Index   Back Top Print

[ IT ]

PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La parola imprigionata

Venerdì, 21 marzo 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.066, Sab. 22/03/2014)

 

Umiltà e preghiera, nella Chiesa, sono l’antidoto contro le alterazioni della parola di Dio e la tentazione di impadronirsene, interpretandola a proprio piacimento e ingabbiando lo Spirito Santo. È la sintesi della meditazione proposta dal Pontefice nella messa celebrata venerdì mattina, 21 marzo, nella cappella della Casa Santa Marta.

Proprio «durante questi giorni di quaresima il Signore si fa vicino a noi e la Chiesa ci conduce verso il triduo pasquale, verso la morte e risurrezione di Gesù» ha detto il Papa riferendosi alla due letture della liturgia. Nella prima, tratta dalla Genesi (37, 3-4.12-13.17-28), si racconta la storia di «Giuseppe che è una profezia e un’immagine di Gesù: venduto per venti monete dai suoi fratelli». E poi il Vangelo di Matteo (21, 33-43.45) presenta «questa parabola che lo stesso Gesù dice alla gente e ai farisei, ai sacerdoti, agli anziani del popolo per far capire dove sono caduti». Siamo davanti, ha spiegato, al «dramma non del popolo — perché il popolo capiva che Gesù era un grande profeta — ma di alcuni capi del popolo, di alcuni sacerdoti di quel tempo, dei dottori della legge, degli anziani che non erano con il cuore aperto alla parola di Dio». Infatti essi «sentivano Gesù ma invece di vedere in lui la promessa di Dio, o invece di riconoscerlo come un grande profeta, avevano paura».

In fondo, ha notato il Pontefice, è «lo stesso sentimento di Erode». Anche loro dicevano: «Quest’uomo è un rivoluzionario, fermiamolo in tempo, dobbiamo fermarlo!». Per questo «cercavano di catturarlo, cercavano di metterlo alla prova, perché cadesse e potesserlo catturare: è la persecuzione contro Gesù». Ma perché questa persecuzione? «Perché questa gente — è stata la risposta del Papa — non era aperta alla parola di Dio, erano chiusi nel loro egoismo».

È proprio in questo contesto che «Gesù racconta questa parabola: Dio ha dato in eredità un terreno con una vigna che ha fatto con le sue mani». Si legge infatti nel Vangelo che il padrone «piantò una vigna, la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre». Sono tutte cose che «ha fatto lui, con tanto amore». E poi ha dato «la vigna in affitto a dei contadini».

Esattamente quello che «Dio ha fatto con noi: ci ha dato la vita in affitto» e con essa «la promessa» che sarebbe venuto a salvarci. «Invece questa gente — ha fatto notare Papa Francesco — ha visto un bel negozio qui, un bell’affare: la vigna è bella, prendiamola, è nostra!». E così «quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, sono andati i servi di questo signore a ritirare il raccolto. Ma i contadini, che già si erano impadroniti della vigna, hanno detto: no, cacciamoli via, questo è nostro!».

La parabola di Gesù, ha spiegato, racconta precisamente «il dramma di questa gente, ma anche il dramma nostro». Quelle persone infatti «si sono impadronite della parola di Dio. E la parola di Dio diventa parola loro. Una parola secondo il loro interesse, le loro ideologie, le loro teologie, al loro servizio». A tal punto che «ognuno la interpreta secondo la propria volontà, secondo il proprio interesse». E «uccidono per conservare questo». È quanto è successo anche a Gesù, perché «i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro quando avevano sentito questa parabola» e così «cercarono di catturarlo e farlo morire».

Ma in questo modo «la parola di Dio diventa morta, diventa imprigionata». E «lo Spirito Santo è ingabbiato nei desideri di ognuno di loro. Lo stesso succede a noi, quando non siamo aperti alla novità della parola di Dio, quando non siamo obbedienti alla parola di Dio». Ma disobbedire alla parola di Dio è come voler affermare che «questa parola non è più di Dio: adesso è nostra!».

Come «la parola di Dio è morta nel cuore di questa gente, può anche morire nel nostro cuore». Eppure, ha affermato il Santo Padre, la parola «non finisce perché è viva nel cuore dei semplici, degli umili, del popolo di Dio». Infatti quanti cercavano di catturare Gesù ebbero paura del popolo che lo considerava un profeta. Era «la folla semplice, che andava dietro Gesù perché quello che Gesù diceva faceva bene e scaldava il cuore». Questa gente «non usava la parola di Dio per il proprio interesse» ma semplicemente «sentiva e cercava di essere un po’ più buona».

A questo punto il Papa ha suggerito di pensare a «cosa noi possiamo fare per non uccidere la parola di Dio, per non impadronirci di questa parola, per essere docili, per non ingabbiare lo Spirito Santo». E ha indicato due semplici strade: quella dell’umiltà e quella della preghiera.

Non era certo umile, ha notato, «questa gente che non accettava la parola di Dio ma diceva: sì, la parola di Dio è questa, ma la interpreto secondo il mio interesse!». Con questo modo di fare «erano superbi, erano sufficienti, erano i “dottori” fra virgolette»: persone che «credevano di avere tutto il potere per cambiare il significato della parola di Dio». Invece «soltanto gli umili hanno il cuore disposto per ricevere la parola di Dio». Ma bisogna precisare, ha rilevato, che «c’erano anche buoni e umili sacerdoti, umili farisei che avevano ricevuto bene la parola di Dio: per esempio i Vangeli ci parlano di Nicodemo». Dunque «il primo atteggiamento per ascoltare la parola di Dio» è l’umiltà, perché «senza umiltà non si può ricevere la parola di Dio». E il secondo è la preghiera. Le persone di cui parla la parabola infatti «non pregavano, non avevano bisogno di pregare: si sentivano sicuri, si sentivano forti, si sentivano dei».

Dunque «con l’umiltà e la preghiera andiamo avanti per ascoltare la parola di Dio e obbedirle nella Chiesa». E «così non succederà a noi ciò che è accaduto a questa gente: non uccideremo per difendere quella parola che noi crediamo essere la parola di Dio» ma che invece è divenuta «una parola totalmente alterata da noi».

In conclusione il Pontefice ha chiesto «al Signore la grazia dell’umiltà, di guardare Gesù come il Salvatore che ci parla: parla a me! Ognuno di noi deve dire: parla a me!». E «quando leggiamo il Vangelo: parla a me!». Da qui l’invito ad «aprire il cuore allo Spirito Santo che dà forza a questa parola» e a «pregare, pregare tanto perché noi abbiamo la docilità di ricevere questa parola e obbedirle».

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana