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16-27 febbraio 1981

DISCORSO DEL SANTO PADRE 
GIOVANNI PAOLO II 
AI GIOVANI

Budokan, 24 febbraio 1981

 

Cari giovani fratelli

Dopo quel che ho detto all’inizio nella vostra lingua, desidero di nuovo ringraziarvi (lo faccio questa volta con l’aiuto dell’interprete) per tutta la vostra preparazione all’odierno incontro. Ringrazio voi e i vostri Pastori, in modo particolare il Vescovo Hamao, che ha curato i preparativi. Predisponendovi a questo incontro, avete pensato quali domande potevate porre a colui che sarebbe venuto dalla lontana Roma e per la prima volta nella storia avrebbe visitato la vostra Patria. Ho avuto l’opportunità di apprezzare tutta la ricchezza di pensiero, che si racchiude in queste domande. E adesso, in conformità con il programma del nostro incontro, desidero rispondere a quelle che verranno qui presentate pubblicamente. 

1. Or dunque: Voi mi chiedete, innanzitutto, perché ho parlato ora in giapponese. L’ho fatto, – e intendo continuare a farlo in alcune circostanze – per manifestare il mio rispetto alla vostra cultura che così, come la cultura di ogni nazione, si esprime fra l’altro (anzi, prima di tutto) nella lingua. La lingua è una forma che noi diamo ai nostri pensieri, è quasi una veste nella quale inseriamo questi pensieri. Nella lingua si racchiude un particolare tratto dell’identità di un popolo e di una nazione. E, in un certo senso, in essa batte il cuore di questa nazione, perché nella lingua, nella propria lingua, si esprime ciò di cui vive l’anima umana nella comunità di una famiglia, della nazione, della storia. 

Penso in tal modo a questi problemi in base alle esperienze legate con la mia lingua nativa e con la vita della mia nazione (qui posso ancora aggiungere che prima di scoprire in me la vocazione sacerdotale, ho iniziato a studiare la Filologia e le Lettere della mia patria, il che ha approfondito molto i miei rapporti col tema che voi avete sollevato). 

Infine, ancora una cosa: Cristo lasciando i suoi apostoli alla fine della sua attività terrena, ha detto loro: “Andate... e ammaestrate tutte le nazioni...” (Mt 28,19). Per poterlo fare bisogna conoscere la lingua della nazione alla quale ci rivolgiamo. Ho avuto troppo poco tempo per imparare a fondo la vostra interessante lingua, a cominciare dalla misteriosa scrittura. Con l’aiuto del padre Fidelis francescano, sono tuttavia riuscito ad arrivare a un punto tale da poter almeno leggere con una certa comprensione alcuni testi giapponesi in trascrizione, in particolare quelli della Santa Messa. Vi ringrazio di averlo accettato con indulgenza... 

2. Per poter mettere in atto questo piano “linguistico” ho dovuto lasciarmi guidare dal pensiero che ci sarei riuscito, che sarei giunto (almeno in parte) allo scopo che mi ero proposto. Ho dovuto avere una certa speranza... 

E adesso passo alla vostra seconda domanda. che mi sembra la più importante. La domanda circa la speranza. Domanda molto importante, addirittura fondamentale quando si tratta della vita umana. L’uomo, in un certo senso, non può vivere senza la speranza. Egli deve aspirare a qualcosa, deve avere nella vita uno scopo – e la sensazione di poter raggiungerlo. La speranza, come avete giustamente notato, è collegata col futuro. Ma contemporaneamente determina lo stato della nostra anima nel presente. Abbiamo adesso la speranza di ciò che raggiungeremo più tardi. 

Inoltre, la speranza è sempre collegata con un certo valore, che dobbiamo ottenere. Potrei dire in altra maniera: con un valore che vogliamo dare alla nostra vita. E perciò nella speranza si esprime la fondamentale percezione del senso della nostra vita. Questa percezione del senso della vita non dipende essenzialmente da ciò che abbiamo, ma dal prendere chiara coscienza del valore della nostra umanità; della nostra dignità umana. 

Leggendo il materiale che mi avete mandato, ho notato, da una parte, un’informazione amara circa i suicidi degli adolescenti e, dall’altra, l’edificante testimonianza di un giovane handicappato, che ha la profonda percezione del significato della sua vita. 

Voi sapete che io vengo qui nel nome di Cristo. Ecco, desidero dirvi che appunto Cristo è il maestro e l’educatore della speranza. Egli ne è la sorgente. Ascoltando le sue parole, vivendo la vita che Egli vuole condividere con ogni uomo, si trova il senso più pieno della vita. 

Sì, Cristo ci svela fino in fondo il senso della vita umana. Egli ce ne mostra anche l’avvenire definitivo in Dio. Questo futuro sorpassa il limite della vita umana sulla terra. La speranza che Cristo ci dona è più forte della morte. 

