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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA
DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEI COMUNI D’ITALIA

Sabato, 4 dicembre 1976

 

Siamo lieti e onorati di dare il nostro più cordiale e sincero benvenuto a codesta eletta delegazione degli Amministratori Comunali, che partecipano alla VII Assemblea Generale dei Comuni Italiani. È un’occasione unica, veramente importante, quella che ci viene oggi offerta di salutare in voi i rappresentanti numerosi e qualificati di tutta la Nazione italiana: dietro di voi si dispiega effettivamente davanti al nostro sguardo l’intera, varia, animatissima gamma di tutti i Comuni italiani, che sono come il tessuto connettivo, l’elemento capillare e determinante che la costituisce nella sua sostanza concreta e operosa. Così appunto amiamo vedervi: idealmente attorniati dai singoli membri delle comunità civiche, in cui si articola e vive e lavora la diletta Nazione italiana.

Di quell’anonima ma a noi non ignota, anzi spiritualmente vicina e cara moltitudine voi ci portate il saluto: e proprio pensando ad essa vi rivolgiamo la parola che attendete. Parola del Papa, parola della Chiesa: ché altra non potrebbe essere. Ma appunto perché, come dicemmo in altra occasione, davanti a un consesso internazionale, noi siamo «esperti in umanità» (Allocuzione all’ONU, 4 ottobre 1965: Insegnamenti di Paolo VI, III, 1965, p. 517), noi ci sentiamo in diritto, anzi in dovere, di dirvi questa parola: che per voi, e per gli altri Amministratori Comunali, come per i membri dei Comuni italiani non vuol essere altro che parola di incoraggiamento, di luce, di sapienza, di ammonimento, di esortazione.

E vi diciamo anzitutto: quella che voi svolgete come Amministratori Comunali, è una responsabilità, una missione. Proprio perché voi siete «rappresentanti», voi avete l’onere e l’onore di portare nel vostro cuore, nei vostri pensieri, nei vostri programmi gli interessi di coloro che a voi si sono affidati, domandandovi espressamente la cura della cosa pubblica. Nell’espletare il vostro quotidiano servizio, non è a voi che dovete pensare; né mai dovete seguire logiche di tornaconti personali o di demagogie clientelari, perché siete chiamati a svolgere un compito che supera ogni confine limitato e angusto per rivolgersi a un bene più grande, primario, sovreminente: la cura degli altri, e specialmente dei poveri, dei deboli, di quanti non hanno altra risorsa se non il lavoro delle proprie mani, che oggi la particolare situazione rende spesso insicuro né bastante alle crescenti difficoltà. Missione dunque di altruismo, di disinteresse, di ricerca sincera e sofferta dell’elevazione e del progresso sociale degli uomini fratelli.

Questa missione, ecco il nostro secondo pensiero, tende perciò a procurare, in una parola, il bene comune, il bene della persona umana. Al di là di tutti i particolarismi, anche territoriali o campanilistici, al di sopra di tutti i condizionamenti ideologici, deve emergere come unico valore da favorire e difendere, la grandezza e la dignità della persona umana. È la costante comune dell’insegnamento sociale della Chiesa, e l’ha chiaramente sottolineata nel nostro tempo, con tutto il peso della sua autorità, il Concilio Vaticano II, quando ha detto che «l’esercizio dell’autorità pubblica, sia da parte della comunità come tale, sia da parte degli organismi rappresentativi, deve sempre svolgersi nell’ambito dell’ordine morale, per il conseguimento del bene comune, e di un bene comune concepito in forma dinamica, secondo le norme di un ordine giuridico già definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire (Cfr. Rom. 13, 15). Da ciò risulta chiaramente la responsabilità, la dignità e l’importanza di coloro che sono preposti alla cosa pubblica» (Gaudium Spes, 74). Ecco tutta la nostra grandezza, e tutta la vostra missione!

Di qui un ultimo pensiero: il più alto, il più nobile, quello che, come Vicario di Cristo in terra, siamo tenuti a ricordarvi: che questa missione, tesa al bene comune, non viene solo dal basso, perché conferita dal libero consenso popolare, ma diventa simbolo e segno della Provvidenza arcana e paterna di Dio che governa il mondo, che chiama tutti gli uomini a godere del bene dolcissimo della vita, della famiglia, della socialità, e che chiederà conto un giorno, a tutti indistintamente, del modo con cui ciascun uomo avrà trafficato i talenti che ha avuto a disposizione, come amministratore saggio e ardito (Cfr. Matth. 25, 14-30).

Ecco, carissimi e degni rappresentanti dei Comuni italiani, quanto ci stava a cuore di ricordarvi: rispettosi come siamo dell’autonomia civile e politica di cui disponete a pieno titolo, abbiamo non meno il dovere di appellarci a quella comune matrice cristiana, che forma il sostrato più profondo della vita operosa della diletta Nazione italiana, ne ha alimentato le forze nel cammino della storia come ne sostiene nel silenzio del cuore il carattere gentile, lo sforzo nobile e generoso, la quotidiana lotta per l’esistenza, il faticoso progresso. E facciamo voti che questo carattere cristiano, che affratella gli italiani nelle radici profonde del proprio essere, sia sempre riconosciuto e stimato; né possiamo tacere l’auspicio che anche le forme più concrete in cui esso si manifesta, vogliamo dire le istituzioni cattoliche di istruzione e di assistenza, nelle sue varie forme, che operano con esemplare dedizione e talora con gravi sacrifici nelle comunità che voi rappresentate, trovino sempre in voi comprensione, promozione, aiuto, al pari di tutte le forze che operano, con leale spirito di servizio, per il bene dei cittadini.

Siamo ormai non troppo lontani dal Natale, la festa che il popolo italiano celebra con particolare ricchezza di fede e di sentimento affettuoso, nelle sue diverse tradizioni popolari: ebbene, in attesa di quel giorno benedetto, noi già fin d’ora inviamo a tutti i Comuni, qui tanto degnamente da voi rappresentati, il nostro augurio più fervido e sincero - che si estende anche al Nuovo Anno - di benessere, di serenità, di concordia, di ripresa, di edificazione della pace nella libertà e nella verità. In primo luogo questi nostri voti vogliamo che siano diretti al Comune della nostra diocesi di Roma, sempre presente al nostro pensiero e alla nostra preghiera.

Su tutti voi, come sui singoli abitanti dei mille e mille Comuni italiani di cui oggi ci avete portato la voce e il saluto, scendano copiose le benedizioni di Dio.

                             



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