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PAOLO VI

AFRICAE TERRARUM

 

INTRODUZIONE

1. Il ricordo della visita che Ci fu dato di compiere in alcune regioni dell’Africa, prima della Nostra elevazione al Supremo Pontificato, Ci riempie tuttora l’animo di letizia. Vivissima fu allora la Nostra impressione, quando allo sguardo ammirato e commosso si presentò il volto della nuova Africa, e da vicino potemmo osservare il primo avviarsi della vita cristiana in quelle regioni, il desiderio di sapere, la volontà di rinnovamento, l’ansia di trovare una soluzione ai complessi problemi posti dalla recente conquista dell’indipendenza politica. In particolar modo il fervore e la vitalità delle nuove comunità cristiane Ci diedero l’indicazione manifesta che l’Africa si stava aprendo al Regno di Dio.

Da allora, la voce delle genti Africane, simile a quella udita in sogno da San Paolo mentre si trovava a Troade (1), continua a risonarci nell’animo: Venite, aiutateci, che è il momento! Non tardate, perché siamo pronti a ricevervi (2).

2. Assunti alla Cattedra di San Pietro, tra gli altri campi di apostolato a Noi affidati, consideriamo ora più che mai l’Africa come parte viva della Nostra sollecitudine pastorale, e mentre più fervorosa è divenuta la Nostra preghiera, più premurosa si è fatta anche l’attenzione con cui seguiamo lo sviluppo della vita religiosa e l’evolversi delle cose in questo continente.

Mossi appunto da tali sentimenti, da questa stessa Cattedra, donde il Nostro Predecessore Pio XII dieci anni or sono promulgò l’Enciclica «Fidei donum» (3) - documento che segnò una tappa importantissima nel cammino dell’evangelizzazione di questa terra - Noi pure, quasi a continuazione del discorso di quel grande Pontefice, desideriamo rivolgere all’Africa il presente messaggio. Per mezzo di esso giunga a tutti gli Africani la testimonianza del Nostro affetto paterno, delle Nostre speranze, dei Nostri più ardenti voti per il prospero avvenire religioso e civile delle loro Nazioni.

EREDITÀ ANTICA E CONDIZIONI ATTUALI

3. Nel rivolgere il Nostro saluto all’Africa, non possiamo fare a meno di richiamare alla mente le sue antiche glorie cristiane.

Pensiamo alle Chiese cristiane d’Africa, l’origine delle quali risale ai tempi apostolici ed è legata, secondo la tradizione, al nome e all’insegnamento dell’Evangelista Marco. Pensiamo alla schiera innumerevole di santi, martiri, confessori, vergini, che ad esse appartengono. In realtà, dal sec. II al sec. IV la vita cristiana nelle regioni settentrionali dell’Africa fu intensissima e all’avanguardia tanto nello studio teologico quanto nella espressione letteraria.

Balzano alla memoria i nomi dei grandi dottori e scrittori, come Origene, S. Atanasio, S. Cirillo, luminari della Scuola Alessandrina, e, sull’altro lembo della sponda mediterranea africana, Tertulliano, S. Cipriano, e soprattutto S. Agostino, una delle luci più fulgenti della cristianità. Ricorderemo i grandi santi del deserto, Paolo, Antonio, Pacomio, primi fondatori del monachesimo, diffusosi poi, sul loro esempio, in Oriente e Occidente. E, tra i tanti altri, non vogliamo omettere il nome di San Frumenzio, chiamato Abba Salama, il quale, consacrato vescovo da S. Atanasio, fu l’apostolo dell’Etiopia.

Questi luminosi esempi, come pure le figure dei Santi Papi Africani Vittore I, Melchiade e Gelasio I, appartengono al patrimonio comune della Chiesa, e gli scritti degli autori cristiani d’Africa ancor oggi sono fondamentali per approfondire, alla luce della Parola di Dio, la storia della salvezza.

4. Nel ricordo delle antiche glorie dell’Africa cristiana, Noi desideriamo esprimere il Nostro profondo rispetto per le Chiese, con le quali non siamo in piena comunione: la Chiesa greca del Patriarcato di Alessandria, la Chiesa Copta dell’Egitto e la Chiesa Etiopica, che hanno in comune con la Chiesa Cattolica l’origine e l’eredità dottrinale e spirituale dei grandi Padri e Santi, non soltanto della loro terra, ma di tutta la Chiesa antica. Esse hanno molto operato e sofferto per mantenere vivo il nome cristiano in Africa attraverso le vicende dei tempi.

Dopo che, in occasione del Concilio Ecumenico Vaticano II, sono state riprese fraterne relazioni coi loro Patriarchi, Noi affrettiamo con il desiderio e con la preghiera il giorno dell’unione e auspichiamo che, già fin d’ora, si approfondiscano la reciproca conoscenza e comprensione, che dell’unione sono le necessarie premesse.

5. Desideriamo pure manifestare la Nostra stima per tutti i seguaci dell’Islam viventi in Africa, che hanno elementi comuni col cristianesimo, dai quali amiamo trarre la speranza di un provvido dialogo. Intanto facciamo voti che anche nella vita sociale, là dove musulmani e cristiani si trovano vicini, ci sia sempre rispetto vicendevole e azione concorde, per l’accettazione e la difesa dei fondamentali diritti dell’uomo.

6. Ci rivolgiamo infine alle nuove Nazioni d’Africa, che, pur sorte da poco, si sono subito allineate con le più antiche Nazioni del mondo nei grandi consessi internazionali, per cooperare a mantenere e consolidare la pace dell’umanità.

Tuttavia, il periodo che l’Africa sta attualmente vivendo è assai delicato. Superata, infatti, la prima fase dell’indipendenza, gli Stati nuovi sono entrati in uno stadio di assestamento e di consolidamento.

Che il passaggio verso l’indipendenza sia avvenuto, nella quasi totalità dei casi, in maniera ordinata e pacifica, è un fatto che onora quanti, governanti e governati, vi hanno contribuito, e costituisce tuttora motivo di lieta speranza. Che poi in alcuni Paesi la situazione interna, purtroppo, non si sia ancora consolidata, e la violenza abbia avuto o abbia talvolta il sopravvento, ciò non può dar luogo ad una condanna generale che coinvolga tutto un popolo o tutta una nazione o, peggio ancora, tutto un continente.

VALORI TRADIZIONALI AFRICANI

7. Noi Ci siamo sempre compiaciuti del fiorire degli studi sull’Africa, e vediamo con soddisfazione il diffondersi della conoscenza della sua storia e delle sue tradizioni. Ciò, se fatto in modo onesto e oggettivo, non può non portare ad una più esatta valutazione del suo passato e del suo presente.

Così, la più recente storia etnica delle genti d’Africa, pur priva di documenti scritti, si presenta assai complessa e ricca di individualità propria e di esperienze spirituali e sociali, attorno alle quali proseguono con profitto l’analisi e l’approfondimento degli specialisti. Molti costumi e riti, un tempo considerati solamente bizzarri e primitivi, oggi, alla luce delle conoscenze etnologiche, si rivelano come elementi integranti di particolari sistemi sociali, degni di studio e di rispetto.

A questo proposito Ci sembra opportuno soffermarci su alcuni concetti generali, caratteristici delle antiche culture africane, perché il loro valore morale e religioso Ci appare meritevole di attenta considerazione.

8. Fondamento costante e generale della tradizione africana è la visione spirituale della vita. Non si tratta semplicemente della concezione cosiddetta «animistica», nel senso che a questo termine venne dato nella storia delle religioni alla fine del secolo scorso. Si tratta invece di una concezione più profonda, più vasta e universale, secondo la quale tutti gli esseri e la stessa natura visibile sono considerati legati al mondo dell’invisibile e dello spirito. L’uomo, in particolare, non è mai concepito solamente come materia, limitato alla vita terrena, ma in lui si riconosce la presenza e l’efficacia di un altro elemento spirituale, per cui la vita umana è sempre posta in rapporto con la vita dell’aldilà.

Di questa concezione spirituale, elemento comune importantissimo è l’idea di Dio, come causa prima e ultima di tutte le cose. Questo con tetto, percepito più che analizzato, vissuto più che pensato, si esprime in modo assai diverso da cultura a cultura. In realtà, la presenza di Dio permea la vita africana, come la presenza di un essere superiore, personale e misterioso.

A lui si ricorre nei momenti solenni e più critici della vita, quando l’intercessione di ogni altro intermediario è considerata inutile. Quasi sempre, deposto il timore della sua onnipotenza, Dio è invocato come Padre. Le preghiere che a Lui si rivolgono, individuali o collettive, sono spontanee e talora commoventi; mentre tra le forme di sacrificio emerge per purezza di significato il sacrificio di primizie.

9. Altra caratteristica comune della tradizione africana, è il rispetto per la dignità umana.

È vero che ci furono aberrazioni e anche riti, che sembrano in stridente contrasto con il rispetto dovuto alla persona umana; ma si tratta di aberrazioni sofferte dagli stessi protagonisti, le quali, grazie a Dio, come è avvenuto della schiavitù, sono del tutto scomparse o stanno per scomparire.

Il rispetto dell’uomo si coglie nelle forme, sia pur non sistematiche, dell’educazione familiare tradizionale, nelle iniziazioni sociali e nella partecipazione alla vita sociale e politica, secondo l’ordinamento tradizionale proprio di ogni gente.

10. Elemento proprio della tradizione africana è ancora il senso della famiglia. A tale riguardo Ci preme mettere in risalto il valore morale ed anche religioso dell’attaccamento alla famiglia, provato altresì dal legame con gli antenati, che trova espressione in tante e così diffuse manifestazioni di culto.

Per gli Africani, la famiglia viene così ad essere l’ambiente naturale, nel quale l’uomo nasce e agisce, trova la necessaria protezione e sicurezza, e ha, infine, la sua continuità oltre la vita terrena, per mezzo dell’unione con gli antenati.

11. Nell’ambito familiare, poi, è da notare il rispetto della funzione e dell’autorità del padre di famiglia, il cui riconoscimento, anche se non avviene dappertutto nella stessa misura, è così straordinariamente diffuso e radicato che, giustamente, è da considerare come un segno caratteristico della tradizione africana in genere.

La patria potestas viene profondamente rispettata anche in quelle società africane rette a matriarcato, dove, pur essendo regolate nell’ambito della casa materna la proprietà dei beni e la condizione sociale dei figli, rimane tuttavia intatta l’autorità morale del padre nell’organizzazione domestica.

Dallo stesso concetto discende anche il fatto che in alcune culture africane, al padre di famiglia viene attribuita una funzione tipicamente sacerdotale, per cui agisce come mediatore non solo tra gli antenati e la sua famiglia, ma anche tra essa e Dio, compiendo gli atti di culto stabiliti dalla consuetudine.

12. Quanto, poi, alla vita comunitaria - che nella tradizione africana era quasi l’estensione della famiglia stessa - notiamo che la partecipazione alla vita della comunità, sia nell’ambito della parentela, sia nell’ambito della vita pubblica, viene considerata un preciso dovere e un diritto di tutti. Ma all’esercizio di questo diritto si giunge solo dopo la preparazione maturata attraverso una serie di iniziazioni, che hanno per scopo di formare il carattere dei giovani candidati e di istruirli sulle tradizioni e sulle norme consuetudinarie della società.

13. L’Africa, oggi, è stata investita dal progresso, che la muove verso le nuove forme di vita aperte dalla scienza e dalla tecnica. Tutto ciò non è in contraddizione coi valori essenziali della tradizione morale e religiosa del passato, che abbiamo succintamente descritto più sopra, appartenendo essi in qualche modo alla legge naturale, insita nel cuore di ogni uomo, sulla quale si regge la ordinata convivenza degli uomini di tutti i tempi.