3. Mi ponete anche una domanda sullo sport. Mi rallegro molto di questa domanda alla quale posso rispondere sulla base delle mie personali esperienze. Ho dato sempre (e continuo a dare) una grande importanza all’antico principio: “Mens sana in corpore sano”. Lo sforzo fisico, particolarmente quello sportivo, deve servire a ciò. Un motivo supplementare, ma molto importante quando si trattava di intraprendere questo sforzo (nelle diverse forme), fu per me sempre l’amore verso la natura: verso i laghi, i boschi, le montagne, sia in estate, come in altre stagioni, e in particolare in inverno, quando occorre fare il turismo servendosi degli sci. 

Penso che a tale proposito avremmo, voi ed io, non poco da raccontarci, perché so che anche voi amate molto la natura, e cercate di leggere in essa, come in uno splendido libro pieno di misteri. 

4. La prima delle domande, che mi vien posta in questa parte del nostro colloquio, è molto importante. 

È noto che il Vangelo, l’insegnamento di Cristo, proclama l’amore come il comandamento più grande. “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente... Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37.39). Sono questi i due comandamenti, che si uniscono l’uno all’altro e si condizionano reciprocamente. Secondo l’insegnamento e l’esempio di Cristo, dobbiamo amare Dio al di sopra di ogni cosa e il prossimo a misura dell’uomo. Contemporaneamente nella lettera di san Giovanni leggiamo: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Quindi l’amore di Dio si realizza e, in un certo senso, trova la sua verifica nell’amore dell’uomo, del prossimo, che dobbiamo amare come noi stessi. E il prossimo è ogni uomo senza eccezione; perciò Cristo parla anche dell’amore dei nemici. Egli dice così: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Lc 6,27-28). Del resto Egli stesso ha dato l’esempio di un tale amore quando, durante la crocifissione, ha pregato per coloro che lo mettevano a morte. 

A questo punto nasce la vostra domanda: come è possibile che l’uomo ami quando si sente odiato, e per di più quando egli stesso si sente di avere in sé odio o almeno malanimo, diciamo antipatia, nei confronti di alcune persone? 

Effettivamente, dal punto di vista dei nostri sentimenti v’è qui una difficoltà, anzi “una contraddizione”: quando “sento” avversione o odio, come posso contemporaneamente “sentire” amore? 

Tuttavia l’amore non si riduce soltanto a ciò che sentiamo. Esso ha nell’uomo anche radici più profonde, che si trovano nel suo “io” spirituale, nel suo intelletto e nella sua volontà. 

Volendo assolvere il comandamento dell’amore (in particolare quando si tratta dell’amore dei nemici), noi dobbiamo risalire proprio a quelle radici profonde. In conseguenza di ciò, l’amore diventa forse “più difficile”, ma diventa anche “più grande”. Nell’amore ci lasciamo guidare non solo dalla reazione dei sentimenti, ma dalla considerazione del vero bene. E in questo modo impariamo a guidare i nostri sentimenti, li educhiamo. Ciò richiede pazienza e perseveranza. Cristo ha detto una volta: “In patientia vestra possidebitis animas vestras” (Lc 21,19). Ebbene, amare veramente e pienamente sa soltanto colui che è capace di “possedere” la sua anima, possedere se stesso: possedere per diventare “dono per gli altri”. Tutto ciò ci insegna Cristo non solo con la sua parola, ma anche con il suo esempio. 

5. Ora, ormai più brevemente risponderò alle ulteriori domande. Il fatto che gli uomini sono fratelli, vuol dire per prima cosa che nonostante tutto ciò che li divide – razza, lingua, nazionalità, religione – essi tuttavia si rassomigliano. Ognuno è un uomo e tutti sono uomini. 

Tuttavia bisogna completare questo primo significato con il secondo. Chiamiamo fratelli e sorelle coloro che sono figli degli stessi genitori, degli stessi padri e delle stesse madri. Gli uomini sono fratelli secondo l’insegnamento di Cristo (ed anche secondo il sentire religioso più comune) perché Dio è loro Padre. Cristo pone questa verità sulla paternità di Dio al centro del suo Vangelo. Quando i discepoli gli chiedono di insegnar loro a pregare, Egli insegna una preghiera che inizia con le parole: “Padre nostro...” (Mt 6,9). 

Questa preghiera ci aiuta molto per quanto riguarda l’amore del prossimo e in particolare l’amore degli uomini malevoli nei nostri confronti. Diciamo in essa tra l’altro: Padre, “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12). (Forse alla fine di questo incontro reciteremo questa preghiera). 

6. Mi avete posto anche domande sulla musica. Io non so suonare alcun strumento. Non mi sono mai dedicato attivamente a questo campo dell’arte. Vivo invece molto profondamente la bellezza della musica e mi piace molto cantare. Molte ore (soprattutto nelle vacanze) le ho trascorse cantando insieme ai giovani. Ed anche adesso, durante il periodo delle vacanze, vengono a Castel Gandolfo vari gruppi di giovani e cantano. Nutro la speranza che anche voi un giorno vorrete venire... pur sapendo che c’è una grande distanza! 

