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NON MEDIOCRI

EPISTOLA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

 

Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi di Spagna.
Il Papa Leone XIII. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Come voi sapete, non appena abbiamo assunto il governo della Chiesa Ci siamo dedicati con grande zelo e diligenza a difendere e ad accrescere nella vostra terra il patrimonio della cattolicità e a confermare, anzitutto, la concordia degli animi e a stimolare la salutare operosità del Clero.

Ora, animati dallo stesso zelo, rivolgiamo la Nostra attenzione ai vostri giovani chierici, per potere, in unità di intenti con voi, contribuire alla loro formazione.

Vogliamo che questa sia una nuova dimostrazione della paterna benevolenza con la quale, in un gesto abituale, abbracciamo voi tutti. Ciò è dovuto. Non ci siamo infatti dimenticati della realtà spagnola, né ignoriamo la vostra incrollabile fermezza nella fede ricevuta dai padri e la vostra deferenza verso la Sede Apostolica. È questo il vero motivo, per cui il nome della Spagna è assurto a tanta grandezza di gloria e di potenza, come attestano le memorie storiche.

È ben fisso nella Nostra mente, e non intendiamo ora passarlo sotto silenzio, che nei momenti di sventura Ci sono giunti proprio dalla Spagna motivi di profonda consolazione. Ci torna quindi sommamente gradito ricambiare le vostre attestazioni di affetto.

Per lungo tempo il Clero spagnolo si distinse per la scienza divina e per la raffinatezza degli studi letterari; per mezzo di queste doti, riuscì a far progredire non poco la verità cristiana e la reputazione del proprio paese. Non mancarono persone munifiche che, fattesi carico del patrocinio delle arti più eccelse, le sostennero in modo adeguato ai tempi; non mancarono pure ingegni ben preparati nello studio delle discipline teologiche e filosofiche, nonché di quelle letterarie. Sappiamo quanto abbiano contribuito ad incrementare questi studi sia la libertà dei Re Cattolici, sia l’impegno e lo zelo dei Vescovi.

A questi stimoli la Sede Apostolica ne aggiunse altri di ogni genere, sempre preoccupata che non venissero a mancare alla santità della tradizione cristiana né la luce della filosofia, né lo splendore di una cultura più raffinata. In questo campo hanno lasciato un insigne patrimonio uomini che non trovano molti alla loro altezza: Francesco Suarez, Giovanni Lugo, Francesco da Toledo e, degno di particolare menzione, quel Francesco Ximenes che, sotto la guida e gl’indirizzi dei Romani Pontefici, assurse ad un livello così elevato di dottrina da dare lustro non solo alla Spagna, ma all’intera Europa, specie con l’istituzione dell’Università degli studi di Alcala, dove i giovani, educati “nella Chiesa di Dio con la luce della sapienza, come rilucenti stelle del mattino, potevano illuminare gli altri sulla via della verità[1].

Da questa messe, coltivata con tanta maestria e con tanto impegno, uscì quella mirabile schiera di illustri dottori che, convocati dal Romano Pontefice e dal Re Cattolico al Concilio Tridentino, corrisposero in pieno alle loro attese.

Non desta affatto meraviglia che la Spagna possa aver generato un così alto numero di uomini illustri: occorre certo riconoscere la loro naturale capacità intellettiva, ma avevano anche a disposizione risorse e mezzi sicuramente idonei al conseguimento di una perfetta padronanza della dottrina. È sufficiente fare menzione delle importanti Università di Alcala e di Salamanca, autentiche dimore, sotto la vigilanza della Chiesa, della sapienza cristiana. Il loro ricordo richiama immediatamente anche quello di altri Istituti che offrirono agli ecclesiastici, che si segnalavano per il talento e per l’amore della scienza, l’opportunità di una sede a loro disposizione.

Ma è pure davanti ai vostri occhi, Venerabili, Fratelli, la catastrofe dei tempi successivi. In mezzo agli sconvolgimenti sociali che nel secolo scorso e nell’attuale hanno turbato l’intera Europa, sono stati travolti e sradicati, come da un violento uragano, quegli Istituti alla cui fondazione il potere regio ed ecclesiastico avevano profuso attenzioni e sostanze. Essendo state tolte di mezzo le Università cattoliche degli studi e i loro Istituti, anche i Seminari inaridirono, perché si era gradualmente immiserito quel fiume di sapere che scaturiva da quelle grandi scuole. Non era peraltro possibile che mantenessero inalterata l’antica situazione, a causa delle guerre civili e dei moti rivoluzionari che, per molto tempo, assorbirono gl’impegni e le risorse dei cittadini.

La Sede Apostolica, intervenne in tempo utile e le rivolse tutta la sua attenzione a rimettere ordine, con il consenso dell’Autorità civile, negli affari ecclesiastici, che gli eventi passati avevano sconvolto. Rivolse anzitutto la sua attenzione ai Seminari diocesani; il riportarli alla precedente situazione che li rendeva vera dimora della pietà e della erudizione, rientrava nell’interesse dei singoli e della società. Voi tuttavia sapete bene che l’impresa non è proprio riuscita come si era ipotizzato. Non vi erano infatti mezzi sufficienti, né il corso degli studi poteva riprendere vigore con prospettive di gloriosi traguardi, perché la scomparsa degli antichi Istituti aveva portato alla penuria di validi insegnanti.

