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MARIA SANTISSIMA «MATER ECCLESIAE»

UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Mercoledì, 18 novembre 1964

 

Diletti Figli e Figlie!

Il saluto che oggi Noi vi diamo, ha una sua ispirazione particolare, quella delle grandi discussioni del Concilio Ecumenico, il quale concluderà alla fine di questa settimana la sua terza sessione; e, come certo saprete, la dottrina principale riguarda la divina ed umana costituzione della Chiesa, specialmente su alcuni punti, i quali devono fare oggetto, d’ora innanzi, di un’amorosa considerazione di tutti i fedeli, che hanno la fortuna di appartenere alla Chiesa e che devono farsi onore ed obbligo di averne coscienza.

Uno di questi punti riguarda il popolo di Dio, cioè l’umanità che il Signore ha voluto legare a sé mediante rapporti soprannaturali, mediante una vocazione partita da Lui, e avente per scopo di stabilire un patto, un testamento, fra Lui e quegli uomini che corrispondono alla sua chiamata. Fu così istituito dapprima un patto, un testamento con una stirpe eletta e distinta: fu l’antica alleanza, l’Antico Testamento, che costituiva il piccolo e ristretto popolo ebreo in popolo di Dio. Ma ciò non era altro che una preparazione e una figura di una nuova alleanza fra Dio e l’umanità, l’alleanza messianica del Nuovo Testamento, instaurata da Cristo, aperta a tutta l’umanità e fondata non sul sangue, non su promesse temporali, ma sulla redenzione operata da Cristo stesso e sulla parola evangelica da Lui bandita nel mondo, per formare così una famiglia universale di uomini credenti, santificati, e disposti a dare alla loro vita naturale un’impronta, un valore cristiano, e a lasciarla dirigere quasi filii obedientiae, come figli dell’obbedienza (1 Petr. 1, 14), da un’autorità pastorale, la gerarchia ecclesiastica, verso una finalità trascendente il tempo di questa vita mortale, la vita futura.

Nulla è nuovo in questa dottrina, ben nota ad ogni cattolico; quello ch’è nuovo è l’importanza, il rilievo, lo sviluppo dato dal Concilio al popolo di Dio nell’insegnamento relativo alla Chiesa. La Chiesa non è definita soltanto nel suo aspetto gerarchico, ma altresì nel suo aspetto comunitario. Le parole dell’apostolo Pietro, nella sua prima lettera alle comunità cristiane dell’Asia Minore, sono oggi da tutti ricordate e ripetute, dove definiscono i fedeli come una «stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo riscattato, . . . che un tempo non si poteva chiamare popolo, ora invece popolo di Dio» (1 Petr. 2, 9-10). La dignità dei cristiani è così riconosciuta ed esaltata. La sola appartenenza alla Chiesa conferisce al fedele un’eccellenza meravigliosa e un destino straordinario; lo dichiara «nato da Dio» (cfr. Io. 1, 13), dotato della libertà dei figli di Dio (cfr. Rom. 8, 21), diretto dalla legge della carità e della pace, destinato al regno di Dio, che qui in terra comincia, ma che avrà in cielo la sua pienezza; e tutto questo per la comunione di vita che egli possiede, mediante la grazia, cioè l’animazione dello Spirito Santo, con Cristo.

Questa esaltazione del «popolo di Dio» nel grande disegno della dottrina della Chiesa ha un’importanza pratica straordinaria, perché mira a dare agli uomini del nostro tempo la vera concezione della vita, che tanti errori, tante ideologie, tante opinioni mirano invece a confondere e ad oscurare. Bisogna avere una concezione esatta della vita; e questa a noi è data dalla fede, e precisamente là dove essa ci ricorda la nostra vocazione cristiana come un’elevazione ad una società scelta ed amata da Dio e da Lui guidata a superiori e felici destini. La concezione che noi ci facciamo della vita influisce su ogni nostro altro giudizio di valore e su tante nostre pratiche risoluzioni. Essa orienta il nostro cammino, essa educa il nostro cuore; così che, se davvero siamo persuasi d’essere cittadini del popolo messianico, del popolo di Dio, ci riesce facile comprendere un altro capitolo di questa stupenda costituzione della Chiesa, quello che parla della vocazione universale alla santità: tutti i membri della Chiesa sono chiamati ad una perfezione, ad una fedeltà che deve santificare ogni condizione della loro vita, qualunque sia lo stato in cui praticamente essa si svolge. Anche questa considerazione non è per nulla nuova, ma innestata nel disegno grandioso del ministero della Chiesa appare meravigliosa e investe, come una luce abbagliante, la coscienza d’ogni fedele cristiano.

La dottrina della Chiesa si presenta come una esaltazione dell’umanità. E voi sapete dov’essa trova il suo vertice, nella creatura umana che possiede in sé, per privilegio divino, la pienezza della umana perfezione e che fu scelta per dare al Verbo di Dio, quando volle farsi uomo per la nostra salvezza, la nostra carne, la nostra natura, per essere cioè la Madre di Cristo - Uomo Dio -, secondo la carne, e la Madre nostra spiritualmente per la mistica unione che ci affratella a Cristo. Maria, come sappiamo, occupa una posizione singolarissima; anch’Ella è membro della Chiesa, è redenta da Cristo, è sorella nostra; ma proprio in virtù della sua elezione a Madre del Redentore dell’umanità, e in ragione della sua perfetta ed eminente rappresentanza del genere umano, essa può dirsi a buon diritto moralmente e tipicamente la Madre di tutti gli uomini, e specialmente la nostra, di noi credenti e redenti, la Madre della Chiesa, la Madre dei Fedeli.

Per questo, diletti Figli e Figlie, siamo lieti di annunciarvi che Noi termineremo questa sessione del Concilio Ecumenico, che ha delineato la dottrina della Chiesa, nella gioia di riconoscere alla Madonna il titolo che ben le compete di Madre della Chiesa «Mater Ecclesiae».

Sarà questo un titolo che ci aiuterà a celebrare Maria Santissima amorosa regina del mondo, centro materno dell’unità, pia speranza della nostra salvezza.

 



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