Per quanto riguarda il genere di musica mi sembra di sentire in modo particolarmente profondo la bellezza della musica liturgica (il gregoriano!), ma amo anche la musica contemporanea: Gershwin, ad esempio, Armstrong, Taki Rentaro, Toshiro Mayuzumi ed altri. Naturalmente mi sono vicini Chopin o Szymanowski (so che una delle prime classificate al X Concorso Internazionale della musica di Chopin a Varsavia è stata la vostra connazionale Akiko Ebi), ma mi sono vicini pure Beethoven, Bach e Mozart, anche nelle magistrali interpretazioni dei vostri Seiyi Ozawa e Jwaki Hirojuki. 

7. Dato che il nostro tempo e limitato mi perdonerete se in questa serie di domande – molto importanti – cercherò di essere conciso nelle risposte. Tanto più che sul tema della pace, ho l’opportunità di pronunciarmi in altre circostanze significative. Uno dei motivi della mia venuta in Giappone è stato anche quello di sostare a Hiroshima, sul posto dello scoppio della prima bomba atomica, che costituisce per l’umanità un terribile avvertimento. Leggendo il materiale da voi spedito, ho notato che vi travaglia molto profondamente il problema della pace, della vera pace, il che è giusto e comprensibile soprattutto dopo le esperienze del 1945. Voi notate in queste vostre enunciazioni che la pace non può appoggiarsi soltanto sull’“equilibrio degli armamenti”, che essa non può supporre la prevalenza dei forti sui deboli, che essa non può andare di pari passo con nessun imperialismo... 

La Chiesa pensa allo stesso modo ed insegna allo stesso modo. Lo hanno dimostrato il Concilio Vaticano II, Papa Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris, Paolo VI in tutta la sua instancabile attività in favore della pace, emanando tra l’altro ogni anno per il giorno del 1° gennaio uno speciale messaggio per la pace. Io cerco di continuare questa attività. Eccovi i temi dei miei messaggi di pace: nel 1979: “Per giungere alla pace, educare alla pace”; nel 1980: “La verità, forza della pace”; nel 1981: “Per servire la pace, rispetta la libertà”. 

Devono costruire la pace soprattutto coloro i quali sono responsabili delle decisioni internazionali. Tuttavia essi devono tener presente – e la Chiesa cerca costantemente di ricordarlo – che “pace” significa in primo luogo un vero ordine nelle relazioni fra gli uomini e tra le nazioni. Quindi la costruzione della pace dalle fondamenta deve significare il riconoscimento e il conseguente rispetto di tutti i diritti dell’uomo (sia di quelli che riguardano la parte materiale come anche quelli che interessano la parte spirituale della sua esistenza terrena) e il rispetto dei diritti di tutte le Nazioni senza eccezione: sia grandi sia piccole. La pace non può esistere se i grandi e i potenti violano i diritti dei deboli! Ho parlato su questo tema molte volte: dinanzi all’ONU, dinanzi all’Unesco. Desidero ripeterlo anche in Giappone. 

Se il programma della pace nel mondo si esprime nella formula “mai più Hiroshima”, allora certamente si esprime anche nella formula “mai più Oswiecim”. 

8. Così dunque lo sforzo che mira a costruire la pace nel mondo deve compiersi a vari livelli. La pace non significa una stasi (come sembrano esprimere alcune vostre opinioni); significa uno sforzo, uno sforzo enorme, in cui ognuno ha la propria parte. Bisogna formare la coscienza e il senso di responsabilità. Bisogna essere solidali con coloro i cui diritti sono violati. Bisogna “voir – juger – agir”. 

Così dunque certamente v’è molto da fare anche per voi giovani, qui in Giappone a voi appartiene il giorno di domani. Riflettete su tutti i programmi di azione in favore della pace, anche su quelli nei quali si esprimono i rappresentanti di tutte le religioni. La prima di tali conferenze ha avuto luogo proprio in Giappone nell’anno 1970 a Kjoto. 

Cristo dice: “Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9). Diventate anche voi operatori di pace! 

9. La religione cristiana, la religione che in un certo senso prende inizio dalle parole: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama” (Lc 2,14) porta nella causa della pace prima di tutto un’ardente ed incessante preghiera alla quale invita tutti. 

E poi porta la convinzione che l’uomo – anche quello contemporaneo – è capace, con l’aiuto della grazia divina, di superare il male multiforme che lo spinge sulle strade dell’odio, della guerra, della distruzione. Di ciò l’uomo è capace. Di ciò sono capaci gli uomini, le società ed i sistemi... 

Il cristianesimo afferma questa convinzione e lavora per il suo consolidamento. Esso infatti è animato dalla parola di Cristo, che è il maestro e il testimone della speranza! 

 

 

  



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