Le due più alte autorità convennero sull’opportunità di creare in alcune province dei Seminari generali, con l’intesa che i loro allievi che avessero compiuto tutti gli studi teologici potessero essere ammessi ai gradi accademici secondo le usanze del passato. Ma la piena attuazione di tutto ciò trovò, e trova tuttora, numerosi ostacoli. Essendo scomparsa la risorsa delle antiche Università, si sente viva la mancanza di quei mezzi, l’assenza dei quali rende assai arduo al Clero aspirare all’onore di una cultura compiuta e profonda. Si sono così fatte unanimi la voce e l’opinione dei competenti sulla necessità di mettere mano al programma degli studi nei Seminari, per ampliarlo e perfezionarlo.

Tutto questo rientra fra le principali Nostre preoccupazioni, essendo intenzionati a ricalcare le orme dei Nostri Predecessori, che non tralasciarono alcuna occasione per favorire gli studi più qualificati. La provvida azione dei Pontefici si rilevò in modo particolare quando vollero far venire a Roma, capitale del mondo cattolico, i giovani chierici stranieri e li riunirono nei Collegi, con tanta maggior decisione ogniqualvolta vedevano venir meno nel loro paese la possibilità dello studio, o compromessa l’affidabilità delle Istituzioni, sottratte alla vigilanza della Chiesa.

Vennero così fondati in Roma numerosi Collegi, dove confluivano dall’estero molti giovani da erudire nella scienza sacra, con la prospettiva, una volta elevati al Sacerdozio, di mettere a disposizione dei loro connazionali la ricchezza spirituale e culturale conseguita nell’Urbe.

Essendone derivati salutari e abbondanti frutti, e tuttora ne derivano, abbiamo ritenuto che valesse la pena di impegnare Noi stessi per aumentare il numero di questi Istituti. Abbiamo pertanto aperto in Roma un Collegio per gli Armeni e uno per i Boemi, e Ci siamo anche adoperati per restituire all’antico prestigio quello dei Maroniti.

Eravamo sinceramente contrariati dal fatto che, nel numero dei giovani stranieri, erano pochi quelli che provenivano dalle vostre regioni. Con la speranza quindi di ricavarne dei frutti, abbiamo deciso di operare perché il Collegio romano dei Chierici spagnoli, fondato da tempo per la provvida lungimiranza dei devoti sacerdoti, mantenga non solo la sua efficienza, ma possa anche raggiungere risultati migliori.

Abbiamo perciò deciso che quanti giungeranno in questo Collegio dalla Penisola Iberica e dalle isole vicine sottoposte al potere del Re Cattolico, siano sotto la Nostra protezione; con la vita in comune e sotto la guida di maestri scelti potranno attendere a quegli studi che affinano veramente la mente e lo spirito. Pensiamo di poter offrire una dimora e una sede adatte a quest’opera nel palazzo urbano che prende il nome dagli antichi proprietari, i duchi Altemps, passato ora in proprietà Nostra e della Sede Apostolica. La Nostra scelta è confortata dal fatto che questa sede è nobilitata dal Santuario di Aniceto, Papa Martire, del quale custodisce le ceneri, e anche dal ricordo del soggiorno di Carlo Borromeo.

Concediamo e affidiamo dunque la disponibilità e il diritto di usare questa sede al Collegio dei Vescovi Spagnoli, con la precisa disposizione di accogliervi e di alloggiarvi i chierici delle loro Diocesi, qualora decidano di inviarne alcuni a Roma, come abbiamo detto, per motivi di studio. Affinché quanto abbiamo progettato possa al più presto realizzarsi, nel lasso di tempo necessario per approntare tutto ciò che occorre all’arredamento della sede, i chierici prendano dimora in un’ala del palazzo dell’illustre famiglia Altieri destinata a questo scopo.

Affidiamo agli Arcivescovi di Toledo e di Siviglia l’incarico di trattare con Noi e con i Nostri Successori i problemi più importanti del Collegio. A tal fine ordiniamo al Rettore del Collegio di riferire, ogni anno, sulla situazione economica, sulla formazione e sul comportamento degli alunni, sia al Nostro sacro Consiglio che presiede agli studi, sia agli Arcivescovi sopra menzionati, i quali si faranno carico di informarne i loro Colleghi Vescovi Spagnoli.

Spetta dunque a voi, Venerabili Fratelli, sostenere e realizzare questa Nostra iniziativa con quella solerzia e quella intraprendenza che la situazione richiede e che le vostre virtù episcopali garantiscono.

Frattanto, quale testimonianza di particolare benevolenza, a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e ai fedeli affidati alla vostra tutela impartiamo con tanto affetto nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 ottobre 1893, anno sedicesimo del Nostro Pontificato.

 

LEONE PP. XIII

 
 

[1] Alexander VI, Bulla Inter cetera, Idibus Aprilis 1499.



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