Index   Back Top Print

[ ES  - IT ]

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II 
PER LA GIORNATA MONDIALE DELL
EMIGRAZIONE 1995

 

Carissimi Fratelli!

1. L’Anno Internazionale della Donna, indetto dalle Nazioni Unite per il 1995 - iniziativa a cui la Chiesa ha cordialmente aderito - mi induce ad assumere come tema del Messaggio per la prossima Giornata Mondiale del Migrante quello della donna coinvolta nel fenomeno migratorio. Il crescente spazio che essa è andata conquistando nel mondo del lavoro ha avuto come conseguenza il suo sempre maggiore interessamento nei problemi connessi con le migrazioni. Le proporzioni di tale coinvolgimento variano notevolmente all’interno dei diversi Paesi, ma il numero complessivo delle donne in migrazione tende ad uguagliare ormai quello degli uomini.

Ciò ha riflessi di grande rilevanza sul mondo femminile. Si pensi innanzitutto alle donne che vivono la lacerazione degli affetti, per avere lasciato la propria famiglia nel Paese di origine. Spesso ciò è la conseguenza immediata di leggi che ritardano, quando addirittura non rifiutano, il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare. Se si può comprendere un provvisorio rinvio della ricomposizione della famiglia per favorirne la successiva, migliore accoglienza, si deve respingere l’atteggiamento di chi la rifiuta quasi si trattasse di una pretesa senza alcun fondamento giuridico. A questo proposito, l’insegnamento del Concilio Vaticano II è esplicito: “Nel regolare l’emigrazione sia messa assolutamente al sicuro la convivenza domestica” (Apostolicam actuositatem, 11).

Come ignorare poi che, nella situazione di emigrazione, il peso della famiglia viene sovente a ricadere in buona parte sulla donna? Le società più evolute, che maggiormente attirano i flussi migratori, creano già per i propri componenti un ambiente in cui i coniugi si sentono spesso costretti a svolgere ambedue un’attività lavorativa. A tale sorte soggiacciono anche maggiormente quanti in esse si inseriscono da migranti: essi devono sottoporsi a ritmi di lavoro spossanti sia per provvedere al quotidiano sostentamento familiare, sia per favorire l’attuazione degli scopi per i quali hanno lasciato il loro Paese d’origine. Una simile situazione impone in genere i compiti più gravosi alla donna, che di fatto è costretta a svolgere un doppio lavoro, ancor più impegnativo quando ha figli da accudire.

2. Particolare sollecitudine pastorale deve essere riservata alle donne non sposate, sempre più numerose all’interno del fenomeno migratorio. La loro condizione richiede da parte dei responsabili non solo solidarietà e accoglienza, ma anche protezione e tutela da abusi e sfruttamenti.

La Chiesa riconosce a ciascuno “il diritto di lasciare il proprio Paese per vari motivi... e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese” (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 23) Essa, tuttavia, mentre afferma che “le Nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio Paese di origine” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2241), non nega alle Autorità pubbliche il diritto di controllare e di limitare i flussi migratori quando vi siano gravi ed obiettive ragioni di bene comune, che toccano l’interesse degli stessi emigranti.

I pubblici poteri non possono dimenticare le molteplici e spesso gravi motivazioni che spingono tante donne a lasciare il proprio Paese d’origine. Non vi è soltanto il bisogno di maggiori opportunità all’origine della loro decisione; esse sono spinte non di rado dalla necessità di sfuggire a conflitti culturali, sociali o religiosi, a inveterate tradizioni di sfruttamento, a legalizzazioni ingiuste o discriminatorie, per non fare che alcune esemplificazioni.

3. È purtroppo ben noto che, da sempre, alla migrazione regolare si accompagna, come un cono d’ombra, anche quella irregolare. Un fenomeno attualmente in espansione, con aspetti negativi che si ripercuotono con particolare evidenza sulle donne. Nelle pieghe dell’immigrazione clandestina si infiltrano non di rado elementi di degenerazione, come il commercio della droga e la piaga della prostituzione.

Al riguardo, una doverosa vigilanza deve essere esercitata anche nei Paesi di provenienza, poiché, approfittando della riduzione dei canali di emigrazione legale, organizzazioni inaffidabili spingono giovani donne sulle vie dell’espatrio clandestino, lusingandole con la prospettiva del successo, non senza averle prima depredate dei risparmi accumulati con sacrificio. La sorte a cui molte di esse vanno incontro è nota e triste: respinte alla frontiera, si ritrovano spesso trascinate, loro malgrado, nel disonore della prostituzione.

Occorre un’azione comune dei Governi interessati per individuare e punire i responsabili di simili offese alla dignità umana.

