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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Per non essere turisti esistenziali

Lunedì, 31 marzo 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.074, Mart. 01/04/2014)

 

Né «cristiani erranti come turisti esistenziali» né «cristiani fermi», ma testimoni di una «fede che cammina» seguendo le promesse di Dio. È l’identità cristiana così come l’ha disegnata Papa Francesco questa mattina, lunedì 31 marzo, durante la messa celebrata nella cappella della Casa Santa Marta.

Il Pontefice ha parlato del valore che, nella vita di un cristiano, ha la fiducia in Gesù «che non delude mai». È scritto nel vangelo e Papa Francesco lo ha sottolineato commentando le letture della liturgia. «Nella prima lettura — ha infatti esordito citando Isaia (65, 17-21) — c’è la promessa di Dio, quello che ci aspetta. Quello che Dio ha preparato per noi: “Io creo nuovi cieli, nuova terra...”. Non si ricorderà più il passato, le fatiche... sarà tutto nuovo. “Creo Gerusalemme per la gioia....”. Ci sarà la gioia. È la promessa della gioia».

Il Signore, ha spiegato il vescovo di Roma, prima di chiedere qualcosa promette. E per questo il fondamento principale della virtù della speranza è proprio fidarsi delle promesse del Signore. Anche perché «questa speranza — ha assicurato — non delude; perché lui è fedele e non delude». Il Signore, ha proseguito, non ha mai detto a nessuno di andare, di agire senza prima avergli fatto una promessa. «Anche Adamo — ha ricordato in proposito — quando è stato cacciato dal Paradiso, ne ebbe una». E questo «è il nostro destino: camminare nell’ottica delle promesse, certi che diventeranno realtà. È bello leggere il capitolo undicesimo della Lettera agli ebrei, dove si racconta il cammino del popolo di Dio verso le promesse: come questa gente amava tanto queste promesse e le cercava anche con il martirio. Sapeva che il Signore era fedele. La speranza non delude mai».

Per aiutare a comprendere meglio il valore della fiducia nelle promesse del Padre, il Papa ha fatto riferimento all’episodio narrato dal Vangelo di Giovanni (4,43-54) poco prima proclamato, nel quale si racconta del funzionario del re che, saputo dell’arrivo di Gesù a Cana, gli si fa incontro per chiedergli di salvare il figlio malato e in fin di vita a Cafarnao. È stato sufficiente, ha ricordato il Pontefice, che Gesù dicesse: “Va’, tuo figlio vive” perché quell’uomo credesse alla sua parola e si mettesse in cammino: «Questa è la nostra vita: credere e mettersi in cammino» come ha fatto Abramo, che ha avuto «fiducia nel Signore e ha camminato anche nei momenti difficili», quando per esempio la sua fede «è stata messa alla prova» con la richiesta del sacrificio del figlio. Anche in quel caso egli «camminò. Si è fidato del Signore — ha sottolineato il Pontefice — ed è andato avanti. La vita cristiana è questo: camminare verso le promesse». Per questo «la vita cristiana è speranza».

Tuttavia si può anche non camminare nella vita. «E di fatto — ha notato il vescovo di Roma — ci sono tanti, anche cristiani e cattolici di comunità, che non camminano. C’è la tentazione di fermarsi», di ritenere di essere un buon cristiano solo perché, ha precisato, si è inseriti nei movimenti ecclesiali e ci si sente come nella propria «casa spirituale», quasi «stanchi» di camminare.

«Ne abbiamo tanti di cristiani fermi. Hanno una speranza debole. Sì, credono che c’è il cielo ma non lo cercano. Seguono — ha notato il Pontefice — i comandamenti, compiono i precetti tutto, tutto; ma sono fermi. E il Signore non può trarre lievito da loro per far crescere il suo popolo. E questo è un problema: i fermi».

«Poi — ha aggiunto — ci sono altri, quelli che sbagliano la strada. Tutti noi alcune volte abbiamo sbagliato strada». Ma il problema, ha precisato, «non è sbagliare strada. Il problema è non tornare quando ci si accorge che si è sbagliato. È la nostra condizione di peccatori che ci fa sbagliare strada. Camminiamo, ma alle volte facciamo questo sbaglio di strada. Si può tornare: il Signore ci dà questa grazia, di poter tornare».

E poi «c’è un altro gruppo che è più pericoloso — ha detto — perché si inganna da se stesso». Sono «quelli che camminano ma non fanno strada. Sono i cristiani erranti: girano, girano come se la vita fosse un turismo esistenziale, senza meta, senza prendere le promesse sul serio. Quelli che girano e si ingannano perché dicono: “Io cammino...”. No; tu non cammini, tu giri! Invece il Signore ci chiede di non fermarci, di non sbagliare strada e di non girare per la vita. Ci chiede di guardare alle promesse, di andare avanti con le promesse», come l’uomo del vangelo di Giovanni, il quale «credette alle promesse di Gesù e si mise in cammino». E la fede si mette in cammino.

La quaresima, ha detto in conclusione, è un tempo propizio per pensare se siamo in cammino o se siamo «troppo fermi» e allora dobbiamo convertirci; oppure se «abbiamo sbagliato strada» e allora dobbiamo andare a confessarci «per riprendere la strada»; o infine se siamo «turisti teologali», come quelli che girano nella vita «ma che mai fanno un passo avanti».

«Chiediamo al Signore la grazia — è stata l’esortazione di Papa Francesco — di riprendere la strada, di metterci in cammino verso le promesse. Mentre pensiamo a questo, ci farà bene rileggere quel capitolo undicesimo della Lettera agli Ebrei, per capire bene cosa significa camminare verso le promesse che il Signore ci ha fatto».

 



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