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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI FEDELI POLACCHI CONVENUTI A ROMA
PER LA BEATIFICAZIONE DI PADRE ONORATO KOŹMIŃSKI

Domenica, 16 ottobre 1988

 

Cari compatrioti!
Pellegrini venuti dalla Polonia e dai Paesi di emigrazione!

1. Vorrei ringraziarvi per la vostra odierna presenza. Sono lieto che oggi, fra i tre nuovi beati, ci sia padre Honorat Kozminski, fondatore di tante comunità religiose che svolgevano un’attività clandestina - da qui il loro nome di “nascondigli” - sotto il duro regime degli zar, nel più difficile periodo storico della nostra nazione. Sono lieto anche perché questa beatificazione avviene oggi, il 16 ottobre.

Questa data significa per me l’inizio di una nuova vocazione: del mio ministero petrino nella Chiesa. Ogni anno, il 16 ottobre, nel tardo pomeriggio, ringrazio Dio per l’anno che si è compiuto, e gli affido quello che sta per iniziare. Oggi, 16 ottobre del 1988, si tratta ormai di un intero decennio. Vi ringrazio molto di essere venuti a Roma in questo giorno. Ringrazio i Cardinali presenti: il Primate della Polonia, il mio successore nella sede di san Stanislao a Cracovia e il Cardinale Andrea Deskur che dall’inizio è stato per me un particolare sostegno. Ringrazio gli Arcivescovi e i Vescovi. Ringrazio i rappresentanti delle autorità centrali e regionali. Questo sincero ringraziamento lo estendo a quanti sono uniti a noi in patria e nei luoghi di emigrazione, a tutti i sacerdoti, religiosi e persone consacrate, a tutti i connazionali. Seguendo un’antica tradizione polacca, dico: Dio vi ricompensi!

Che Dio vi ricompensi non solo per questa giornata, ma per tutti i giorni dell’intero decennio. Negli Atti degli Apostoli si legge: “una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per Pietro” (cf. At 12, 5), quando Pietro è stato imprigionato da Erode a Gerusalemme. Una simile preghiera accompagna i successori di Pietro. So che accompagna anche me, e che la Chiesa in Polonia, i miei compatrioti partecipano a questa preghiera della Chiesa universale in modo particolare.

Lo sento continuamente. In modo particolare l’ho sentito nel 1981, dopo il 13 maggio. È inestimabile il debito di riconoscenza, che risale a quel periodo, verso colei che è la nostra protettrice e mediatrice, e anche verso tutti i miei fratelli e sorelle.

Dio ha già chiamato a sé il Cardinale Stefan Wyszynski con il quale abbiamo partecipato al Conclave del 1978. Non mi scorderò mai quello che mi disse quel 16 ottobre - solennità di sant’Edvige di Slesia - mentre il Conclave era prossimo alla decisione definitiva: “Se la eleggono non rifiuti, per favore”. Il Primate del Millennio mi fu allora di grande aiuto. Alla domanda, rivoltami nel momento dell’elezione, potei rispondere: “in obbedienza a Cristo mio Redentore e Signore, in affidamento alla sua Madre - accetto”.

2. Non mi sento chiamato a fare oggi un bilancio del decennio passato. Che sia Dio il giudice misericordioso di tutti i pensieri, di tutte le parole e di tutti gli atti - del mio intero servizio. Quello invece che chi esercita questo servizio apostolico dovrebbe pensare di sé, ce l’ha insegnato Cristo stesso: “dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

L’ormai prossimo anno duemila, la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio dalla nascita di Cristo, ci orienta verso quello che “dobbiamo fare”. Il Concilio Vaticano II in un certo senso ha preparato la Chiesa al suo servizio, alla sua missione in questa tappa della storia. Tutti i giorni abbiamo le prove che il mondo di oggi attende questo servizio. Ciò non toglie però che, qualche volta, sia la Chiesa che Cristo sono per lo stesso mondo “segno di contraddizione” (Lc 2, 34).

In tutti questi anni la provvidenza divina mi ha permesso di avvicinarmi alla Chiesa che vive nei vari continenti e nei diversi Paesi della terra. Sono convinto che questo è stato possibile grazie al Vaticano II. Vi hanno contribuito diversi fattori, come la collegialità dell’episcopato, tutto il programma conciliare di rinnovamento, l’ecumenismo, e la consapevolezza che la Chiesa è il “sacramento” che opera nel mondo, in mezzo alla grande famiglia umana (cf. Lumen Gentium, 1).

Affrontando le diverse esperienze del mio ministero rimango sempre consapevole di quanto devo, in tutto ciò, a quel retaggio della fede, della cultura e della storia, che ho portato con me dalla mia terra natale.

Devo molto a questo retaggio poiché esso mi rende sempre aperto verso le multiformi ricchezze dei popoli e delle nazioni che fanno parte della comunità della Chiesa universale. Questo mio retaggio non mi chiude in me stesso, ma aiuta a scoprire e a capire gli altri. Mi permette di prendere parte alla vita della grande famiglia umana, dove è sempre attuale il desiderio di pace e di giustizia. E questo desiderio è unito, in modo organico, alla sfera dei diritti e dei doveri: diritti e doveri dell’uomo, diritti e doveri della nazione.

3. Io penso ai diritti e ai doveri della mia nazione, di ogni uomo in Polonia, nel contesto delle esperienze che la Chiesa acquisisce compiendo la sua missione nel mondo contemporaneo.

