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VIAGGIO APOSTOLICO IN TANZANIA, BURUNDI, RWANDA E YAMOUSSOUKRO

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I CAPI DI ALTRE CONFESSIONI E RELIGIONI
NEL «MSIMBAZI CENTRE»

Dar-es-Salaam (Tanzania) - Domenica, 2 settembre 1990

 

Distinti rappresentanti religiosi,
Cari fratelli,

1. Voglio porgere a tutti voi un cordialissimo saluto e ringraziarvi per la vostra presenza qui oggi. La mia visita pastorale sarebbe incompleta se non cogliessi l’opportunità di incontrare i rappresentanti dei vari organismi religiosi della Tanzania. Invero, per me questa non è soltanto una felice occasione, ma anche un dovere che mi è affidato come Pastore della Chiesa Cattolica Universale. È un dovere poiché la Chiesa è impegnata a cercare il dialogo nella verità e nell’amore con tutta l’umanità, e in modo particolare con gli altri Cristiani e con i seguaci delle altre religioni.

Nel 1964, durante il Concilio Vaticano II, nella sua prima Lettera Enciclica Ecclesiam suam, il mio predecessore, il Papa Paolo VI, ha descritto la via del dialogo che la Chiesa doveva seguire. Quello stesso Concilio Ecumenico ha sviluppato questo programma nel suo insegnamento e ha creato le strutture idonee al perseguimento di tale fine. La Chiesa Cattolica si sente in dovere di entrare in dialogo con gli altri Cristiani in obbedienza alla volontà di Cristo che “tutti siano uno” (Gv 17, 21), e con le altre religioni come parte della sua missione per portare avanti il “dialogo della salvezza” (cf. Paolo VI, Ecclesiam suam, AAS 56 [1964] 641 ss.) iniziato da Dio e portato a compimento nella Morte e Risurrezione del suo Figlio.

2. È importante sapere cosa intendiamo quando diciamo che vogliamo seguire la via del dialogo. In generale, dialogo significa intercomunicazione, amicizia e rispetto reciproco, nonché uno sforzo unitario per il raggiungimento delle mete comuni, tutti al servizio di una comune ricerca della verità. Nel contesto del pluralismo religioso, “il dialogo è un complesso di attività umane, tutte fondate sul rispetto e sulla stima per gli individui di diversa religione. Esso include la quotidiana convivenza nella pace e nell’aiuto reciproco, insieme alla testimonianza di ognuno ai valori assimilati durante l’esperienza di fede. Esso comporta una disponibilità a cooperare con gli altri per il miglioramento dell’umanità, e un impegno per cercare insieme la vera pace. Significa l’incontro tra teologi e altri esperti religiosi per esplorare, con le loro controparti di altre religioni, aree di convergenza e di divergenza. Dove le circostanze lo permettono, significa la condivisione di esperienze e di approfondimenti spirituali” (Discorso all’Assemblea del Segretariato per i Non-Cristiani, 28 aprile 1987).

Per quanto riguarda gli scopi del dialogo interreligioso, una migliore comprensione reciproca può portare a nuovi atteggiamenti di rispetto e alla promozione di ideali comuni nella sfera della libertà religiosa, della fratellanza umana e del progresso sociale (cf. Paolo VI, Ecclesiam suam, AAS [1964] 655). Ciò costituirebbe di per sé un non piccolo risultato in un mondo che giustamente guarda alla religione come un fattore di armonia e di pace, ed è scandalizzato quando la religione è usata per giustificare o promuovere la divisione e l’odio, o addirittura la violenza.

3. A tutti i miei Fratelli e le mie Sorelle Cristiani che sono qui oggi, voglio dire che non ci si può sottrarre al compito di raggiungere la pienezza di unità che Gesù Cristo desidera tra i suoi discepoli. Sotto l’azione della grazia ispirante dello Spirito Santo, il progresso dell’ecumenismo costituisce un importante “segno dei tempi” (Unitatis redintegratio, 4), chiamando tutti i Cristiani a una riflessione orante e a raddoppiare i loro sforzi verso un maggiore accordo e una più intensa cooperazione. È mio fervente desiderio che, secondo le parole del Concilio Vaticano II, un giorno “tutti i Cristiani si riuniscano in quell’unità dell’una e unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa” (Ivi).

Nonostante dopo secoli vi siano ancora seri ostacoli da superare, ringraziamo il Signore per il forte spirito ecumenico che si sta facendo strada in Tanzania e per i numerosi esempi di cooperazione ecumenica che già vi si riscontrano. Di fronte a voi si profila un’immensa area di cooperazione per la difesa della dignità e dei diritti della persona umana, l’applicazione dei principi evangelici alla vita sociale, la liberazione da calamità quali la fame, le malattie, l’analfabetismo e il terribile fardello della povertà (cf. Unitatis redintegratio, 12).

