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XIX CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE DI PESCARA

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 17 settembre 1977

 

Questa nostra presenza a Pescara, in occasione del XIX Congresso Eucaristico Nazionale, non può mancare d’una parola di prefazione alla riflessione religiosa, alla quale ci obbliga il rito che stiamo celebrando; e questa parola assume anch’essa una ricchezza di temi e di scopi, che basterebbe da sé a dare significato per un lungo discorso, che noi condensiamo ora in un semplice, ma cordiale e riverente saluto, che nel nome di quel Cristo da cui viene a noi ultimi e indegni l’ufficio di rappresentarlo, a tutti i presenti noi siamo felici di rivolgere: al nostro Cardinale Legato Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano, a Monsignor Antonio Jannucci, Vescovo, degno Pastore di questa antica e giovane Diocesi, ai Signori Cardinali, ai Venerati Fratelli nell’Episcopato, ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle Religiose, ai Seminaristi, al Laicato Cattolico e a tutti i fedeli assistenti che abbiamo la fortuna di qui incontrare, al Popolo di Dio intero, qui raccolto, o qui rappresentato ovvero qui spiritualmente presente, a tutti i membri di questa stessa una, santa, cattolica e apostolica Chiesa, sia grazia e pace in Cristo Signore. Qui ora è la Chiesa, qui Pietro, nell’umilissima persona del suo Successore, non poteva mancare. Eccoci dunque per un’ora di pienezza di gaudio con voi, con il saluto beatissimo: grazia e pace!

Né possiamo tacere come siano a noi vicini nella preghiera e nella speranza alcuni degni Rappresentanti di frazioni di Chiese, tuttora da noi separate: anche ad essi ed a quanti si onorano di chiamarsi cristiani e oggi qua convergono nell’ansia, che fu e che è di Cristo, di potersi con noi fondere nell’unità e nella carità, sia il nostro sincero e desiderante saluto.

Riverente e riconoscente poi il nostro saluto si rivolge alle Autorità Civili e Militari, nazionali, regionali, provinciali e cittadine, le quali hanno concesso spazio ed onore a questa manifestazione religiosa e popolare, con particolare riconoscenza a quelle Governative e a quelle Comunali, le quali hanno onorato se stesse onorando con la loro autorevole collaborazione, con la loro presenza, con la loro parola, con la loro adesione l’esito felice e ordinato, non che l’alto significato spirituale, morale e civile di questo grande Congresso Eucaristico Nazionale, degna espressione delle tradizioni di fede cattolica e del costume civile del sempre giovane e concorde Popolo Italiano e in particolare dell’Abruzzo.

Ma lasciate ora che noi invitiamo per un breve momento la vostra attenzione, come già altri maestri della parola sacra hanno fatto egregiamente, sull’intimo senso della celebrazione religiosa che stiamo compiendo. Cristo con noi, pare a noi il pensiero dominante, al quale tributiamo ora l’omaggio dei nostri spiriti, espressione questa che, riflessa come sole su questi medesimi nostri spiriti, resi più tersi dalla tensione di fede e di amore d’una eccezionale circostanza, com’è quella di questo Congresso, si ripercuote nel cielo che ci sovrasta, e, diciamo meglio, nell’atmosfera storica che ci circonda, in una risposta beata: noi con Cristo!

La parola «comunione» lo sigilla in un termine, che l’abitudine religiosa ha reso familiare; ma quale pregnante, smisurato significato esso contiene e dischiude a chi appena ne considera i termini. Alcuni noi ricordiamo, i quali subito ci riportano, sì, in un oceano di mistero, ma che non osiamo, non possiamo eludere, se appena ricordiamo le parole dell’estremo addio di Cristo, che esce dalla scena sensibile di questo mondo, ma non lo abbandona, sottratto com’è nella gloria ultraterrena del cielo: «Ecco, Egli dice, Io sono con voi ogni giorno, fino alla consumazione del tempo» (Matth. 28, 20).

Parola divina, parola eterna, parola attuale: Gesù Cristo rimane con noi. Gesù si nasconde; ma Gesù continua la sua presenza in mezzo a noi. Ma come? con la sua Parola? Sì, Egli ha assicurato anche questa presenza: «Passeranno il cielo e la terra, ma non passeranno le mie Parole» (Matth. 24, 35). Rimane con una sua mistica e invisibile presenza, dove i suoi fedeli seguaci sono riuniti nel suo nome? Sì, Egli ci ha confidato questo segreto: «Dove sono due o tre congregati nel suo nome, Egli ci ha detto, Io lì sono in mezzo a loro» (Ibid. 18, 20). Ma in forma non sensibile, sì bene interiore, ineffabile. E altre Parole del Vangelo, del Nuovo Testamento, ci svelano questa intenzione somma e generale di Dio, mediante il disegno, possiamo dire costitutivo, della Religione, quello dell’Alleanza, quello dell’Incarnazione, quello di stabilire rapporti di amicizia, di convivenza, di redenzione fra Dio e l’umanità. «Il suo nome è Emmanuel, che vuol dire: Dio con noi» (Ibid. 1, 23).

