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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA E UNGHERIA
(13-20 AGOSTO 1991)

MESSA PER I FEDELI DELLA DIOCESI DI SZOMBATHELY

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Aeroporto di Szombathely - Lunedì, 19 agosto 1991

 

1. “Io sono il buon Pastore” (Gv 10, 11).

Le parole di Cristo ritornano continuamente a noi. Queste Parole, che trasferiscono alla Nuova Alleanza l’immagine di Dio proclamata dal profeta Ezechiele (Ez 3), risuonano da duemila anni ovunque si diffonde l’annuncio del Vangelo. Le hanno ascoltate tante generazioni di fedeli anche in terra ungherese.

E oggi, a Szombathely, durante questa tappa del mio pellegrinaggio in Ungheria, proprio su tali parole desidero sostare a riflettere con voi durante questa nostra partecipazione all’Eucaristia. Prima di preparare la mensa eucaristica del pane e del vino, vogliamo alimentarci alla verità evangelica del buon Pastore.

Saluto Monsignor Istvan Konkoly, pastore di questa Diocesi, gli altri Presuli presenti. Saluto i sacerdoti, le anime consacrate e i laici di questa Chiesa locale, desiderosa di servire Cristo con fedeltà e generosità. Saluto le Autorità qui intervenute e quanti sono giunti da altre Regioni del vostro Paese e anche da altri Paesi per prendere parte a questo incontro spirituale.

Di tutto cuore saluto voi, sacerdoti, religiosi e religiose, nonché voi, fedeli ungheresi che siete venuti da diversi Paesi.

In questa città di grande tradizione civile e cristiana vi unite in preghiera assieme ai vostri connazionali ungheresi con il Successore di Pietro, ringraziando Dio per tutto ciò che è avvenuto in questi ultimi anni. Rimanete fedeli al vostro patrimonio spirituale, custodendo la fede e la vostra tradizione cristiana. Dio vi guidi nel cammino della vita.

Cordialmente saluto Monsignor Djuro Koksa, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Zagreb e i pellegrini croati venuti dall’Ungheria, dalla Croazia, dall’Austria e dalla Slovacchia per incontrarsi con il Successore di Pietro. Carissimi, la preghiera che eleviamo al Signore vuol essere innanzitutto un ringraziamento per la possibilità che ci è data di poterci incontrare senza frontiere artificiali e di poter professare in pubblico la nostra fede, ereditata da secoli dai nostri antenati. Preghiamo anche per la pace e l’amicizia fra i popoli. Dio benedica voi, i vostri familiari e tutto il popolo croato.

Saluto particolarmente Monsignor Franc Kramberger, Vescovo di Maribor, e i pellegrini sloveni provenienti dall’Ungheria e dalla Slovenia. Carissimi, il vostro pellegrinaggio a Szombathely sia un segno del cammino di tutti i popoli europei verso l’unità. La Madre di Dio interceda presso il Signore affinché possiate conservare la vostra fede cristiana e darne testimonianza anche agli altri. Dio vi conceda la pace che deve caratterizzare i rapporti di tutti i popoli. Benedico voi, i vostri familiari e tutto il popolo sloveno.

2. “Il buon Pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10, 11), dice Cristo. La metafora riferita da Giovanni è espressiva e suggestiva. Contempliamo il pastore nell’ovile come fedele custode di ciascuna delle pecore. “Gli importa delle pecore”, osserva Gesù. Gli importa... e ne prende cura, è sollecito, è fedele; è pronto ad affrontare ogni pericolo che le minaccia. Non fugge mai né abbandona vilmente l’ovile. Egli conosce le pecore e le chiama per nome. Per questa ragione anch’esse lo conoscono, ed ascoltano la sua voce. Il pastore ha la loro totale fiducia. È, infatti, pronto ad “offrire la vita per le pecore” (Gv 10, 15): offre se stesso sempre, ogni giorno ed in ogni circostanza. È veramente “l’uomo per gli altri”.