Ma esiste anche un’altra dimensione dell’ecumenismo Cristiano. Il dialogo dell’unità Cristiana è anche al servizio di un più ampio “dialogo della salvezza” con i popoli di ogni religione. La fede in Gesù Cristo, “la Via, la Verità, e la Vita” (Gv 14, 6), “il solo nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12), ci sollecita a proclamare la sua esistenza davanti al mondo. Quanto più credibile ed efficace sarebbe la nostra comune testimonianza del Salvatore, se essa fosse una testimonianza resa nell’unità più completa! Anche ora, tuttavia, questa testimonianza trae vigore da ogni sforzo che noi compiamo per progredire sul cammino di un’armonia e di un amore più grandi. So che la Chiesa Cattolica in Tanzania è impegnata su questo cammino al vostro fianco, e sono sicuro che per l’imperscrutabile provvidenza del Signore, i vostri sforzi ecumenici saranno fruttuosi “perché il mondo creda” (Gv 17, 21).

4. I miei calorosi saluti e i migliori auguri vanno anche ai membri delle altre religioni, induisti, buddisti e in particolare ai seguaci dell’Islam. Prego affinché questo incontro serva a rafforzare le buone relazioni esistenti in Tanzania tra i gruppi religiosi qui rappresentati. Possa la nostra fede in un unico Dio essere la vera sorgente del nostro amore e della stima reciproca!

È innegabile che il dialogo tra Cristiani e Musulmani assume una importanza sempre crescente nel mondo di oggi. Ed è anche una questione delicata, essendo ambedue le religioni profondamente impegnate nella diffusione della propria fede. Ma, obiettivamente, esiste un fondamento ben saldo sul quale è possibile costruire il rispetto e la collaborazione reciproci: esso consiste nel riconoscere ad ogni individuo il diritto inalienabile e il solenne dovere di seguire la propria retta coscienza nella ricerca della verità e nell’adesione ad essa. Un’osservanza religiosa che sia in qualche modo imposta dall’esterno non è in grado di soddisfare il Signore del cielo e della terra. È lecito chiedersi cosa diverrebbero i doni meravigliosi della ragione e della libertà che concedono agli individui il privilegio di essere investiti di personale responsabilità, e che costituiscono il valore e la gloria degli amati figli e figlie del Creatore (cf. Dignitatis humanae, 2).

Un dialogo del tipo che ho appena descritto, non tenta di produrre un consenso artificioso intorno alle convinzioni della nostra fede; esso aiuta piuttosto ad assicurare che, nel fervore di proclamare le nostre credenze, e nei metodi usati, rispettiamo il diritto di ogni persona alla libertà religiosa.

Coltivando delle relazioni positive e costruttive fra le nostre comunità, possiamo giungere ad una comprensione reciproca ed al rispetto che garantisce l’applicazione di questo fondamentale diritto umano e apre la via alla costruzione di una società nella quale ognuno può contribuire al bene comune.

Cristiani e Musulmani possono vivere in armonia e manifestare la solidarietà reciproca in tutte le circostanze felici, i dolori e le sfide che segnano la vita di una comunità locale. Come dimostra l’esperienza in molte parti del mondo, le differenze religiose fra di loro non necessariamente rovinano la convivenza. I Cristiani e i Musulmani della Tanzania possono senz’altro costruire insieme una società uniformata ai valori insegnati da Dio: la tolleranza, la giustizia, la pace, e la sollecitudine per i più poveri e i più deboli. Mi auguro che le due religioni possano lavorare una al fianco dell’altra per garantire che questi valori e il diritto alla libertà religiosa vengano sanciti da una legge civile, a salvaguardia della vera uguaglianza fra tutti i cittadini della Tanzania.

5. A tutti coloro che oggi sono qui presenti, esprimo il sentito augurio, accompagnato da un’ardente preghiera, affinché il futuro della Tanzania e dell’Africa tutta possa essere forgiato dalla fede in Dio e non dall’agnosticismo. Sono molti coloro che nel mondo di oggi scelgono di ignorare, mettendo in pericolo l’umanità, il potere che la fede religiosa ha nel determinare la storia e la cultura. Cari amici, il mio augurio è che noi, che sappiamo che non è così, cerchiamo sempre la pace e non il conflitto, il rispetto reciproco e la comprensione e non la polemica, nel nostro sforzo di testimoniare il mistero trascendente che la coscienza ci dice essere la sola risposta alle più profonde aspirazioni del cuore umano.

Dio vi benedica tutti.

 

© Copyright 1990 - Libreria Editrice Vaticana 

 



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