Penso, e non mi stanco mai di affidare tutte queste cose, nella mia preghiera, a colei alla quale si rivolge incessantemente il nostro appello di Jasna Gora, l’appello del nostro Millennio: “sono con te, ricordo, veglio!”.

Ringrazio il Signore e gli uomini perché nell’ultimo decennio mi è stato dato di visitare la Polonia per ben tre volte, nell’ambito del ministero petrino che svolgo tra le Chiese in vari Paesi e in ogni continente. Credo che ogni mia visita in Polonia sia importante anche per quanto riguarda la missione della Chiesa in tutto il mondo contemporaneo.

Con l’approssimarsi dell’anniversario dell’indipendenza sarebbe opportuno gettare di nuovo uno sguardo su tutta la storia millenaria della nazione e della repubblica che per tanti secoli è stata la repubblica di molte nazioni. Anche se gravano su di essa errori e colpe - soprattutto nostri - non bisogna dimenticare il suo multiforme patrimonio storico. Il 600° anniversario del Battesimo della Lituania, celebrato l’anno scorso, e il millennio del Battesimo della Rus’ di Kiev quest’anno, sono ricorrenze che passano non solo vicino, ma in un certo senso, anche dentro la nostra storia.

Un fatto importante per l’Europa è stato, ed è ancor’oggi, il rendersi conto delle origini di quel processo che è per sempre legato ai nomi dei “fratelli Solun”, santi Cirillo e Metodio: Slavorum Apostoli.

Il prossimo anniversario dell’indipendenza deve essere visto anche nel contesto delle esperienze degli ultimi anni e decenni. Su tutti i fronti della seconda guerra mondiale i polacchi hanno versato il proprio sangue per l’indipendenza. E questa indipendenza non deve essere amministrata secondo criteri geopolitici, ma soltanto con il criterio dell’autentica sovranità della nazione nel proprio Paese.

Non esiste, infatti, altra strada per superare la crisi economica di cui si parla e si scrive così tanto. Non mancano, di certo, le diagnosi che ne rivelano le cause essenziali. È estremamente importante che ci sia una fiducia reciproca tra le autorità e la società. A tale fiducia si arriva con un sincero e coraggioso impegno di tutti, centrato sul bene comune, e con la serietà da ambedue le parti nel rispettare gli accordi e le intese.

I Vescovi polacchi hanno espresso tutto ciò, mossi dalla loro responsabilità pastorale, nel Comunicato della 230a Conferenza Plenaria dell’episcopato, del 6 ottobre scorso.

“I Vescovi seguono con molta attenzione le iniziative delle forze sociali e dei rappresentanti delle autorità statali, tese a trovare una via d’uscita per questa situazione, una via d’intesa, e non di scontro. Con molto interesse è stata accolta la relazione dei preparativi per la tavola rotonda.

I Vescovi hanno espresso la loro convinzione che verrà garantito il diritto dei lavoratori, soprattutto degli operai e dei contadini, di aderire ai sindacati da loro liberamente scelti. L’intesa sui valori principali dovrebbe creare la base per una fondamentale riforma dello stato, delle sue strutture e dell’economia nazionale. In tal modo si darà inizio ad un processo di consolidamento sociale, e si contribuirà al rafforzamento della posizione polacca sul piano internazionale. La Chiesa appoggerà le azioni volte a favorire il bene comune” (Episc. Poloniae “Relatio de 230a Conferentia Plenaria”, die 6 oct. 1988).

Oggi desidero assicurare tutti i miei compatrioti che aspetto con loro quel momento in cui le analisi, le diagnosi e le dichiarazioni si tradurranno in fatti concreti che renderanno sicuro il futuro della nazione.

4. Dieci anni or sono, iniziando il mio ministero nella sede romana di san Pietro, ho sentito il bisogno di esprimere alcuni pensieri su Cristo, redentore dell’uomo, che dopo hanno preso forma nella mia prima enciclica Redemptor Hominis.

L’affermazione che “l’uomo è la via della Chiesa” (Redemptor Hominis, 14) si radica in quella verità evangelica che è stata riscoperta, in un certo modo, dal Concilio, nella costituzione Gaudium et Spes: Cristo “rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso e gli mostra la sua suprema vocazione” (Gaudium et Spes, 22). Fuori da Cristo l’uomo non conosce pienamente se stesso. Non sa in fondo chi è.

In risposta alla vostra odierna presenza a Roma, cari compatrioti, e anche alla presenza spirituale di tanti miei fratelli e sorelle nella patria e nei luoghi di emigrazione, vorrei augurare a tutti e a ciascuno di realizzare questa verità “conciliare” sull’uomo.

È una cosa che si può augurare dopo i mille anni del cristianesimo in Polonia. E che si deve augurare di fronte alle esperienze del nostro secolo. In ogni caso io non trovo altro augurio che corrisponda in modo più completo a tutto ciò che ho sperimentato dai figli e dalle figlie della nostra patria comune.

Quindi, auguro a ciascuno e a tutti di scoprire mediante Cristo una matura pienezza dell’umanità.

Auguro inoltre che nella nostra patria ogni uomo sia sempre di più la “via di Cristo”!

L’uomo! L’uomo vivo è la gloria di Dio. Nello stesso tempo è il bene maggiore di tutta la comunità: della famiglia o della nazione.

Consegno tutti questi voti alla Madonna di Jasna Gora, Madre di tutti i polacchi, con le parole di questo canto dei pellegrini:

“O Madre, che ci conosci, sii con i tuoi figli! Illumina con la speranza le nostre vie; cammina con tuo Figlio al nostro fianco!”.

 

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