Per questa ragione è doveroso rispettarne l’eredità come un patrimonio culturale del passato, ma è altrettanto doveroso rinnovarne il significato e l’espressione. Tuttavia, di fronte alla civiltà moderna è necessario, talora, «sapere fare una scelta: criticare ed eliminare i falsi beni che porterebbero con sé un abbassamento dell’ideale umano, accettare i valori sani e benefici per svilupparli, congiuntamente ai loro, secondo il proprio genio particolare» (4). Le nuove forme di vita scaturiranno così da quanto vi è di buono nell’antico e nel nuovo, e si prospetteranno alle giovani generazioni come un patrimonio valido e attuale.

14. La Chiesa considera con molto rispetto i valori morali e religiosi, della tradizione africana, non solo per il loro significato, ma anche perché vede in essi la base provvidenziale sulla quale trasmettere il messaggio evangelico e avviare la costruzione della nuova società in Cristo, come Noi stessi facemmo rilevare in occasione della canonizzazione dei Martiri dell’Uganda, primi fiori di santità cristiana dell’Africa nuova, spuntati sul ceppo più vivo dell’antica tradizione (5).

L’insegnamento di Gesù Cristo e la sua redenzione costituiscono, infatti, il compimento, il rinnovamento e il perfezionamento di tutto ciò che di bene esiste nella tradizione umana. Ecco perché l’africano, quando diviene cristiano, non rinnega se stesso, ma riprende gli antichi valori della tradizione «in spirito e verità» (6).

MONITI E SPERANZE

15. Questa considerazione così positiva dei valori morali e religiosi della tradizione africana non Ci impedisce di vedere anche le ombre che l’Africa di oggi presenta e che sono motivo di grave dolore e preoccupazione per il Nostro animo. Ci riferiamo ai disordini e alle violenze che hanno turbato e turbano diversi Paesi, causando sofferenze e miserie soprattutto fra le popolazioni inermi, tranquillamente intente ai loro lavori. Che dire, poi, quando la violenza, com’è purtroppo avvenuto, assume quasi le proporzioni di genocidio, opponendo fra loro, nei confini di un medesimo Stato, gruppi etnici diversi? Né possiamo dimenticare che umiliazioni, patimenti e morte hanno colpito anche Vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, laici, cattolici e non cattolici, africani e non africani, l’opera dei quali non aveva altro scopo che il bene spirituale delle popolazioni del luogo.

Comunità di ferventi cristiani si sono viste improvvisamente abbandonate e isolate per il forzato esodo dei sacerdoti, venendosi così a trovare in una situazione che desta serie apprensioni.

Tuttavia, nonostante questi gravi turbamenti, la speranza prevale. E la Nostra preghiera sale con più fiducia a Dio, nostro Padre, perché dia riposo alle vittime, perdoni i colpevoli, infonda in tutti il disgusto della violenza e della guerra, rafforzi il desiderio della pace, apra nei cuori dei governanti la disposizione a comprendere le giuste aspirazioni dei popoli.

16. Quanto è stato conseguito con la proclamazione dell’indipendenza occorre consolidare con l’ordinata legislazione e la tranquilla attuazione di questa. È perciò necessario tanto resistere alla tentazione della violenza, quanto evitare e reprimere l’abuso del potere (7).

Il pacifico svolgersi della vita e la stabilità delle istituzioni sono premesse essenziali di sviluppo nel periodo attuale dei nuovi Stati africani, rendendo possibile la partecipazione attiva di tutti i cittadini alla costruzione della nuova società, negli organismi pubblici, nelle associazioni e iniziative private.

Questa partecipazione alla vita della comunità si estende ora con la programmazione sociale, il cui studio e la cui attuazione sono il nobile impegno degli attuali governi africani. In tal modo, con lo sviluppo sociale ed economico, che supera gli antichi, angusti limiti tribali, si promuove in tutti la formazione al senso civico, che antepone il bene comune al particolarismo gretto: a condizione, però, che venga salvaguardata con il massimo impegno la pace tra Stato e Stato, presupposto indispensabile di ogni sviluppo.

17. Tra gli ostacoli che possono rendere difficile lo sviluppo integrale dei nuovi Stati africani, vi è inoltre la discriminazione razziale, di cui purtroppo si hanno, anche in questo continente, gravi ed opposte manifestazioni.

Il razzismo e stato chiaramente e ripetutamente condannato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nelle varie sue forme, come offensivo della dignità dell’uomo, «alieno dalla mente di Cristo» (8) e «contrario al disegno di Dio» (9), e da Noi stessi deplorato nella «Populorum progressio» come un ostacolo che si oppone «alla edificazione di un mondo più giusto e più strutturato secondo una solidarietà universale» (10). Vogliamo pure ricordare che, da parte dei Vescovi cattolici, non si è mancato, anche recentemente, di elevare la voce, là dove ce n’era bisogno, in difesa dei diritti conculcati.

Com’è noto, l’uguaglianza fra tutti gli uomini si fonda sulla comune origine e sul comune destino di quanti appartengono alla famiglia umana: «Avendo tutti gli uomini, dotati di un’anima razionale e creati ad immagine di Dio, la stessa natura e la medesima origine, e poiché da Cristo redenti, godono della stessa vocazione e del medesimo destino divino, è necessario riconoscere ognor più la fondamentale uguaglianza fra tutti» (11). Questo, pertanto, esige nella società civile un riconoscimento sempre più esplicito dei diritti essenziali in ogni essere umano; anche se non annulla le differenze e le funzioni proprie dei singoli individui, ché anzi le riconosce e le armonizza. Legittime sono, quindi, le aspirazioni di tutti gli uomini a godere di quei diritti che promanano dalla stessa dignità della persona umana.

18. È doveroso apprezzare quello che importanti comunità venute da altri continenti hanno compiuto, particolarmente in determinate regioni dell’Africa, diventate da secoli anche loro patria. La loro opera ha fruttificato, il loro impegno e la loro istruzione hanno creato grandi ricchezze e mezzi di produzione, da cui hanno ricevuto non pochi vantaggi anche le genti autoctone. È però vero che a questa costruzione ha contribuito, in varia misura, tutta la popolazione, la quale chiede una equa partecipazione al potere civile, una più giusta ripartizione del reddito nazionale e il riconoscimento dei diritti fondamentali negati da disposizioni che mantengono artificiosamente barriere economiche, sociali, politiche e psicologiche.

Le forze economiche in espansione hanno ivi portato, come dappertutto, ad una crescente e necessaria interdipendenza dei gruppi etnici, quasi ad indicare come per progredire gli uni hanno bisogno degli altri. Tale esigenza di comune collaborazione è un richiamo a superare l’ombra del reciproco timore e a studiare il modo di cambiare, senza dannose convulsioni, quelle condizioni che portano con sé sequele di ingiustizie, di umiliazioni e di offese alla dignità umana, e impediscono la comprensione e la cordiale collaborazione per il bene comune.

19. Da questo stato di cose sorge per i cristiani un invito a meditare sull’amore che dobbiamo al prossimo, memori delle parole di Cristo: «Voi siete tutti fratelli» (12). L’autentico progresso del cristianesimo negli individui e nella società si accompagna ad una pratica sempre più ardita dell’amore del prossimo, che obbliga il cristiano a procurare, dove gli è possibile, la promozione materiale, morale e intellettuale dei suoi fratelli.

La strada non è facile e gli ostacoli sono numerosi, ma non deve far difetto il coraggio delle grandi imprese. A tal fine Noi pensiamo che tutti trarranno giovamento dal maturare nel proprio spirito il messaggio di carità del Vangelo, creando un’atmosfera di comprensione e di colloquio in luogo della diffidenza e del timore, e stabilendo cast un solido e durevole fondamento al futuro della propria patria.

SVILUPPO E AIUTI

20. Gli Stati africani, nella maggior parte, si trovano in difficili condizioni di sviluppo Recentemente abbiamo rivolto al mondo un appello, perché lo sviluppo integrale dell’uomo sia sentito da tutti come un problema urgente su scala mondiale. Nella vasta programmazione che ciò comporta, l’Africa dovrà occupare un posto importante. Sono necessari mezzi per l’attuazione dei piani di sviluppo; sono necessari uomini tecnicamente preparati.

Due problemi, in particolare, si presentano alla Nostra mente, perché Ci sembrano di pressante significato nelle condizioni attuali dell’Africa. Il primo è la necessità di portare a fondo la lotta contro l’analfabetismo e proseguire .nella diffusione dell’educazione scolastica. «L’educazione di base»> dicevamo in quel Nostro appello, «è il primo obiettivo di un piano di sviluppo. La fame di istruzione non è in realtà meno deprimente della fame di alimenti» (13). Sarà poi necessario che si adegui il contenuto della scuola alle esigenze concrete dell’Africa odierna dando la dovuta importanza all’insegnamento tecnico professionale e tenendo in particolare considerazione i bisogni del mondo rurale, che costituisce il settore di maggior rilievo.

Il secondo problema riguarda, appunto, la situazione dell’agricoltura, spesso ancora condizionata da metodi e criteri non più adeguati. Auspichiamo di cuore che esso sia urgentemente risolto, secondo le provvide indicazioni dell’Enciclica «Mater et Magistra» del Nostro Predecessore Giovanni XXIII (14), da Noi stessi ripetute e ampliate in varie occasioni (15).

21. Le condizioni generali dello sviluppo economico dell’Africa non sono mutate con la semplice dichiarazione d’indipendenza dei nuovi Stati. Che anzi questa ha reso talora difficili i rapporti con le nazioni prospere: si è temuto che gli aiuti finanziari e l’assistenza tecnica fossero un condizionamento della libertà e dell’autonomia conseguita con l’indipendenza. Gli Stati africani, come ogni altro. Stato nelle stesse condizioni, sono coscienti delle loro necessità, ma sono anche giustamente fieri della loro indipendenza.

Per superare queste diffidenze e le manifestazioni che le generano, indicate sotto il nome di neocolonialismo, Noi abbiamo chiesto la costituzione di un Fondo mondiale, come espressione e strumento della collaborazione mondiale (16).

La dignità dei popoli che ricevono aiuti deve essere pienamente rispettata. Essi devono sentirsi, come già diceva il Nostro Predecessore Giovanni XXIII, «i primi responsabili e i principali artefici nell’attuazione del loro sviluppo economico e del loro progresso sociale» (17); devono, come Noi stessi abbiamo affermato, «divenire gli artefici del loro destino» (18).

A questa legittima esigenza di dignità e di responsabilità, quando sia rispettata, corrisponderà spontaneamente il sentimento della riconoscenza ei il rinnovamento delle amicizie, ma soprattutto l’uso retto e fa valorizzazione positiva degli aiuti ricevuti.

22. Noi nutriamo grande fiducia nel futuro ordinato dell’Africa, se saprà essere fedele alle sue antiche tradizioni, e, nello stesso tempo, rinnovarsi al contatto del Cristianesimo e della civiltà moderna. In particolar modo confidiamo che i cristiani degni di questa nome, consci della nobiltà del lavoro e delle esigenze del bene comune, non mancheranno di portare un efficace contributo al consolidamento civile delle loro nazioni.

Per questo motivo desideriamo rivolgere a tutti i figli dell’Africa e a quanti di buona volontà in essa vivono ed operano, la Nostra parola di saluto, di monito e di incoraggiamento.

AI VESCOVI, AI SACERDOTI E AI RELIGIOSI

23. E, innanzi tutto, Ci rivolgiamo a voi, Venerabili Fratelli, e ai vostri diretti collaboratori: sacerdoti, religiosi e religiose, ausiliari e ausiliarie laici. A voi è affidato «il servizio della comunità . . . . presiedendo in luogo di Dio al gregge, di cui siete pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa» (19). A voi, pertanto, spetta rendere vivo ed efficace l’incontro del Cristianesimo con l’antica tradizione africana.