Questa generosa disponibilità ha le sue radici nel mistero stesso di Dio. Il buon Pastore, Cristo, “conosce il Padre” (cf. Gv 10, 15), essendo il Figlio consustanziale al Padre. Il Padre, che lo conosce come Figlio, ha affidato a lui solo il compito di “dare la vita” in sacrificio per un gregge sterminato, per tutti gli uomini. Cristo è il Redentore: è il Pastore universale. “Per questo il Padre lo ama: perché egli offre la vita” (cf. Gv 10, 17) per tutti, per la redenzione del mondo. Offre la vita in sacrificio, e ciò costituisce la più alta forma di libertà, perché è la pienezza dell’amore. Cristo aggiunge: “Ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10, 18).

Siamo, così, introdotti nel mistero pasquale di Cristo. Parlare del buon Pastore significa, in definitiva, far riferimento alla Croce e alla Risurrezione.

3. Anche noi, carissimi fratelli e sorelle, partecipiamo al mistero pasquale di Cristo. Vi partecipiamo per mezzo dell’Eucaristia. Ci siamo riuniti qui non soltanto per meditare di nuovo sulla morte e sulla risurrezione del Signore, ma per renderle presenti in modo sacramentale per mezzo del sacrificio che celebriamo.

Le parole dell’Apostolo riguardano ciascuno di noi: “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1).

Non, quindi, partecipazione passiva, presenza passiva. Siamo qui per “poter discernere la volontà di Dio: ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2). Dobbiamo, in questo sacrificio del buon Pastore, “trasformarci rinnovando la nostra mente” (cf. Rm 12, 2). Dobbiamo farlo nella profondità del nostro essere, per la forza dello Spirito Santo, per la grazia, “ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato” (Rm 12, 3).

In questo modo la nostra partecipazione all’Eucaristia diventa vivificante e costruttiva. Ricevendo il Corpo sacramentale di Cristo come segno della comunione con Lui, concorriamo alla crescita spirituale del corpo della Chiesa, che vive fra gli uomini e i popoli.

Riprendiamo, così, la grande eredità che, prima di voi, ha plasmato tanti figli e figlie della vostra Nazione, e ne raccogliamo il significato per la generazione odierna.

4. Quanti doni vi sono stati elargiti da Cristo, il Pastore venuto nel mondo per comunicare la vita in abbondanza (cf. Gv 10, 10)! Egli vi ha colmati del suo amore, e la sua opera si è manifestata tra di voi in molteplici modi.

In particolare, voi avete ricevuto il dono della peculiare tradizione culturale che ha caratterizzato l’antica Sabaria: gli imperatori, succedendosi nel corso del tempo, ne hanno tramandato intatto il contenuto. La cultura antica apriva lo spirito alle profondità del sapere ed insegnava a riconoscere ed apprezzare quei valori che trascendono ogni interesse materiale. Si tratta di un patrimonio spirituale che, grazie a Dio, ha potuto svilupparsi, resistendo alla dominazione turca e all’infuriare delle guerre civili, come in tante altre fiorenti regioni della vostra Patria. Davanti al palazzo vescovile della vostra Città è possibile ammirare la statua di Daniele Berzsenyi, uno dei vostri grandi poeti: nella sua opera palpita la maturità estetica raggiunta dall’antica cultura che sapeva apprezzare il bello e l’armonia dell’essere, ma invitava a trascendere l’immediata realtà per “intravedere bramosamente” Dio.

5. La tradizione della vostra Regione non si limita, tuttavia, alla sola cultura antica, che costituisce, peraltro, una significativa ed importante eredità. C’è in essa un patrimonio ideale più profondo, che è frutto della inesauribile vena evangelica. Ben a ragione vi sentite di esso fieri. Voi vi ispirate ad un generoso vostro conterraneo, ad un fedele discepolo di Cristo: San Martino, patrono della vostra Diocesi. Prendete come modello colui che, secondo la tradizione, tagliò in due parti il mantello dandone una metà ad un mendicante ignudo. E Cristo, premiando prontamente il suo gesto, proclamò: “Il catecumeno Martino mi ha rivestito di questo mantello”.

Siamo chiamati anche noi ad amare così Cristo e i fratelli. Siamo chiamati al docile ascolto della Parola di Dio e siamo spronati a servire il prossimo, in modo particolare il prossimo bisognoso (cf. Mt 22, 39). Nel povero, infatti, riconosciamo il volto di Cristo che ci invita ad accoglierlo, rispettarlo ed amarlo. Ci invita a trattare gli altri come vorremmo che essi trattassero noi (cf. Mc 7, 12).

Cristo, poi, chiede al credente di amare persino chi gli è ostile e gli fa del male: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5, 44). Ma come potrebbe l’uomo mettere in pratica un così esigente invito, se Dio stesso non gli toccasse il cuore?

Interceda San Martino per noi tutti. Il suo esempio e il suo aiuto sostengano ciascuno nel cammino della perfezione, trasformando l’esistenza quotidiana in concreta carità. Quest’amore libero e totale, che immerge l’anima nella Trinità, è il vertice e il centro dell’itinerario spirituale del credente, il contrassegno del vero discepolo di Cristo e il segreto per l’autentico rinnovamento del mondo.

6. L’amore verso Dio deve tradursi in attenzione sincera e costante verso gli altri, in gesti di servizio gratuito e di vasta solidarietà sociale. “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?” (Gc 2, 15-16). Questa esortazione dell’apostolo Giacomo permane anche oggi singolarmente attuale. Essa invita a “dare il necessario” all’indigente (cf. Gc 2, 16) e molteplici sono i problemi e i bisogni dell’uomo contemporaneo in Ungheria.

Il mio pensiero si volge, in questo momento, a tutti i poveri di questo Paese: ai senzatetto, ai disoccupati, agli immigrati, alle vittime del divorzio, ai tossicodipendenti, agli alcolisti e anche a tutti coloro che, per leggerezza o irresponsabilità, mettono a repentaglio il proprio e l’altrui benessere. Quante situazioni penose!

Quante mani si protendono ad invocare l’aiuto solidale e tempestivo di chi dispone del “mantello” di una miglior condizione sociale! Non ci facciamo illusioni: il superamento di certe situazioni di povertà e di abbandono suppone lo sforzo congiunto e perseverante di tutti. Solo così la Nazione potrà risollevarsi dalle rovine e porre riparo alle conseguenze disastrose di passati errori. Occorre muoversi verso il traguardo di una società in cui sia data a tutti la possibilità di vivere con dignità e di provvedere all’adeguato sostentamento proprio e della famiglia. La ricostruzione materiale e morale della Nazione attende il contributo di tutti, offerto con larghezza di spirito, superando le differenze ideologiche, come pure le passate o recenti incomprensioni che eventualmente dovessero ancora persistere all’interno del tessuto sociale nazionale. Quanto è più meritorio sacrificare talora il desiderio di protagonismo a beneficio di un sostegno prestato a proposte ed iniziative valide di altri!

L’esempio di San Martino non vi incoraggia forse a collaborare e ad essere sempre disponibili, anche quando ciò comporta fatica ed esige umiltà e rinuncia a propri, forse anche legittimi, punti di vista? Ma il suo esempio si collega a quello dei Santi che nell’epoca posteriore hanno reso illustre la vostra storia, ed a quello altresì di tanti cristiani che, in terra ungherese, hanno fatto del Vangelo la norma della loro vita. Vorrei qui ricordare le nobilissime figure del Servo di Dio, Conte Batthyany-Strattmann, di cui è in corso la causa di beatificazione, e di Mons. Apor Vilmos, Vescovo della vicina diocesi di Györ, che nel 1945, durante l’occupazione militare della città, sacrificò la propria vita per difendere il gregge a lui affidato: “Il buon Pastore offre la vita per le pecore”.

7. Questi esempi ci ricordano che dall’autentica conversione del cuore scaturisce la possibilità di promuovere l’auspicata ed indispensabile giustizia nella società. Si diventa allora effettivi costruttori di solidarietà e ci si apre, in particolare, all’accoglienza magnanima di gruppi culturali ed etnici diversi, nel rispetto della loro originaria identità.

Come voi tenete a che i vostri connazionali, viventi all’estero, possano conservare la loro lingua e cultura, così, seguendo la tradizione dell’accoglienza in senso biblico e cristiano, dovete anche voi sentirvi impegnati a fare altrettanto con questi fratelli.

Colgo volentieri l’occasione per rivolgere un saluto particolare a quanti sono venuti dalla vicina Austria e partecipano a questa nostra Celebrazione eucaristica.

Esprimo il mio cordiale saluto al Signor Cardinale Hans Herman Groër, Arcivescovo di Vienna, a tutti gli altri confratelli nell’Episcopato, i Sacerdoti e Religiosi, come anche ai cari fratelli e sorelle provenienti dalla vicina Austria. In particolare saluto il Vescovo Stefan Laszló con i numerosi pellegrini di diverse lingue, provenienti dalla diocesi di Eisenstadt. Saluto anche i pellegrini accompagnati dal Vescovo della Diocesi di Graz, quelli provenienti da Gurk e il nuovo Vescovo di Sankt Pölten. L’incontro con voi mi offre una grande gioia spirituale e riporta alla mia memoria l’ultima Visita Pastorale nella bella terra austriaca. La vostra presenza rafforza, per così dire, un’intima dedizione e un impegno cristiano: noi non abbiamo dimenticato i vostri vicini durante i passati difficili decenni, e vogliamo che così avvenga anche ora, quando essi hanno ottenuto la libertà; non li abbondiamo, ma vogliamo essere Chiesa insieme con loro; vogliamo aiutarci nella gioia e nella sofferenza, soccorrerci l’un l’altro dove è necessario, e così anche imparare gli uni dagli altri. Così voi, insieme con i vostri vicini, potrete condividere non solo ciò che è materiale, ma ancor più ciò che è spirituale; dovrete soprattutto aprire il vostro cuore di nuovo a Cristo. Costruirete da oggi in avanti il ponte della carità, dell’unità e della pace, del quale è fondamento la vostra viva fede.

Einen herzlichen Gruß richte ich an Herrn Kardinal Hans Hermann Groër, Erzbischof von Wien, an alle verehrten Mitbrüder im Bischofsamt, an alle Priester und Ordensleute sowie an die lieben Schwestern und Brüder aus dem benachbarten Österreich. Besonders begrüße ich Herrn Bischof Stefan László mit den zahlreichen Pilgern verschiedener Sprachen aus der Diözese Eisenstadt; auch die Pilger mit dem Bischof aus den Diözese Graz, aus Gusk und den neuen Bischof aus Sankt Pölten.

Die Begegnung mit Euch schenkt mir große geistliche Freude und erinnert mich zugleich an meinen letzten Pastoralbesuch in Eurer schönen Heimat. Eure Anwesenheit bekräftigt gleichsam innere christliche Bereitschaft und Verpflichtung: wir haben unsere Nachbarn in den vergangenen schweren Jahrzehnten nicht vergessen und wir wollen sie auch jetzt, wo sie die Freiheit erlangt haben, nicht im Stich lassen, sondern mit ihnen gemeinsam Kirche sein; einander in Freude und Leid beistehen; einander stützen und helfen, wo es nötig ist, um so voneinander zu lernen.

Damit Ihr in dieser Haltung mit Euren Nachbarn nicht nur materiell, sondern vielmehr auch geistig teilen könnt, müßt Ihr zuerst Euer Herz von neuem Christus öffnen. Baut weiter Brücken der Liebe, der Einheit und des Friedens, deren Fundament Euer lebendiger Glaube ist.

In questo momento il mio pensiero va anche al gruppo di nomadi presenti tra voi. Non è certo compito della Chiesa suggerire provvedimenti concreti, né fornire indicazioni di tipo politico. Non posso, tuttavia, nel corso di questa Eucaristia, alla luce della pagina evangelica del buon Pastore e nella prospettiva dell’esempio di San Martino, non esortarvi a trovare soluzioni opportune a tali problemi.

