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DISCORSO DI PAOLO VI AI PARTECIPANTI
AL XII CORSO INTERNAZIONALE DI EPIDEMIOLOGIA
E DI LOTTA CONTRO LA TUBERCOLOSI

Mercoledì, 23 maggio 1973

 

Dedichiamo assai volentieri qualche attimo della Nostra intensa mattinata a codesti medici, che partecipano al XII Corso Internazionale di Epidemiologia e di Lotta contro la Tubercolosi, presso l’Ospedale romano «Carlo Forlanini».

L’iniziativa si svolge a cura della Organizzazione Mondiale della Sanità: ed è indizio assai consolante di quella solidarietà internazionale, che oggi permea la nostra società e la fa sentire più intimamente partecipe dei mali che affliggono l’umanità. E il fenomeno della tubercolosi, pur se affrontato oggi con straordinario successo nella profilassi, nella terapia, nel trattamento clinico, ciò nondimeno rimane tuttora un flagello nei Paesi in via di sviluppo, ove, come siamo informati, i colpiti raggiungono i tre quarti dei malati di tubercolosi di tutto il mondo. Spaventosa statistica: che dice purtroppo la povertà, l’inadeguatezza di strutture mediche e la necessità che condiziona la vita di tanti infelici.

Ci conforta pertanto vedere come gli organi responsabili continuino a dedicare le loro precipue cure a ostacolare e a sconfiggere il morbo; e vediamo in voi i medici sensibili, generosi, esperti, che mossi dal desiderio di venire incontro ai propri connazionali colpiti dal male, si dedicano ad una specializzazione molto seria e completa, che permetterà di curare la salute dei fratelli, e perciò di promuovere il benessere nelle rispettive Nazioni. Il vostro corso è la prova lampante che quell’«esame di coscienza» a cui nella nostra Enciclica Populorum Progressio abbiam chiamato tutti i responsabili per favorire la lotta contro i mali del nostro tempo (Cfr. nn. 45-55), spinge veramente a fare sempre di più e sempre meglio per il bene di coloro che soffrono.

Ci compiacciamo con voi per tale sensibilità, oltre che per l’impegno e la bravura dimostrati nel seguire i corsi; vi incoraggiamo paternamente al compito molto grave e anche penoso che vi aspetta, tanto proficuo agli infermi quanto spiritualmente prezioso per voi, e per altri giovani medici, ai quali comunicherete le vostre stesse ansie umanitarie; e vi auguriamo di saper vedere nei fratelli sofferenti il riflesso del volto di Dio, che tutti ci ha creati a sua immagine e tutti invita a considerarci e ad amarci come fratelli, figli di uno stesso Padre ch’è nei Cieli.

Le sue benedizioni vi accompagnino, oggi e sempre, e scendano altresì copiose sulle vostre Nazioni, a noi tanto care e vicine.



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