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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 16 giugno 1965

 

Il tempio «casa di Dio». Ideale sintesi della Chiesa visibile ed invisibile

Diletti Figli e Figlie!

Tema al breve colloquio di queste udienze generali Ci è offerto dalle impressioni immediate e comuni, che ben conosciamo essere suscitate negli animi dei Nostri visitatori, specialmente al loro primo contatto con Roma religiosa e con questa Basilica. Tra queste impressioni ne consideriamo una, dalla quale può essere determinato il giudizio non solo su tutta la Città, ma altresì sul cattolicesimo romano. L’impressione, che ora Ci interessa, è quella della esteriorità. La grandezza dei monumenti, lo stile barocco di cui molti sono rivestiti, le cerimonie solenni e sontuose, l’importanza data alle divise e alle norme protocollari, tutto sembra richiamare l’attenzione sulle forme appariscenti degli edifici, delle cose, dei costumi. Si direbbe da alcuni che qui si nota un po’ dappertutto un intento di grandezza, di fasto, di proporzioni sensibili, di coreografia, di scenografia: gli occhi si aprono, si meravigliano, s’incantano; ma intanto il cuore si inaridisce; il sentimento religioso specialmente - notano alcuni - perde la sua intimità, la sua profondità, e si disperde nell’esteriorità, che facilmente diventa convenzionale e profana. L’anima moderna, poi, che non possiede più le risonanze interiori dei romantici, né la capacità di cogliere il linguaggio severo e magnanimo delle forme classiche, si sente facilmente estranea a questa scena esteriore, la giudica spesso anacronistica, non si commuove più; osserva, forse si meraviglia e, se ancora è in cerca di vero conforto spirituale, non di rado si confessa delusa dal grande quadro religioso romano.

Non sarà certo così per voi, che vediamo invece compresi della spiritualità di questo momento, e desiderosi non solo di ammirare la scena esteriore che vi circonda, ma di ricavarne qualche buon frutto di sincera e personale vita religiosa. Voi sapete che su questo tema dell’esteriorità della Chiesa cattolica si è tanto parlato, non certo sempre a favore, e non sempre a proposito; e saprete, all’occorrenza, correggere l’impressione di indebita esteriorità, di cui dicevamo, quasi che essa fosse fedele e adeguata definizione sia della religione cattolica, che del genio spirituale della Chiesa di Roma.

Occorrerà innanzi tutto osservare come la manifestazione esteriore del sentimento religioso è non solo legittima, ma doverosa, per la natura stessa dell’uomo, che dai segni esteriori riceve stimolo per la sua attività interiore, e che nei segni esteriori la esprime, dandole pienezza di significato e valore sociale (cfr. S. Th. 2, 2; 81, 7). Così è il linguaggio rispetto al pensiero, così l’arte. E dobbiamo poi ricordare che tutta l’economia divina dell’Incarnazione contiene una provvidenziale intenzione di visibilità, di assunzione di cose create e sensibili per farne segni sacri delle realtà increate e invisibili, e che perciò l’esteriorità religiosa, quando non è superstiziosa e fine a se stessa, serve quasi da veste delle cose divine, rese accessibili alle nostre facoltà conoscitive, e serve a noi quasi tributo terreno offerto alla Maestà celeste.

Certamente l’esteriorità religiosa, come tutte le cose di cui l’uomo si serve, può essere talvolta non bene impiegata, e quasi sempre riflette, nei vari momenti storici, il gusto e la mentalità dei tempi. Perciò noi moderni, raffinati nella valutazione del fenomeno artistico, ascolteremo volentieri le parole della recente Costituzione sulla Sacra Liturgia, la quale, da un lato, difende l’impiego dell’arte, quale degna amica e fedele ancella del culto sacro, dall’altro oggi raccomanda che l’arte adibita al culto stesso si distingua piuttosto per semplice e nobile bellezza, che non per mera sontuosità (cfr. nn. 122-124): la linea prevalga sull’aspetto decorativo, e il significato, il contenuto, come si dice, sulla forma ricercata e sull’estetica convenzionale.

Ma questo, che ben si conforma allo spirito della religione e al gusto del nostro tempo, non toglie che alla magnificenza esteriore di questa Basilica corrisponda, per chi sa cercarla e scoprirla, una magnificenza interiore : nella sua mole stessa ch’è come un solenne atto di fede; nella sua straordinaria ricchezza di figure, di iscrizioni, di simboli; nella sua offerta di segreti rifugi spirituali, fra tutti attraente questo centrale, così detto della «Confessione», dove è nascosta la tomba dell’Apostolo, per la quale la Basilica è costruita. La grandiosità e l’esteriorità, che voi vedete, non sono enfasi vuota; sono un inno solenne, il cui senso profondo ciascuno può e deve cercare. Qui non è solo la religione dei sensi; qui è la voce della bellezza sensibile, che canta quella spirituale; qui è la dovizia parlante dell’arte per l’espressione e per l’introduzione della dovizia silenziosa dello spirito.

E ciò che diciamo di questo eccezionale monumento possiamo dire di Roma cattolica. Vi è chi ha scritto nel secolo scorso un celebre libro sul «profumo di Roma»; altri sulla «Roma del cuore», e così via. Bisogna saper cogliere questo fascino segreto della Città Eterna, anzi della Chiesa cattolica, che sa servirsi, con mirabile, ideale sintesi, delle cose visibili per ascendere a quelle invisibili.

Possa pertanto la vostra visita alla Basilica di Michelangelo sollevare i vostri spiriti alla visione della Chiesa visibile e invisibile, ch’è appunto la «costruzione di Dio» (1 Cor. 3, 9), il mistico edificio che Cristo stesso sta costruendo: «Edificherò la mia Chiesa» (Matth. 16, 18).

Con la Nostra Benedizione Apostolica.

                                                    



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