Ma nessuno supponeva che questo disegno giungesse a tanto: di avere in Cristo il Pane della vita. Ricordate le parole incontrovertibili di Gesù stesso: «Io sono il Pane della vita»? (Io. 6, 35 et 48) e ricordate le parole che succedono, e presentano la visione di Cristo vittima che non solo si offre come alimento vitale, ma come agnello destinato all’immolazione, che dà carne e sangue per sacrificarsi alla salvezza degli uomini; e questa duplice asserzione riferita ad un fatto permanente, ad un dovere inevitabile, e riguardante la Chiesa intera. Non invano i commentatori di queste parole misteriose del Signore, che nel testo del discorso evangelico le risolve nel nutrimento della sua stessa carne e del suo stesso Sangue, vi han letto l’annuncio sia dell’istituzione dell’Eucaristia, sia del sacrificio della croce, il quale avrà nell’Eucaristia stessa il suo memoriale perpetuo. O Gesù, pane necessario, o Gesù agnello insostituibile, comprenderanno i tuoi seguaci che senza di Te non possono avere vita vera e vittoriosa sulla morte? Comprenderà il mondo? Discorso difficile! «Durus est hic sermo! e chi lo può comprendere? et quis potest eum audire?» (Io. 6, 60). Lo fu il primo giorno nel quale fu pronunciato, dopo il sorprendente miracolo della moltiplicazione dei pani, che non era bastato a sbalordire e a rassicurare il popolo, che ne aveva goduto, e ad eccitare in lui la fame d’un pane celeste, che subito Cristo taumaturgo faceva succedere nella logica della sua rivelazione. L’uditorio rimase deluso e si disperse. Esso avrebbe voluto la ripetizione del miracolo economico, e dimostrava incomprensione e diffidenza in un miracolo d’ordine diverso e superiore, relativo ad un pane celeste.

Così, oggi la psicologia sociologica, con visione ristretta della realtà umana, visione che guadagna aderenti anche nelle file dei seguaci di Cristo, vorrebbe da Lui la soluzione primordiale dei problemi economico-sociali, e accusa la sua scuola, rivolta ai misteri e alle conquiste del mondo soprannaturale, di fallimento della sua missione per non avere ancora saputo soddisfare la legittima fame del pane temporale, senza valutare a dovere l’ambivalenza della provvidenza di Cristo, il Quale, riportando le aspirazioni umane nella sfera superiore dell’economia della fede e della grazia, soddisfa le esigenze superiori e ineludibili dello spirito umano, e con ciò urge la soddisfazione e la rende possibile anche delle necessità temporali della vita terrena. Il regno di Dio, il regno della carità, conosce questa duplicazione di ricchezze e le rende consecutive: «cercate prima, insegna il Vangelo, il regno di Dio e la sua giustizia», e tutte le altre cose necessarie all’ordine della vita presente vi saranno date di conseguenza (Matth. 6. 33).

Questa visione della storia e della realtà umana non toglie a tutti la difficoltà della comprensione del mistero eucaristico. Leggi fisiche e metafisiche subiscono nella dottrina di tale mistero trasformazioni così gravi, e all’esperienza sensibile così superiori, per non dire contrarie, che il pensiero vacilla davanti alle parole di Cristo sul pane e sul vino dell’Eucaristia: «Questo è il mio Corpo; questo è il mio Sangue», le quali noi, celebrando questo Congresso Eucaristico, solleviamo al vertice della nostra fede, e perciò della nostra adorazione.

Come faremo a rendere caro e impegnativo il nostro dovere religioso, che ogni settimana e in alcune straordinarie festività, ci vuole raccolti e oranti, «un cuore solo e un’anima sola» (Act. 4, 32) a celebrare questa benedetta e ricorrente memoria della Pasqua della salvezza, ch’è la Messa festiva? Un Congresso, come questo, non può rimanere inefficace nella restaurazione d’un costume, che ancora una volta si rivela «cardine» della vita religiosa; ma deve davvero segnare una data di ripresa comunitaria nell’osservanza amorosa e fedele di questo vitale precetto. Fratelli e Figli! rinnoviamo la nostra coscienza cattolica nella rispondenza al disegno di Cristo. Ravviviamo la nostra fede, e cerchiamo di scolpire nei nostri cuori le parole incomparabili dell’Apostolo San Giovanni: «abbiamo creduto all’Amore»; ed è questa fede nell’Amore che il Signore ha avuto per noi, che noi ora solennemente e umilmente professiamo. Essa rimetta sulle nostre labbra e nei nostri cuori anche quelle altre parole, quelle dell’Apostolo Pietro, che qui noi abbiamo l’onore di far rivivere nella umiltà della nostra persona ma altresì nell’autenticità della nostra missione apostolica, e che a Gesù, dopo il discorso eucaristico di Cafarnao, abbandonato dai suoi increduli uditori, ebbe a rispondere, come noi tutti oggi proclamiamo: «Signore, da chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio» (Io. 6, 68-69).



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