Vorrei abbracciarvi con profondo affetto tutti, miei cari fratelli e sorelle zingari, guidati dall’amore del Creatore e Redentore che ha dato la sua vita per tutti senza distinzione. Anche voi tutti siete chiamati dal Creatore ad essere collaboratori diligenti e responsabili della grande opera della creazione, e ad essere responsabili e leali membri della società con tutti i diritti e la dignità di ogni persona umana.

Voi tutti siete invitati ad essere membri impegnati della Comunità cristiana, seguaci di Cristo che non è venuto ad essere servito ma per servire gli altri. Per servire come Gesù invita a fare, bisogna essere pronti a dare la vita per gli altri. Sulle orme di San Martino, occorre convertirsi all’amore, rifiutando in modo deciso e costante lo spirito del mondo: lo spirito del consumismo e dell’edonismo, che fanno dei beni materiali moderni idoli, ai quali sacrificare la persona e la sua dignità. Quanto è diverso l’invito di Gesù, che non promette successi terreni e domanda di dare se stessi “in sacrificio”! Solo così si spezza la catena dell’egoismo che imprigiona l’uomo in se stesso e nei suoi limitati e fuggevoli interessi terreni. L’amore diventa vita e si fa dono, che va al di là di ogni personale esigenza e guarda sempre al bene comune, al prossimo da servire, riconoscendo in ciascun individuo i segni della presenza di Dio. Dico in ogni individuo, anche nel piccolo essere umano, che sta ancora sotto il cuore della madre e ha appena iniziato il suo cammino. Non è forse un segno provvidenziale che la mia Visita pastorale coincida con la conclusione della “Novena di preghiere”, durante la quale i cattolici ungheresi si sono raccolti per pregare e riflettere sul valore della vita concepita nel grembo materno?

Oggi nel mondo si manifestano forme molteplici di aggressività nei confronti della vita umana, soprattutto se debole e indifesa, rivelando un diffuso oscuramento delle coscienze circa la fondamentale distinzione tra il bene e il male morale.

È necessario che i cristiani si impegnino con la parola e con l’azione nella difesa della vita umana, adoperandosi perché i singoli cittadini e l’intera comunità civile ne riconoscano il valore intangibile e ne favoriscano il pieno sviluppo, in armonia con gli immutabili princìpi della legge di Dio.

Questo chiede a ciascuno di noi Gesù, buon Pastore, al quale è nota ogni pecorella, anche se piccola e sconosciuta, anche se ancora nascosta nel seno della madre (cf. Gv 10, 3).

8. Il buon Pastore è la porta. Cristo è la porta delle pecore. Proprio per questa ragione Egli offre la sua vita, per diventare la porta di tutti. Egli apre la prospettiva salvifica, restituisce alla vita il suo senso ultimo, mostra dove andare ed insegna come camminare sulla via che è Lui stesso.

Cristo dice: “In verità . . . vi dico: io sono la porta delle pecore. . . se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo (= alimento) . . . io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 7.9-10).

Ecco la mensa, preparata col pane eucaristico. Venite! Entrate attraverso la Porta che è il buon Pastore - Cristo. Forse per lungo tempo essa vi è parsa chiusa e forse questa impressione di chiusura, che l’ultimo periodo vi ha lasciato in eredità, dura ancora.

Ma Cristo è rimasto: Egli è sempre presente tra noi con tutta la verità del suo Vangelo.

Con tutta la forza della sua Eucaristia che è fonte di salvezza. È presente tra noi: il buon Pastore che offre la sua vita. Non ce ne ha dato forse certezza Egli stesso?

Non è forse Lui che ha promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28, 20)? Sì, resta con noi, o Signore?

Resta con noi. Amen!

Al termine della santa Messa, dopo la benedizione, Giovanni Paolo II pronuncia le seguenti parole:

Carissimi, ringraziamo la pioggia che è venuta alla fine. Ringraziamo san Martino che ha voluto nascere qui. Ringraziamo san Martino che ha voluto portare il Vangelo in Europa occidentale, in Francia. Così si spiega anche la presenza del cardinale Etchegaray. Preghiamo per il nostro tempo, per il nostro millennio che sta per concludersi.



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