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LAETITIAE SANCTAE

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

 

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari locali che sono in pace e comunione con la Sede Apostolica.
Il Papa Leone XIII. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Alla santa gioia che Ci portò, ricolmo di felicitazioni, il cinquantesimo anno dalla Nostra consacrazione episcopale, si aggiunse graditissimo il fatto che abbiamo sentito vicini, con una bellissima dimostrazione di fede e di amore, tutti i membri dell’intiera cristianità, proprio come figli vicini al padre. In tutto questo, con sentimenti di sempre nuova gratitudine, riconosciamo ed esaltiamo il disegno della divina Provvidenza, sommamente benevolo nei Nostri confronti e di grande giovamento per la Chiesa. Né con minore ardore il Nostro cuore brama tessere le lodi ed esaltare l’ottima mediatrice di questo beneficio presso Dio: la sua augusta Madre.

Questo suo singolare amore che, in modi diversi, Noi stessi abbiamo sempre sentito presente nei vari momenti della vita, si svela ogni giorno di più ai Nostri occhi e inondando di dolcezza l’anima, Ci rafforza con una fiducia sovrumana.

Sembra proprio di udire la voce stessa della celeste Regina, quando benevolmente Ci rincuora nelle più aspre traversie della Chiesa, quando Ci aiuta, con ripetute ispirazioni, a dar vita a iniziative utili alla comune salvezza e quando Ci esorta a suscitare la pietà e ogni sorta di esercizio della virtù nel popolo cristiano. Già in passato fu per Noi un dolce e sacro impegno corrispondere a questi suoi desideri.

È doveroso mettere in evidenza, tra i frutti che, con il suo patrocinio, hanno fatto seguito alle Nostre esortazioni, il grande sviluppo che ha registrato la devozione al suo santissimo Rosario. Lo dimostrano le pie Confraternite, che in qualche luogo sono cresciute di numero e in qualche altro sono state costituite; gli scritti redatti con saggezza e divulgati con profitto tra il popolo e le stesse opere d’arte che lo hanno illustrato con raffinata eleganza.

Ma proprio ora, come se ascoltassimo la parola stessa della premurosissima Madre che Ci incalza, “Parla a gran voce e non desistere”, è per Noi gradito intrattenerCi nuovamente con voi del Rosario mariano, Venerabili Fratelli, nell’imminenza del mese di ottobre, che Noi abbiamo voluto consacrato a lei con l’amabilissima pratica del suo Rosario, corredata dei doni della santa Indulgenza.

Il Nostro discorso non avrà il precipuo intento di aggiungere lodi ad una preghiera di per sé tanto eccelsa, o di spingere i fedeli a coltivarla con una pratica di più convinta pietà, ma riguarderà i molteplici e scelti benefici che ne possono derivare, particolarmente utili per la condizione dei tempi e delle persone. Siamo infatti pienamente convinti che la pratica del Rosario, curata in modo da farne scaturire la forza morale che vi è racchiusa, genererà frutti copiosi, non solo per i singoli, ma per tutta la società.

Nessuno può essere all’oscuro che Noi abbiamo rivolto tutto il Nostro impegno e la forza del Nostro supremo ministero a promuovere il bene sociale, e che siamo ancora disponibili, con l’aiuto di Dio, a promuoverlo. Chi infatti detiene il potere, è stato da Noi ripetutamente ammonito a non promulgare leggi e a non usarle se non nel puntuale rispetto delle disposizioni della Mente divina. Abbiamo inoltre esortato con insistenza quei cittadini che superano gli altri, o per l’ingegno, o per i meriti, o per la nobiltà e la ricchezza, a tutelare e a promuovere, con il contributo della loro saggezza e della loro forza, i più alti e i più importanti valori della società.

In una società civile come l’attuale, sono decisamente troppe le cose che rendono precari gli obblighi del pubblico comportamento, e i popoli vengono distolti dal perseguire la piena correttezza dei costumi. Ci sembrano soprattutto tre le cose che più di ogni altra compromettono il bene comune: il rifiuto della vita modesta e laboriosa, la paura del sacrificio, l’oblio dei beni futuri in cui speriamo.

Non siamo soli a lamentarci, ma anche quelli che riconducono ogni cosa al lume e all’utilità della natura, confessano a loro volta e si rammaricano del grave danno inferto alla società, e ne ravvisano la causa proprio nella noncuranza dei doveri e dei valori che qualificano il semplice e comune modo di vivere.

Da qui le conseguenze sulla vita domestica, dove l’obbedienza voluta dalla natura viene messa sfacciatamente in discussione dai figli, insofferenti di ogni forma di educazione che non sia all’insegna della condiscendenza e dell’appagamento. Da qui il disinteresse degli operai per le loro attività, il rifiuto della fatica, il malcontento per il proprio stato e la spinta ad aspirare ad una più alta condizione di vita e ad un’improbabile uguale spartizione dei beni. Considerazioni dello stesso genere hanno spinto molti ad abbandonare la campagna natia, per immergersi nei rumori e negli sfrenati allettamenti della città. Da qui l’assenza di equilibrio fra le classi sociali, la mancanza di sicurezza, l’imbarbarimento degli animi causato dalla competizione e dall’invidia; infine, coloro che sono rimasti delusi nelle loro speranze, attentano alla pace sociale ricorrendo alla rivolta e a turbolenze, opponendosi a coloro che hanno il dovere di difenderla.

Si cerchi il rimedio a questi mali nel Rosario di Maria, che si articola in un ben definito ordine di preghiere e nella meditazione dei misteri di Cristo Salvatore e di sua Madre. Si curi dunque una presentazione adatta al popolo dei Misteri gaudiosi, tali che appaiano agli occhi degli uomini come se fossero pitture ed immagini di virtù; ognuno potrà cogliervi una serie di esempi, completa e di facile comprensione, utile ad imprimere l’indirizzo per una vita onesta, in grado di allettare dolcemente gli animi.

Si fermi l’attenzione sulla casa di Nazareth, dimora divina ed umana della santità. Quale testimonianza di vita quotidiana vi si rispecchia! Quale perfetto modello di comunità domestica! Qui, semplicità e purezza di costumi, piena armonia degli animi, nessuno stravolgimento delle norme, rispetto vicendevole e un amore non simulato e mendace, ma che si esprime in modo così convinto nell’adempimento dei doveri, da catturare l’attenzione di chi guarda. Colà non manca certo l’impegno di procurare quanto è indispensabile per l’alimentazione e per il decoro, ma con il sudore della fronte, proprio di chi, contento del poco, si dà da fare per diminuire la povertà, non per accumulare ricchezza. Ma vi regna soprattutto una perfetta serenità di spirito e una felicità altrettanto grande: due stati d’animo che non abbandonano mai chi opera con rettitudine.

Gli esempi di queste virtù, specialmente di modestia e di semplicità, di accettazione della fatica, di bontà verso il prossimo, di osservanza delle più umili incombenze proprie della vita quotidiana, unitamente ad ogni altro comportamento esemplare, mentre prendono forma nella mente, s’insinuano gradualmente nel profondo dell’anima e vi operano l’auspicato cambiamento del modo di pensare e di vivere.

Il proprio lavoro tornerà allora accetto a ciascuno: esso non sarà più disprezzato ed insopportabile, ma gratificante e piacevole e, come se fosse pervasa da un senso di soddisfazione, questa consapevolezza del dovere indurrà ad operare bene con più convinzione. Ne deriverà un addolcimento generale dei costumi; la vita domestica sarà fonte di amore e di gioia; il rapporto con gli altri si qualificherà per l’alto senso di rispetto e di benevolenza. Se tutto questo sarà trasferito dal singolo alla famiglia, alle comunità e all’intera società per indirizzarne la vita, senz’ombra di dubbio, ne trarrà grandi vantaggi la collettività.

Un altro male, assai deleterio, che non potrà mai essere sufficientemente deplorato perché col passare del tempo si diffonde e corrompe seriamente gli animi, è ravvisabile nel rifiuto del dolore, nel respingere con decisione ciò che è difficile e sgradevole. Sta infatti emergendo una nutrita schiera di persone che non considerano, come sarebbe doveroso, la serena libertà degli animi un premio riservato a coloro che, per tenere fede agli impegni della virtù, affrontano con decisione i pericoli e le fatiche, ma la immaginano come un ipotetico stato di perfezione della società dove, eliminato ciò che è sgradito, si potrà fruire di tutte le cose piacevoli della vita terrena. A causa di questo desiderio smodato di vivere all’insegna del piacere, si scivola verso l’indebolimento della mente, la quale, pur non annullandosi completamente, viene a tal punto infiacchita che si arrende con viltà ai mali della vita e si lascia miseramente travolgere.

Anche in questa critica situazione, per rafforzare gli spiriti possiamo riprometterci un rilevante aiuto (perché grande è la forza dell’esempio) dal Rosario mariano, se saranno indirizzati a meditare in dolce silenzio, fin dalla prima fanciullezza e con crescente assiduità, i Misteri cosiddetti dolorosi. Questi ci offrono l’opportunità di contemplare Cristo, causa e coronamento della nostra Fede, che si vota all’azione e all’insegnamento, perché possiamo cogliere nel suo esempio un riscontro di quanto ci ha insegnato sul modo di sopportare la nostra fatica e il nostro dolore, e renderci anche conto che le cose più difficili da tollerare, sono state da lui affrontate con grande spirito di sopportazione. Lo vediamo in preda alla tristezza al punto di grondare sangue per tutte le membra, cose se fosse sudore. Lo vediamo incatenato come un malfattore affrontare il giudizio degli empi, fatto segno di crudeli ingiurie e di falsi crimini. Lo vediamo martoriato dai flagelli, coronato di spine, inchiodato alla croce, con l’aspetto di chi non merita più di vivere, ma è solo degno di morire tra gli schiamazzi beffardi di una folla. Poniamo anche mente al dolore della santissima sua Madre: la sua anima non fu solo colpita, ma trapassata dalla spada del dolore, sì da essere chiamata, ed essere, la madre dei dolori.

Chi contempli gli esempi di così eccelse virtù con assidua riflessione, e non soltanto con gli occhi, non potrà non sentire ardere il cuore dal desiderio di imitarle! Gli si erga pure contro la terra maledetta che germina spine e triboli; sia la sua mente oppressa dall’angoscia e il suo corpo tormentato dalle malattie: non potrà presentarsi, causato dall’invidia degli uomini o dalla rabbia dei demoni, alcun male, né un’imprevista disgrazia pubblica o privata, che non possa superare con la sopportazione. Per questo è corretta l’affermazione che “è proprio del cristiano compiere e sopportare cose eroiche”: infatti il cristiano degno di questo nome non può, in nessun caso, non seguire Cristo che soffre.

Ora Noi definiamo pazienza, non la vana ostentazione di un amico reso insensibile al dolore, tipica dottrina di alcuni antichi filosofi, ma quella che, sull’esempio di chi “pur avendo di fronte a sé la gioia, scelse la croce, senza temere la vergogna” (Eb 12,2) sollecita da Cristo l’aiuto della grazia indispensabile per non rifiutare di sopportare con forza le sofferenze, e anche per trarne profitto, considerando la sopportazione, anche quella più dura, un guadagno.

La Chiesa cattolica ebbe nel passato, e li ha tuttora, molti seguaci di questa dottrina che si distinsero in modo eminente: uomini e donne di ogni classe sociale che, in ogni luogo, seguendo le orme di Cristo Signore, furono oggetto di ogni sorta di ingiurie e di sventure a motivo della virtù e della religione e fecero propria, nei fatti più che nelle parole, la famosa espressione di Didimo: “Andiamo anche noi e moriamo con lui” (Gv 11,16).

Possano sempre più moltiplicarsi queste testimonianze di nobile costanza: in esse trovino incremento la difesa della società, la gloria e la forza della Chiesa!