In realtà, il progresso della Chiesa in Africa è veramente consolante. Quasi dappertutto è stabilita la Gerarchia locale. La Chiesa, infatti, non ha atteso i movimenti nazionalisti per avviare gli Africani a posti di responsabilità nel sacerdozio e nell’episcopato, grazie alle sapienti norme impartite dai Romani Pontefici, specialmente dagli immediati Nostri Predecessori.

Dobbiamo riconoscere con profonda gratitudine che i primi missionari hanno lavorato bene per spargere il seme del Regno di Dio. E si deve riconoscere che il suolo d’Africa è stato propizio al suo germogliare e fruttificare.

24. Talora, viene attribuita ai missionari del passato una certa incomprensione del valore positivo dei costumi e delle tradizioni antiche. A questo riguardo, si deve onestamente ammettere che i missionari, sebbene guidati e ispirati nella loro generosa ed eroica opera da principi superiori, non potevano essere del tutto immuni dalla mentalità del loro tempo. Ma se ad essi, nel passato, non fu sempre possibile comprendere a fondo il significato dei costumi e della storia non scritta delle popolazioni da loro stessi evangelizzate, proprio a molti di loro si deve la prima istruzione scolastica, la prima assistenza sanitaria, il primo contatto amichevole col resto dell’umanità, la prima difesa dei diritti personali, e l’avvio e l’approfondimento di quelle conoscenze che oggi si considerano acquisite alla cultura comune. Molti si sono anche distinti per contributi originali e importanti alle scienze antropologiche. Ma soprattutto bisogna riconoscere che l’azione dei missionari fu sempre disinteressata e vivificata dalla carità evangelica, essendosi essi prodigati generosamente per aiutare gli Africani a risolvere i complessi problemi umani e sociali del loro Paese.

L’unico vero motivo della presenza dei missionari in Africa, come già abbiamo detto, fu il desiderio di partecipare agli Africani il messaggio di pace e di redenzione affidato alla Chiesa dal suo Divino Fondatore. Per amore di Lui, essi lasciarono la patria e la famiglia e moltissimi sacrificarono la vita al bene dell’Africa.

Delle loro fatiche, delle loro aspirazioni voi, Venerabili Fratelli, siete i valorosi continuatori, coscienti e riconoscenti.

25. Ma se molto è stato fatto, molto resta da fare. Non solo si tratta di perseverare e di portare a compimento le opere iniziate - che si sviluppano e si estendono con un progresso veramente sorprendente - ma anche di andare incontro alle tante popolazioni che ancora attendono e chiedono di conoscere il Vangelo. Veramente attuale risuona la parola del Signore: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate, dunque, il padrone della messe che mandi operai alla sua messe» (20).

In particolar modo Noi raccomandiamo a voi, Venerabili Fratelli, preposti alle Chiese d’Africa, che, dando la vostra opera per l’assistenza pastorale delle comunità cristiane, non lasciate nulla di intentato per far conoscere Cristo ai moltissimi che ancora lo ignorano (21).

E mentre vi adoperate perché le vocazioni sacerdotali e religiose sorgano sempre più numerose dal seno delle vostre stesse comunità, fate in modo che la loro educazione, fondata sopra una vita profondamente spirituale, sia davvero apostolica. Altra vostra particolare cura sia quella di formare i laici all’apostolato secondo le sapienti direttive del Concilio Vaticano II (22).

26. Vogliamo estendere la Nostra esortazione anche ai Nostri e vostri Fratelli nell’episcopato delle Chiese più antiche e più prospere degli altri continenti, perché continuino ad aiutarvi con generosità. L’appello rivolto da questa Sede Apostolica specialmente per mezzo dell’Enciclica «Fidei donum» (23), perché sacerdoti, religiosi e laici, si offrano per lavorare e collaborare nelle giovani Chiese d’Africa, Noi lo rinnoviamo con sentimento ancor più ardente e implorante. Non bisogna, infatti, ritenere che le opere realizzate e le facilitazioni della tecnica abbiano annullate le difficoltà delle Missioni. I missionari continuano ad avere bisogno dell’assistenza e della comprensione, perché si trovano esposti a grandi sacrifici. Le Chiese d’Africa hanno bisogno dell’aiuto costante e generoso di tutti i cristiani.

27. La situazione odierna dell’Africa richiede un aperto spirito di cooperazione. È necessario che gli sforzi particolari siano coordinati. Per questo motivo, l’organizzazione degli Istituti Missionari, già tanto benemeriti dell’evangelizzazione dell’Africa, resta tuttora la forma più efficace, pur richiedendo rinnovamenti e revisione di metodi allo scopo di adeguarsi alle mutate condizioni gerarchiche e culturali degli antichi territori di missione. Così, le iniziative di collaborazione delle singole Chiese, sia a livello diocesano sia a livello parrocchiale, come l’assunzione di una qualche Missione particolare, devono porsi al servizio del Vescovo locale, appoggiandosi, se necessario, agli Istituti Missionari per garantire il coordinamento e la continuità del lavoro apostolico.

Noi Ci confortiamo nel sapere che sacerdoti non africani si trovano al servizio di Vescovi africani e svolgono la loro attività pastorale unitamente a sacerdoti autoctoni. Agli uni raccomandiamo di dedicarsi con generosità alla loro missione apostolica, adattandosi alle nuove condizioni politiche e sociali e considerando il Paese del loro apostolato come una seconda patria. Agli altri ricordiamo le parole del Concilio, che li invitano a considerare se stessi e ogni altro confratello nel sacerdozio come «un unico corpo sacerdotale» (24), lavorando insieme, nella mutua comprensione e generosità, a congregare in uno il Popolo di Dio.

Consideriamo lodevole e opportuna la cooperazione di più Istituti nello stesso territorio.

Anche l’attività professionale degli ausiliari laici è una forma di collaborazione provvidenziale che diventa pienamente efficace coordinandosi sotto la guida del Vescovo.

28. Desideriamo, inoltre, che voi, Venerabili Fratelli, particolarmente voi Gerarchi delle comunità cattoliche di rito orientale, vi studiate di promuovere un’utile intesa e collaborazione con le altre comunità cristiane per mezzo di iniziative pratiche secondo le circostanze e le possibilità «allo scopo di eliminare, per quanto è possibile, lo scandalo della divisione» (25). Siamo lieti, a questo riguardo, di sapere che in alcuni luoghi, in attuazione delle direttive del Concilio, si sono avuti incontri di preghiera, di studio e di azione e sono state concordate forme concrete di collaborazione per la traduzione e la diffusione della Parola di Dio nelle lingue locali.

Analoga raccomandazione desideriamo fare per quanto riguarda i rapporti con i seguaci delle altre religioni e con ogni persona di buona volontà, specialmente per promuovere il bene civile e sociale delle popolazioni, nel rispetto vicendevole delle tradizioni.

AI GOVERNANTI

29. Al chiudersi del Concilio Vaticano II i Padri Conciliari, in unione con Noi, inviarono un messaggio particolare agli uomini del mondo moderno: primo, fra tutti, ai Governanti. Di esso Ci sembra bene richiamare i due seguenti passi: «Noi lo proclamiamo altamente: noi rendiamo onore alla vostra autorità e alla vostra sovranità; noi rispettiamo la vostra funzione; noi riconosciamo le vostre giuste leggi; noi stimiamo coloro che le fanno e coloro che le applicano. Ma noi abbiamo una parola sacrosanta da dirvi, eccola: Dio solo è grande. Dio solo è il principio e la fine. Dio è la sorgente prima della vostra autorità ed il fondamento delle vostre leggi».

La Chiesa vi chiede «la libertà di credere e di predicare la sua fede, la libertà di amare il suo Dio e di servirlo, la libertà di vivere e di portare agli uomini il suo messaggio di vita. Non abbiate timore di essa: è fatta ad immagine del suo Maestro, la cui misteriosa azione non usurpa le vostre prerogative, ma guarisce l’umano della sua fatale caducità, lo trasfigura, lo inonda di speranza, di verità, di bellezza» (26).

30. A Voi, Governanti d’Africa, la grave responsabilità di operare per il consolidamento delle istituzioni sorte con l’indipendenza dei vostri Paesi. A voi compete il rinnovare e l’interpretare, in senso moderno, gli antichi valori della tradizione africana. Da voi dipende il formulare, il perfezionare e l’eseguire la legislazione sulla quale si ordina la vita presente dell’Africa. In ciò Noi siamo sicuri che vi guiderà sempre il desiderio del vero bene del popolo. Siate cercatori della pace, pronti al dialogo e ai negoziati più che alla rottura e alla violenza, memori della tradizione sociale più autentica dell’antica Africa, che era quella di trattare.

Favorite la comprensione delle genti che vivono nel vostro territorio, rispettando la libertà religiosa (27) e adoperandovi perché siano superate, e mai esasperate, le differenze e le controversie etniche. La prosperità dei vostri nuovi Stati richiede, infatti, la cooperazione e l’unione di tutte le forze.

Noi rendiamo omaggio alla vostra buona volontà e benediciamo alla vostra opera. Vi conceda Iddio una visione retta e reale delle cose; adegui nel vostro spirito l’onestà degli intenti alla prontezza dell’azione, la saggezza delle norme legislative alla prontezza del sacrificio; coroni con il successo le vostre aspirazioni e le vostre attese.

AGLI INTELLETTUALI

31. Oggi, più che mai, la forza di propulsione dell’Africa nuova viene dai suoi stessi figli, specialmente da quelli, e sono già una folta schiera in continuo aumento, che occupano cattedre di insegnamento nelle scuole e nelle università o che partecipano attivamente ai movimenti culturali, che esprimono l’animo e la personalità dell’Africa moderna.

Come già fece il Nostro venerato Predecessore Giovanni XXIII in una memorabile udienza, il 1° aprile 1959 (28), desideriamo rivolgere anche Noi un saluto e un augurio ai rappresentanti dell’arte e del pensiero, invitandoli a continuare nella ricerca della verità senza mai stancarsi (29).

32. L’Africa ha bisogno di voi, dei vostri studi, delle vostre indagini, della vostra arte, del vostro insegnamento; non solo perché sia apprezzata nel suo passato, ma perché la sua nuova cultura maturi sul ceppo antico e si attui nella ricerca feconda della verità.

Di fronte alla evoluzione industriale e tecnica che ha investito il vostro continente, è vostro compito particolare di tenere vivi i valori dello spirito e della intelligenza.

Voi rappresentate il diaframma attraverso il quale le concezioni nuove e le trasformazioni culturali, possono essere interpretate e spiegata tutti. Siate, perciò, sinceri, onesti e leali.

La Chiesa molto attende dalla vostra cooperazione per il rinnovamento e la valorizzazione delle culture africane, in relazione sia alla riforma liturgica, sia all’insegnamento della sua dottrina in termini corrispondenti alla mentalità delle genti africane.

ALLE FAMIGLIE

33. Le trasformazioni culturali e sociali dell’Africa odierna interessano intimamente le concezioni e i costumi, riguardanti la famiglia.

Nel passato, la struttura sociale della parentela e della discendenza era prevalente, e il matrimonio era considerato di interesse comune della parentela stessa. Tutto questo sta ora subendo un cambiamento profondo. In alcune nazioni d’Africa sono state emanate leggi, che rinnovano la condizione giuridica della famiglia, con opportune riforme delle antiche istituzioni tribali, in particolare della cosiddetta «dote», che, nei tempi recenti, si era prestata ad abusi gravemente nocivi al tranquillo e sereno sviluppo della famiglia naturale e cristiana. Anche il sistema della poligamia, diffuso nelle società anteriori o estranee al Cristianesimo, non si àncora più, come nel passato, nella struttura sociale odierna, né più corrisponde - fortunatamente - alla mentalità prevalente tra gli Africani. In una parola, nella famiglia africana si è assai allargato il campo della libertà e dell’autonomia dei singoli coniugi.