4. Il recente fenomeno di una più larga presenza della donna in emigrazione richiede, pertanto, un cambiamento di prospettiva nell’impostazione delle relative politiche ed emerge l’urgenza di garantire anche alle donne la parità di trattamento, sia per la retribuzione, sia per le condizioni di lavoro e di sicurezza. Sarà così più facile prevenire il rischio che la discriminazione nei confronti dei migranti in generale tenda ad accanirsi particolarmente contro la donna. Si impone inoltre la messa a punto di strumenti atti a facilitare l’inserimento e la formazione culturale e professionale della donna, nonché la sua partecipazione ai benefici dei provvedimenti sociali, quali l’assegnazione della casa, l’assistenza scolastica per i figli ed adeguati sgravi fiscali.

5. Rivolgo ora un invito pressante alle Comunità cristiane presso le quali giungono i migranti. Con la loro accoglienza cordiale e fraterna esse rendono evidente nei fatti, prima ancora che nelle parole, che “le famiglie dei migranti... devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 77).

Il mio augurio affettuoso si rivolge in modo speciale a voi, donne, che affrontate con coraggio la condizione di emigranti. Penso a voi, mamme, che vi misurate con le difficoltà quotidiane, sostenute dall’amore per i vostri cari.

Penso a voi, giovani donne, che vi incamminate verso un nuovo Paese, desiderose di migliorare la vostra condizione e quella delle vostre famiglie, sollevandole dalle ristrettezze economiche. Vi sorregge la fiducia di condurre l’esistenza in contesti in cui maggiori risorse materiali, spirituali e culturali vi permettano di operare con più libertà e responsabilità le vostre scelte di vita.

Il mio augurio, accompagnato da incessante preghiera, è che possiate raggiungere, nello svolgimento del difficile e delicato ruolo che vi compete, le giuste mete che vi prefiggete. La Chiesa è al vostro fianco con la cura ed il sostegno di cui avete bisogno.

Penso a voi, donne cristiane, che nell’emigrazione potete rendere un grande servizio alla causa dell’evangelizzazione. Seguite con coraggio e fiducia quanto vi suggeriscono l’amore e il senso di responsabilità, per acquistare sempre maggiore consapevolezza della vostra vocazione di spose e di madri.

Quando vi è affidato il compito di accudire i bambini delle famiglie presso le quali prestate servizio, senza forzature e in piena consonanza di intenti con i genitori, approfittate della grande opportunità che vi è data di aiutare la formazione religiosa di tali bambini. Il sacerdozio comune, radicato nel battesimo, si esprime in voi nelle doti caratteristiche della femminilità, quali la capacità di servire la vita con un impegno profondo, incondizionato e, soprattutto, animato dall’amore.

6. La storia della salvezza ci ricorda come la Provvidenza divina ha agito all’interno delle imprevedibili e misteriose interazioni di popoli, religioni, culture e razze diverse. Tra i tanti esempi che la Bibbia offre, mi piace ricordarne uno in particolare, al cui centro vi è la figura di una donna: si tratta della storia di Rut, la Moabita, sposa di un ebreo emigrato nella campagna di Moab a causa della carestia che affliggeva Israele. Rimasta vedova, ella decise di andare a vivere a Betlemme, città d’origine del marito. Alla suocera Noemi, che l’esortava a rimanere presso sua madre nella terra di Moab, rispose: “Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu verrò anch’io; dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta” (Rt 1, 16-17). Così Rut seguì Noemi a Betlemme, dove divenne la moglie di Booz, dalla cui discendenza nacque Davide e poi Gesù.

In questa prospettiva acquistano un senso di forte attualità le parole rivolte dal Signore, per bocca del profeta Geremia, al suo popolo, esiliato a Babilonia: “Costruite case ed abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie; scegliete mogli per i figli e maritate le figlie; costoro abbiano figli e figlie. Moltiplicatevi lì e non diminuite. Cercate il benessere del Paese in cui vi ho fatto deportare. Pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere” (Ger 29, 5-7). È un invito rivolto a persone piene di nostalgia per la loro terra di origine, alla quale le legava il ricordo di persone ed eventi familiari. Maria che, sorretta dalla fede nell’adempimento delle promesse del Signore, visse sempre attenta a cogliere negli avvenimenti i segni della realizzazione della Parola del Signore, accompagni ed illumini il vostro itinerario di donne, madri e spose emigranti. Ella, che nel pellegrinaggio della fede ha fatto l’esperienza anche dell’esilio, fortifichi in voi il desiderio del bene, vi sostenga nella speranza e vi rafforzi nella carità. Affidando alla Madre di Dio, la Vergine del cammino, i vostri impegni e le vostre speranze, vi benedico di cuore, insieme con le vostre famiglie e con quanti ovunque operano in favore di una vostra accoglienza rispettosa e fraterna.

Dal Vaticano, il 10 agosto dell’anno 1994, sedicesimo di Pontificato.

 

IOANNES PAULUS PP. II



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana