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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE 
GIOVANNI PAOLO II 
PER LA GIORNATA MONDIALE DELLE MIGRAZIONI (1991)

 

Cari fratelli e sorelle!

1. Le migrazioni vanno sempre più delineandosi come massiccio movimento che interessa i cinque Continenti e quasi tutti i Paesi. Esse si iscrivono e si intrecciano in una tendenza molto ampia che attraversa l’intera società mondiale.

Accanto alle migrazioni economiche, considerate come spostamento di braccia di lavoro, va sviluppandosi, infatti, un intenso e vasto interscambio di persone che intraprendono il cammino delle migrazioni come un itinerario di promozione umana, realizzando così una forma di osmosi tra i valori culturali, sociali e politici. È sul significato e sulle implicazioni etiche e religiose di questo fatto nuovo, che si annuncia come un evento di crescita sociale e di unità per la famiglia umana, che vorrei intrattenermi, in modo particolare, nel messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante di quest’anno.

2. I motivi all’origine di una tale trasformazione sono quasi tutti di segno positivo. Tra questi vorrei ricordare l’ampliamento delle relazioni sociali a livello di singole persone e di gruppi, una più estesa protezione offerta dagli ordinamenti civili agli stranieri, una più larga disponibilità di tempo libero, il diffuso benessere, l’efficienza e la rapidità degli strumenti di informazione, lo sviluppo e il perfezionamento dei mezzi di trasporto. Non posso non menzionare poi un più alto grado di scolarizzazione, un più vivo interesse per la cultura degli altri popoli, un accresciuto senso di solidarietà verso la famiglia umana ed una più forte spinta verso la sua unità, senza tralasciare di accennare alla maggiore sensibilità per la dignità della persona e dei suoi diritti inalienabili, e al senso più acuto di responsabilità di fronte ai problemi internazionali.

L’estendersi del benessere, se da un lato ha attivato, con la sua tipica forza di attrazione, correnti migratorie più vaste dai Paesi in via di sviluppo, dall’altro ha stimolato gruppi sempre più consistenti delle aree maggiormente sviluppate a cercare forme nuove di impiego e più consoni modelli di vita fuori dai confini della propria nazione. Si va creando, così, una estesa rete di cooperazione internazionale entro la quale si intreccia l’attività di funzionari, di scienziati, di commercianti, di tecnici, di operatori economici, di agenti culturali, di promotori dell’informazione. Di pari passo vanno sviluppandosi le organizzazioni a carattere internazionale e gli istituti di cultura che offrono specialmente ai giovani la possibilità di molteplici itinerari formativi nelle Università dei vari Paesi. A questo crescente spostamento di gente la Chiesa guarda con simpatia e favore non solo perché in esso scorge l’immagine di se stessa, popolo peregrinante, ma soprattutto perché vi ravvisa una significativa spinta all’unificazione delle molteplici culture ed un fatto di universale fraternità.

3. Le migrazioni presentano sempre un duplice volto: quello della diversità e quello della universalità. Il primo è dato dal confronto fra uomini e gruppi di popoli diversi, esso comporta tensioni inevitabili, latenti rifiuti e polemiche aperte; il secondo è quello costituito dall’incontro armonico di soggetti sociali diversi che si ritrovano nel patrimonio comune ad ogni essere umano, formato dai valori dell’umanità e della fraternità. Ci si arricchisce, così, reciprocamente attraverso la messa in comune di culture diverse. Sotto il primo profilo le migrazioni accentuano le divisioni e le difficoltà della società che accoglie; sotto il secondo contribuiscono in modo incisivo all’unità della famiglia umana e al benessere universale. Il sogno dell’unificazione della famiglia umana ha accompagnato da sempre la storia dell’uomo, il cui cammino è segnato da numerosi sforzi di perseguire tale obiettivo. Si tratta, però, di tentativi condotti non rispettando appieno le peculiarità culturali delle persone e dei popoli.

Non va dimenticato che la varietà culturale, etnica e linguistica rientra nell’ordine costitutivo della creazione e che come tale, non può essere eliminata. Così il cammino di unità della famiglia umana viene ad avere come criterio di autenticità, il rispetto e lo sviluppo del ruolo delle molteplici differenze.

4. Questa struttura plurietnica e pluriculturale è stata inquinata agli albori della storia dell’umanità, dal peccato di Babele. Sullo sfondo di questa colpa, le differenze culturali e linguistiche cessano di essere dono di Dio e diventano motivo di incomprensione e di conflittualità, le differenze assumono la rigidità della divisione, anziché della varietà e dell’arricchimento nell’unità.

Poiché tuttavia, la diversità etnica e linguistica rientra nell’ordine della creazione, Dio avvia un itinerario di restaurazione nell’ambito del suo piano di salvezza. In questo progetto divino entra come elemento di indubbio significato la migrazione che porta in sé lo sforzo dell’incontro con il Signore e con gli uomini. È questo il cammino intrapreso da Abramo, chiamato ad emigrare subito dopo la dispersione babelica, e che ha il suo punto terminale in Gesù: in Cristo esso trova piena realizzazione grazie al mistero della Redenzione. “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio il mondo e ritorno al Padre” (Gv 16, 28).

Nel giorno della Pentecoste, poi, viene restaurata la legittimità del pluralismo etnico e culturale. Gli apostoli, dinanzi ai rappresentanti di “ogni nazione, che è sotto il cielo, convocati a Gerusalemme, cominciarono a parlare altre lingue come lo Spirito dava loro di esprimersi ed ognuno li capiva nella propria lingua nativa” (At 2, 4-6). La diversità linguistica, manifestazione di quella etnico-culturale, non è più motivo di confusione e di opposizione, ma, grazie alla chiamata di tutti gli uomini a formare l’unico popolo di Dio nell’unico Spirito Santo, diventa strumento di unità e di comunione nella pluralità.

5. L’evento della Pentecoste determina una vera etica dell’incontro che deve presiedere alla costruzione dell’umanità nuova inaugurata dalla Pentecoste stessa. Ogni persona deve essere riconosciuta nella sua dignità e rispettata nella sua identità culturale. Principio, questo, che trova una singolare e specifica applicazione nel campo delle migrazioni. Il migrante va considerato non semplicemente come strumento di produzione, ma quale soggetto dotato di piena dignità umana. La sua condizione di migrante non può rendere incerto e precario il suo diritto a realizzarsi come uomo e la società di accoglienza ha il preciso dovere di aiutarlo in tale senso. “Il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli, non già a dividerli” (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 27). Anche quando si presenta come singolo, il migrante non può essere dissociato dal popolo al quale appartiene, ma va inquadrato nella sfera della propria identità culturale. In lui va rispettata la nazione nella quale affonda le sue radici, essendo questa una comunità di uomini, stretti da legami diversi, da una lingua e soprattutto da una cultura, che costituisce come l’orizzonte della vita e del progresso integrale. Nei suoi confronti è necessario formulare un vero statuto che, attraverso il riconoscimento di ogni diritto nativo, gli assicuri legittimi spazi di crescita sociale e culturale indispensabile alla sua stessa realizzazione umana e professionale.

In tale contesto va sottolineata l’attenzione ai poveri ed agli emarginati, quali spesso sono i migranti. La società nel suo sforzo di crescita, non può, in effetti, mostrarsi incurante di quelli che, per la loro più debole posizione sociale, tendono a rimanere ai margini, ma deve coinvolgerli ed assorbirli. “Sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri, persone e popoli, come un fardello e come fastidiosi importuni che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto. L’elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale e anche economica dell’intera umanità” (Ivi, 28).

6. Oltre, tuttavia, a restaurare la legittimità della pluralità nella diversità, la Pentecoste introduce un elemento specificamente cristiano: l’unità dei popoli attorno alla fede nell’unico Cristo: “venuto a raccogliere in unità i figli dispersi di Dio” (Gv 11, 52). Nella prospettiva della salvezza, Cristo non è semplicemente una via fra le altre, ma un passaggio obbligato: “Io sono la via... e nessuno va al Padre se non per me” (Gv 14, 6). “Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale” (Gaudium et spes, 22,4).

Gli uomini sono tutti amati da Dio e potenzialmente salvati da Cristo; e perciò egualmente degni di essere considerati, amati, serviti, protetti, perché non esistono discriminazioni di fronte al criterio sommo, con cui gli uomini debbono essere valutati, cioè di fronte al loro rapporto con Dio e con i fratelli: dimenticato o negato questo rapporto, le discriminazioni di ogni tipo possono sempre vantare titoli apparentemente validi per giustificarsi e per compromettere la base fondamentale della fratellanza umana. “La negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della persona” (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 13).

Il crollo dei muri materiali deve essere segno del crollo di quelli spirituali.

Le migrazioni, favorendo la reciproca conoscenza e l’universale collaborazione, attestano e perfezionano l’unità della famiglia umana e confermano il rapporto di fraternità fra i popoli. I cieli nuovi e la terra nuova, cui daranno luogo gli eventi ultimi, saranno prima di tutto il cuore degli uomini unificati nel Padre. La soluzione del problema dell’uomo nella mobilità umana si avrà proprio quando gli spiriti saranno dominati dalla ferma convinzione che gli uomini sono fratelli e che l’amore è la forza più potente per trasformare se stessi e la società.

7. “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37). Il cristiano sa che nell’opera di rinnovamento dell’umanità agisce con potenza il Signore. Si fida di lui come la Madre del Redentore, chiamata beata perché ha creduto all’adempimento delle promesse divine. Sulla filigrana della vita della Vergine Maria la Chiesa comprende se stessa e può percorrere il suo cammino apostolico. Guarda a Maria, come a fulgido esempio e a potente sostegno nella prova, consapevole della propria missione nel mondo, quale “strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). Possa la Madonna condurre il popolo cristiano verso una rinnovata fedeltà a Cristo; lo sorregga nel suo compito missionario, perché ovunque proclami come unica vera “salvezza” Gesù e perché “per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (Ef 2, 18).

Con questi voti imparto a quanti sono impegnati nel vasto campo delle migrazioni la benedizione apostolica: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Dal Vaticano, 21 agosto 1991, tredicesimo anno di Pontificato.

 

IOANNES PAULUS PP. II

 



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