34. Tutto ciò è da considerare come altamente positivo. Tuttavia, pur nell’affermazione della responsabilità personale, è necessario rispettare la Legge di Dio, perché essa non può essere annullata da nessuna trasformazione culturale o sociale.

Quindi la famiglia dev’essere gelosa di difendere e affermare le proprietà fondamentali del matrimonio: monogamia e indissolubilità. È altresì sacro dovere, sancito dal IV Comandamento, onorare il padre e la madre; perciò, mentre è giusto che i giovani siano liberi nelle scelte inerenti al loro matrimonio, non per questo devono rallentare i loro legami con la propria parentela. Considerino, dunque, come un’eredità preziosa il partecipare alle sorti comuni della famiglia, e siano pronti ad assistere con filiale generosità i genitori, e, se necessario e nella misura consentita dai loro mezzi, anche gli altri parenti.

35. Per i coniugi cristiani, inoltre, l’unione familiare si estende, e i fedeli formano la famiglia di Dio. La loro associazione nella preghiera e nel servizio a Dio diventa sacra. Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, «i coniugi e i genitori cristiani devono, con amore costante, sostenersi a vicenda nella grazia per tutta la vita, e istruire nella dottrina cristiana e nelle virtù evangeliche la prole, che hanno amorosamente accettata da Dio. Così infatti offrono a tutti l’esempio di un amore instancabile e generoso, edificano il fraterno consorzio della carità, e diventano testimoni e cooperatori della fecondità della Madre Chiesa, in segno e partecipazione di quell’amore, col quale Cristo ha amato la sua Sposa e si è dato per lei» (30).

Il Signore Gesù Cristo si è presentato a,gli uomini come maestro, riformatore e rinnovatore della famiglia. Non solo Egli ha ricondotto la famiglia alla sua primitiva purezza (31), ma ha fatto del matrimonio un sacramento, cioè un mezzo della grazia.

Noi auspichiamo e preghiamo che tutti gli Africani sappiano comprendere l’insegnamento del Maestro Divino e nella luce di Lui siano indotti ad applicarlo nella legislazione e nella vita. Esso ha valore per tutti, perché affonda le sue radici nella natura umana, eleva l’amore coniugale, rende la famiglia sana ed idonea alla buona educazione dei figli, con benefici incalcolabili per la società e lo Stato.

ALLE DONNE

36. Nell’ambito della famiglia risalta la posizione, anche essa profondamente mutata, della donna, alla quale si sono aperti nuovi campi di attività nella scuola, negli ospedali e nelle varie forme di vita politica amministrativa dello Stato moderno.

Cause dirette di questo processo devono ritenersi l’insegnamento e lo spirito cristiano, per cui a buon diritto «la Chiesa . . . è fiera d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua eguaglianza fondamentale con gli uomini» (32).

Alla donna africana, oggi, si domanda di prendere sempre più chiara coscienza della sua dignità di persona, della sua missione di madre, dei suoi diritti di partecipazione alla vita sociale e al progresso dell’Africa nuova.

La donna africana chiede in primo luogo di non essere mai considerata o trattata come strumento.

La sua dignità si rispetta nella libertà che le è dovuta come persona, sia che entri nello stato matrimoniale per cui le compete il diritto di scegliersi liberamente lo sposo (33), sia che preferisca conservare la verginità, consacrando se stessa a Dio e dedicando la sua opera al bene di tutti.

Nell’esercizio della sua precipua missione materna, la donna africana darà ai figli assistenza affettuosa, accompagnandoli nello sviluppo e preparandoli alla coscienza di sé e alle responsabilità dell’avvenire. Nelle attività professionali, poi, e in tutte le relazioni sociali, dovrà portare quella dedizione, dolcezza e delicatezza, tipicamente femminili, che in un mondo dominato dalla tecnica preservano il giusto senso delle proporzioni umane.

Anche la partecipazione alla vita sociale nelle sue forme politiche e amministrative è loro diritto e dovere. L’esercitarli offre alle donne la possibilità di intervenire direttamente per il rinnovamento delle istituzioni sociali e in modo particolare nei campi riguardanti il matrimonio, la famiglia e la educazione dei figli.

La Chiesa, fedele alla sua opera di educazione, invita le donne d’Africa, come invita le donne di tutti i luoghi e di tutti i tempi, a rispecchiarsi nella Madre di Dio, Maria, «la cui vita», come dice S. Ambrogio, «fu tale da poter essere modello di tutti» (34).

AI GIOVANI

37. Ci rivolgiamo ora a voi, giovani, speranza del futuro. L’Africa ha bisogno di voi, della vostra preparazione, del vostro studio, della vostra dedizione, della vostra energia. Come siete i primi a voler conoscere con esattezza il significato e il valore delle antiche tradizioni africane, siete anche i primi a desiderarne il rinnovamento e la trasformazione. In realtà, tocca a voi vincere il contrasto tra il passato e la novità di vita e di strutture del presente. Ma guardatevi dalla facile attrazione di teorie materialistiche che possono, purtroppo, condurre a concezioni errate o incomplete di umanesimo e alla stessa negazione di Dio.

Voi in particolare, giovani cristiani, dovete essere consapevoli della dignità e dell’impegno che derivano dalla fede cristiana. Vivete la vostra fede. Dedicatevi con ardore allo studio e al lavoro. Siate modesti, pur nell’aspirazione di cose grandi per il benessere e il progresso della vostra gente.

38. Con speciale affetto Ci rivolgiamo, poi, a voi, studenti, ricordandovi che l’insegnamento che ricevete nella scuola vi deve effettivamente preparare alla professione che avete scelto e all’opera che l’Africa attende da voi per il suo futuro sviluppo. Attorno a voi, nella vostra Africa, sono ancora moltitudine quelli ai quali non è accessibile la scuola e lo studio. Siate disposti e lieti di diventare ministri del sapere, trasmettendo ai vostri fratelli, come insegnanti nelle scuole, il dono che vi è stato dato.

Sappiate, quindi, educare voi stessi allo spirito di sacrificio e di dedizione. Già fin d’adesso il bene massimo che potete rendere alle vostre nazioni è di prepararvi ad esercitare la vostra professione con disinteresse e ‘con spirito di cristiana carità.

A quelli tra voi, che si trovano a compiere gli studi in Paesi fuori del proprio continente, diciamo: Restate attaccati alla vostra terra; una volta compiuta la vostra preparazione, siate disponibili per i vostri Paesi, pronti al ritorno, facendo della vostra professione un servizio per il progresso e il benessere dell’Africa.

CONCLUSIONE

39. Nonostante qualche ombra, a cui già abbiamo accennato, Noi confidiamo che l’Africa saprà consolidare le sue istituzioni civili e saprà muoversi sulla strada del progresso con pieno rispetto dei diritti di Dio e della dignità dell’uomo.

Nel chiudere questo Nostro messaggio, non possiamo non ricordare che sul suolo d’Africa trovò rifugio lo stesso Figlio di Dio e la sua Sacra Famiglia, in un momento di persecuzione e di esilio. Alla mediazione redentrice di Cristo e alla intercessione di Maria Ss.ma e di S. Giuseppe, Noi affidiamo le sorti della gioventù e della famiglia africana.

Ai grandi Santi africani - quelli che fiorirono nei primi secoli della Chiesa e quelli che, come i Martiri dell’Uganda, furono colti dalla persecuzione allo spuntare della nuova primavera cristiana - Noi eleviamo la Nostra fervente preghiera, affinché continuino ad intercedere per i loro fratelli di oggi, e affrettino il giorno in cui su tutta l’Africa, rinnovata non solo nelle forme della vita esteriore, ma soprattutto nella grazia dello Spirito, splenda la luce di Cristo.

40. A tutta l’Africa vogliamo assicurare il Nostro affetto e la Nostra stima. Posti in mezzo al Popolo di Dio come Vicario di Cristo, le rivolgiamo il saluto di Lui: Pace in mezzo a voi. Amatevi gli uni e gli altri come fratelli. Con questo saluto e questo augurio, su tutti invochiamo le più elette grazie e benedizioni del Dio vivente. Dato a Roma, presso S. Pietro, il 29 di ottobre, nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re, del 1967, anno quinto del Nostro Pontificato.

 

PAULUS PP. VI


(1) Cfr. Act. 16, 9.

(2) Cfr. Atti della XII Settimana di Studi Missionari, Milano 1962, pp. 2-12.

(3) Cfr. A.A.S. 49, 1957, pp. 225-250.

(4) Lett. Encicl. Populorum progressio, n. 41: A.A.S. 59, 1967, p. 278.

(5) Cfr. Omelia tenuta il 18 ottobre 1964: A.A.S. 56, 1964, p. 907 ss.

(6) Io. 4, 24.

(7) Cfr. Lett. Encicl. Populorum progressio, nn. 30-32: A.A.S. 59, 1967, pp. 272 ss.

(8) Conc. Vat. II, Dich. Nostra aetate, n. 5: A.A.S. 58, 1966, p. 744; cfr. Decr. Ad gentes, n. 15: A.A.S. 58, 1966, p. 964.

(9) Conc. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, n. 29: A.A.S. 58, 1966, p. 1049.

(10) N. 62: A.A.S. 59, 1967, p. 287; cfr. ibid. n. 63, p. 288.

(11) Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 29: A.A.S. 58, 1966, pp. 1048-1049.

(12) Matth. 23, 8.

(13) Lett. Encicl. Populorum progressio, n. 35: A.A.S. 59, 1967, p. 274.

(14) Cfr. A.A.S. 53, 1961, pp. 431-451.

(15) Cfr. Lett. Encicl. Populorum progressio, n. 29: A.A.S. 59, 1967, p. 272.

(16) Cfr. ibid. nn. 51-54: A.A.S. 59, 1967, pp. 282-284.

(17) Lett. Encicl. Pacem in terris: A.A.S. 55, 1963, p. 290.

(18) Lett. Encicl. Populorum progressio, 65: A.A.S. n. 59, 1967, p. 289.

(19) Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 20: A.A.S. n. 57, 1965, pp. 23-24.

(20) Matth. 9, 37-38.

(21) Cfr. Conc. Vat. II, Decr. Ad gentes, n. 20: A.A.S. 58, 1966, p. 970.

(22) Cfr. ibid. n. 21: A.A.S. 58, 1966, p. 972.

(23) Cfr. A.A.S. 19, 1957, pp. 238-246.

(24) Conc. Vat. II, Decr. Ad gentes, n. 20: A.A.S. 58, 1966, p. 971.

(25) Ibid. n. 29: A.A.S. 58, 1966, p. 980; cfr. anche n. 15, p. 963.

(26) Cfr. A.A.S. 58, 1966, pp. 10-11.

(27) Cfr. Conc. Vat. II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1: A.A.S. 58, 1966, p. 930.

(28) Cfr. A.A.S. 51, 1959, pp. 259-260.

(29) Cfr. Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza, 8 dicembre 1965: A.A.S. 58, 1966, p. 12.

(30) Cost. dogm. Lumen gentium, n. 41: A.A.S. 57, 1965, p. 47.

(31) Cfr. Matth. 19, 8.

(32) Conc. Vat. II, Messaggio alle donne, 8 dicembre 1965: A.A.S. 58, 1966, p. 13.

(33) Cfr. Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 29: A.A.S. 58, 1966, p. 1049.

(34) De virginibus, lib. II, cap. II, n. 15: P.L. 16, 222.



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