Il terzo dei mali, al quale occorre trovare rimedio, si sta rivelando proprio negli uomini del nostro tempo. Infatti gli uomini dei tempi passati, che pure amavano le cose terrene, e forse con più passione, non disprezzavano quasi mai completamente quelle celesti; i più saggi dei pagani insegnarono che questa vita è per noi un alloggio, non una casa, un asilo di transito, non un’abitazione. Invece gli uomini attuali, pur avendo ricevuto un’educazione cristiana, in gran numero inseguono con tanto accanimento i beni fugaci di questo mondo, come se volessero non solo far svanire il ricordo della patria più importante che dona una felicità senza tramonto, ma anche con gran vergogna, di vederlo cancellato, mentre Paolo ammonisce invano: “Non abbiamo quaggiù una dimora definitiva, ma siamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14)

Chi tenta di scoprirne le cause, s’imbatte anzitutto nella convinzione, presente in molti, che con il pensiero delle cose future si annulli l’amore per la patria terrena e si comprometta la prosperità dello Stato. Non vi è niente di più odioso e di più stolto. Non è infatti nella natura delle cose sperate assorbire la mente degli uomini, in modo a tal punto esclusivo, da distoglierla completamente dalla cura dei beni presenti, dal momento che Cristo stesso proclamò che si deve cercare il regno di Dio come primo e più importante impegno, ma non che si trascuri il resto.

Se l’uso dei beni terreni e ogni onesta soddisfazione che è possibile trarne, tornano utili ad accrescere e a ricompensare la virtù; se la magnificenza e il benessere della città terrena, che sono la fonte del più nobile onore della società, si ispirano alla magnificenza e al benessere della città eterna, non vi è nulla di disdicevole per la razionalità dell’uomo, né di contrario alle disposizioni divine. È Dio, infatti, che ha creato la natura e la grazia, non perché si ostacolino a vicenda ed entrino in conflitto fra di loro, ma perché procedano unite, sostenute da un patto vantaggioso per agevolare, sotto la loro guida, il raggiungimento della felicità immortale, che è la meta di noi mortali, con un cammino meno aspro.

Ma gli uomini dediti al piacere, che amano solo se stessi e che si abbassano a rivolgere tutti i loro pensieri ai beni caduchi, tanto da non poter mirare più in alto, per non essere distratti dai beni visibili di cui godono, e aspirare a quelli eterni, preferiscono perdere anche l’idea dell’eternità e cadere nella condizione più miserabile. Non vi è pena più dura, che la Divinità possa infliggere, del permettere che l’uomo, immemore dei beni eterni, rincorra per tutta la vita gli allettamenti del piacere.

Potrà tuttavia tenersi lontano da questo pericolo chi farà ricorso alla pia pratica del Rosario e farà rivivere nella propria mente, con assiduità ed attenzione, quanto vi viene presentato dai Misteri gloriosi. Sono questi i Misteri che offrono alla mente cristiana un esempio luminoso per rivolgere lo sguardo a quei beni che, se pure sfuggono alla vista, riteniamo, con fede sicura, preparati da Dio “per quelli che lo amano”.

Ci viene pure insegnato che la morte non è una fine che tutto toglie e annienta, ma un passaggio e un cambiamento di vita. Ci viene ricordato che la via del cielo è aperta a tutti, perché quando contempliamo Cristo che vi fa ritorno, ci rammentiamo della sua gratificante promessa: “Vado a prepararvi un posto”. Ci viene rammentato che giungerà il tempo nel quale “Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi, e non ci sarà più né lutto, né lamento, né dolore, ma saremo sempre con il Signore, simili a Dio perché lo vedremo come egli è; potremo dissetarci al torrente della sua felicità, concittadini dei Santi”, in comunità di vita con la grande Regina e Madre beatissima.

Meditando queste cose, l’anima non potrà non accendersi d’amore e sarà costretta a ripetere le parole di quel gran Santo: “Che cosa di poco conto è la terra, quando contemplo il cielo!”. Potrà anche consolarsi ricorrendo a quella famosa espressione: “La nostra momentanea e leggera sofferenza ci procura una eterna quantità di gloria”.

