. E scopre sempre più in questo mistero se stesso, la sua vocazione.

Il futuro pastore della Chiesa milanese e cardinale - legato al Concilio di Trento - impara la sua vocazione e la sua missione alle supreme fonti della teologia.

“Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12).

4. Nella teologia del Buon Pastore trova il suo fondamento un capitolo particolare dell’attività di san Carlo; i seminari ecclesiastici.

Egli, infatti, fu esemplare, tra i vescovi del suo tempo, nell’applicazione delle famose direttive del Concilio di Trento concernenti questo punto. Aveva compreso molto bene come la riforma auspicata dai padri doveva trovare uno dei suoi principali punti di appoggio in un profondo rinnovamento dell’istruzione e dei costumi del clero. Sono i buoni pastori a formare i buoni cristiani. E come i mali del tempo erano in gran parte dovuti ad una crisi del sacerdozio, così era logico attendersi che i rimedi sarebbero venuti - come poi effettivamente ha dimostrato la storia - dal ripristino e dalla stima di una vera concezione del sacerdozio, nonché da una risposta generosa alla vocazione sacerdotale.

Per raggiungere questo fine, la preparazione dei futuri sacerdoti doveva essere più accurata, più metodica, più sistematica: ed ecco san Carlo dedicarsi con straordinario fervore e spirito d’iniziativa, e col saggio uso dei mezzi opportuni, alla fondazione di diverse case, dove i giovani che si preparavano al sacerdozio potessero adeguatamente raggiungere lo scopo mediante la presenza di insegnanti di valore e la vita comune, ispirata a un profondo clima di carità e di spiritualità: erano, appunto, i seminari. Egli ne fondò tre a Milano e tre in diocesi, senza parlare poi dei “collegi”, i quali, sebbene di per sé adibiti alla formazione di giovani laici universitari, tuttavia, per il clima di alto tenore morale dal quale erano informati, ben si potevano considerare quali possibili semenzai di vocazioni ecclesiastiche o religiose.

5. Già studente dell’università di Pavia, san Carlo conservò, come pastore della Chiesa ambrosiana, un profondo rispetto per la conoscenza e per gli studi. Appena due anni dopo la laurea, ben consapevole dei disagi materiali e morali in cui versava gran parte degli studenti di tale università, si accinse alla fondazione di un istituto che provvedesse alla loro assistenza economica, morale e religiosa: così sorse l’Almo Collegio Borromeo, che ho visitato poco fa.

Tra le altre opere che il santo fondò, sempre al fine di promuovere l’istruzione e la cultura, possiamo citare il collegio Elvetico, il collegio dei Nobili, la Scuola di Brera e in particolare la Scuola della dottrina cristiana, che ancor oggi funziona quasi immutata.

L’esempio di san Carlo è profondamente stimolante anche per la Pavia di oggi, che tanta responsabilità detiene nel mondo della cultura universitaria e della formazione dei giovani. Che l’intercessione del santo ispiri quel saggio senso critico che conduce alla scelta e alla pratica di un’autentica cultura cristiana e a una vita coerente con la fede e impegnata nello sforzo di animare la società con la luce e con la forza del Vangelo.

Con questo auspicio saluto tutta Pavia, rivolgendo innanzitutto uno speciale pensiero al suo pastore, monsignor Antonio Angioni e alle autorità civili e militari qui convenute. Saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, incoraggiandoli nel loro impegno di testimonianza di consacrati a Dio, nel loro zelo per la catechesi e per la cura particolare dei giovani, degli operai, dei disoccupati, degli ammalati, dei poveri.

Saluto gli uomini della cultura e gli appartenenti alle varie categorie sociali; saluto i giovani e gli anziani; saluto tutti i cittadini poveri, soprattutto i più provati dalla sofferenza o dai disagi del fisico e dello spirito, ai quali, prendendo esempio da san Carlo, intendo indirizzare il mio affetto e la mia solidarietà, invitandoli ad approfondire quella “conoscenza dell’amore”, che è l’anima di ogni riscatto e liberazione dell’uomo.

6. San Carlo ha conosciuto l’amore. Egli aveva imparato ad amare così meditando soprattutto su Gesù crocifisso: la contemplazione della passione del Signore l’accompagnò per tutta la vita, mentre la inculcava insistentemente ai sacerdoti e ai fedeli. Così egli pregava in un’omelia tenuta il sabato della terza settimana di Quaresima del 1548: “Rimani con noi con la tua grazia, con il tuo splendore, con il tuo calore, signore Gesù! Rimani nei nostri cuori, nella nostra volontà, nell’intelligenza e nel più profondo della memoria. Fa’ che ci ricordiamo sempre di te, che siamo sempre memori della tua crudelissima passione, che sempre con gli occhi dell’anima e del corpo ti contempliamo crocifisso” (S. Caroli Borromaei, Homiliae, Milano 1747). Amen.

 

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