È senza dubbio questo il modo corretto per collegare il tempo presente con l’eternità, la città terrena con quella celeste; solo con questo mezzo si possono far crescere anime forti e nobili. Se sarà possibile contare su un gran numero di queste persone, la società manterrà salda la dignità e la grandezza, fiorirà tutto ciò che è vero, buono e bello, in sintonia con la direttiva di colui che è il principio sommo della verità, della bontà e della bellezza.

Tutti possono rendersi conto di quanto abbiamo affermato all’inizio: di quali vantaggi sia prodigo il potere del Rosario mariano, e in che modo straordinario possa sanare i mali del nostro tempo e tener lontano le più grandi sventure della società.

Ora questa virtù, com’è ovvio, potranno anzitutto sentirla, e con più abbondanza di frutti, coloro che, iscritti alle sacre Confraternite del Rosario, si distinguono dagli altri per lo speciale legame fraterno che li unisce, e per la devozione verso la Santissima Vergine. Queste Confraternite, approvate con decreto dei Romani Pontefici e da loro arricchite con privilegi e con concessioni di indulgenze, sono rette da Statuti e da Ordinamenti propri, noti a tutti; si riuniscono periodicamente e sono corredate di ottime risorse per godere di una santa vitalità e per procurare vantaggi alla società. Sono come truppe schierate in campo, che affrontano le battaglie di Cristo con la forza dei suoi sacrosanti Misteri, sotto la guida e la protezione della Regina celeste. È sempre stato noto a tutti come in ogni tempo la Madonna si sia rivelata particolarmente benevola alle loro suppliche, ai riti e alle processioni, ma in modo tutto speciale a Lepanto.

Conviene dunque impegnarsi con grande zelo e rivolgere i propri sforzi a istituire, a promuovere e a dirigere tali Confraternite. Non Ci rivolgiamo solamente ai discepoli del Patriarca San Domenico, quantunque essi vi debbano attendere con tutte le forze, perché ciò è richiesto dalla loro regola, ma anche a chiunque ha cura d’anime, specialmente in quelle chiese dove sono già state canonicamente istituite. È pure Nostro vivo desiderio che quanti intraprendono la sacra missione di portare la dottrina di Cristo alle genti pagane, o di consolidarla presso quelle civili, si facciano carico anche di questo compito.

Non nutriamo alcun dubbio che, con l’aiuto di tutti questi consiglieri, numerosi fedeli sentiranno nell’anima il desiderio di iscriversi alla Confraternita e metteranno tutto l’impegno per ottenere quei beni spirituali di cui abbiamo parlato, nei quali si trovano veramente la ragione e l’essenza del Rosario.

Dall’esempio dei Confratelli si propagheranno agli altri fedeli una stima e una devozione più accentuata per la pratica del Rosario; questi, animati in tal modo, si applicheranno con maggiore sollecitudine per condividere con quelli, come è Nostro vivissimo desiderio, l’abbondanza dei suddetti beni salutari.

Rifulge dunque per Noi questa speranza, che Ci guida e Ci è di grande conforto in mezzo a tanti mali della società. Sarà la stessa ispiratrice e maestra del Rosario, Maria, Madre di Dio e degli uomini, a rendere possibile, accogliendo le Nostre suppliche, che questa speranza possa avverarsi.

Confidiamo che sarà proprio il vostro impegno, Venerabili Fratelli, a far sì che i Nostri insegnamenti e i Nostri auspici si traducano in prosperità per le famiglie, in pace per i popoli e in ogni cosa buona.

Nel frattempo, auspice dei divini favori e pegno della Nostra benevolenza, impartiamo, con un atto di profondo amore nel Signore, l’Apostolica Benedizione a ciascuno di voi, al clero e al vostro popolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’8 settembre 1893, sedicesimo anno del Nostro Pontificato.

 

LEONE PP. XIII



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