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TRE NUOVI BEATI NEL X ANNIVERSARIO DELL’ELEZIONE AL PONTIFICATO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 16 ottobre 1988

 

1. “Signore sia su di noi la tua grazia perché in te speriamo” (Sal 33 [32], 22).

Nella liturgia di questa XXIX domenica del tempo ordinario la Chiesa prega con queste parole del salmo. Tutti noi ritroviamo in esse il contenuto della nostra preghiera personale. Che cosa può desiderare maggiormente l’uomo che sperare in Dio, nel suo dono, nell’opera della grazia che da lui proviene e compenetra tutta la vita umana, così da donarle una nuova dimensione? La dimensione voluta da Dio, la dimensione salvifica.

La Chiesa pone oggi le stesse parole del salmista sulla bocca di coloro, la cui vita e la cui opera vengono additate all’ammirazione e all’imitazione dei fedeli. Sono i nuovi beati:
- Bernardo Maria di Gesù
- Carlo di sant’Andrea
- Onorato da Biala Podlaska.

2. Essi si sono dimostrati pronti - così come gli apostoli - a bere fino in fondo il calice bevuto dal loro Maestro. Ciascuno di loro fu pronto a servire, anzi a diventare il “servo di tutti” (Mc 10, 44), guardando il Figlio dell’uomo che “non è venuto al mondo per essere servito, ma per servire” (Mc 10, 46). E, servendo, “ha dato la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 46).

Coloro che da oggi la Chiesa venera come beati hanno guardato con gli occhi della fede il Cristo, uomo dei dolori, così come lo ha indicato nella sua visione profetica Isaia, molti secoli prima della passione: “Disprezzato e reietto dagli uomini . . . che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima” (Is 53, 3).

“Ma al Signore è piaciuto
prostrarlo con dolori” (Is 53, 10).

Ecco la verità del venerdì santo, alla quale segue l’alba della domenica di Pasqua, poiché alla verità della crocifissione è indissolubilmente legata la innegabile verità della risurrezione:
“Quando offrirà se stesso in espiazione, / vedrà una discendenza . . .
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà
della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità” (Is 53, 10-11).

3. Ciascuna di queste persone, che la Chiesa proclama oggi beati, ha vissuto profondamente il contenuto totale del mistero pasquale di Cristo.

Ha imparato a conoscere questo mistero pasquale di Cristo. Ha imparato a conoscere questo mistero mediante l’esperienza della propria fede e del proprio cuore, dell’intelletto e della volontà. Ne ha fatto la base e la sorgente del proprio ministero pasquale, della propria testimonianza, nel quotidiano impegno di “mantenere ferma la professione della fede” (cf. Eb 4, 14), per potersi accostare “con piena fiducia al trono della grazia” (Eb 4, 16).

4. Mantenne ferma la professione di fede, con esemplare fortezza e generosità, il beato Bernardo Maria Silvestrelli, quando, in un difficile e contrastato periodo storico per la vita ecclesiale di questa città di Roma, volle e seppe, nonostante le opposizioni della famiglia e le resistenze della società politica del suo tempo, dedicarsi a Dio, abbracciando la vita religiosa del passionista, cioè del fedele discepolo e devoto del Crocefisso e dell’Addolorata.

Egli ebbe fiducia nell’opera della grazia, quando i problemi della salute parvero intralciare i suoi passi. Poté scoprire, così che la ricchezza di tale grazia è in grado di aiutare chi ha fede a superare ogni ostacolo, poiché “l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame” (Sal 33 [32], 18-19). Sorretto dalla grazia, Bernardo Maria poté, anzi, conoscere amici e fratelli molto impegnati, tra cui san Gabriele dell’Addolorata, insieme ai quali camminare sulla via della perfezione religiosa.

La Provvidenza dispose che divenisse egli stesso strumento di misericordia e di grazia, quando fu scelto per formare i giovani della sua comunità, e poi per guidare durante lunghi anni la sua Congregazione passionista, difendendola dalle insidie laicistiche del suo secolo, promuovendone lo sviluppo e confermandone i religiosi nell’ardua sequela di Cristo crocifisso, il “sommo sacerdote”, modello e maestro di ogni sacerdote, “provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Eb 4, 15).

Il nuovo beato incoraggia anzitutto i religiosi della sua Congregazione a continuare con animo generoso nell’austera disciplina della vita passionista, per essere davanti al mondo, memoria vivente della passione di Cristo. A tutti i fedeli, poi, rinnova l’invito a coltivare in cuore una ferma fiducia nell’aiuto di Dio anche nei momenti difficili della vita, perché il Signore resta sempre “aiuto” e “scudo” di chi in lui confida (cf. Sal 33 [32], 20).

5. In padre Carlo di sant’Andrea, un altro sacerdote della Congregazione passionista, troviamo un fulgido esempio della potenza divina che opera per consolare, riconciliare e guarire il suo popolo attraverso il ministero dei suoi fedeli servitori. Il ministero sacerdotale del beato Carlo si svolse nel continuo servizio agli altri. La sua vita è caratterizzata dalla umile ed esemplare dedizione al servizio, che determina la vera grandezza di un discepolo. Come dice Gesù ai discepoli nel Vangelo di oggi: “Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10, 43-44).

La vera santità esercita un influsso sugli altri, un influsso che va al di là della pura spiegazione naturale. Le migliaia di persone che furono attirate a Dio attraverso la santità di padre Carlo testimoniano questa verità. La potenza della grazia di Dio che opera nel suo ministero produce molti frutti spirituali nella vita di innumerevoli persone. Lavora senza tregua in Inghilterra e in Irlanda. Nel monastero passionista del Monte Argus a Dublino egli acquistò grande fama di santità e molti vennero a lui per consultarlo e ricevere il sacramento della Penitenza. Egli perdonava i loro peccati nel nome di Cristo e li guidava a una migliore comprensione del messaggio evangelico di riconciliazione.

Fin dai primi giorni nel noviziato passionista di Ere, in Belgio, egli meditò devotamente il mistero della passione del Signore. Egli aveva sperimentato la divisione tra i cristiani nel Paese nativo, i Paesi Bassi, e giunse a vedere questa mancanza di unità dei cristiani come una partecipazione alle sofferenze del Signore. Questo si rese sempre più evidente per lui nelle parole della preghiera di Cristo al Padre alla vigilia della sua passione: “Che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una sola cosa, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). Dopo la professione dei voti religiosi e il completamento degli studi teologici, il beato Carlo fu dapprima mandato in Inghilterra per rispondere ai bisogni spirituali dei fedeli cattolici e per lavorare per l’unità dei cristiani. Cinque anni dopo fu mandato a Dublino per aiutare la nuova fondazione dei passionisti. A Dublino gli divenne chiaro che doveva soprattutto dedicarsi al ministero della riconciliazione nel sacramento della Penitenza. Egli doveva confortare ed assistere le persone spiritualmente angustiate, e Dio fece prosperare il suo ministero facendo guarire alcuni malati che erano venuti a farsi benedire da lui. Ogni giorno doveva occuparsi delle difficoltà degli altri. In una parola, seguiva l’esempio di Gesù, venuto “non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.

L’esempio eccezionale di padre Carlo deve servire di ispirazione a tutti i figli spirituali di san Paolo della Croce. Il suo impegno nel ministero della riconciliazione nel sacramento della Penitenza incoraggia tutti i sacerdoti a continuare a mettere questo sacramento a disposizione dei fedeli. Il suo esempio li aiuta ad avere grande fiducia nella potenza di Dio che opera nel loro ministero. Il beato Carlo richiama tutti i cristiani ad essere una sola cosa nell’unità per la quale Cristo ha pregato nell’ultima cena; egli li implora “nel nome di Cristo a lasciarsi riconciliare con Dio”.

6. Ecco colui al quale il Signore ha donato la sua grazia: religioso dedito con magnanimità e fino in fondo al suo ideale di frate minore cappuccino. Vero figlio spirituale di san Francesco. sacerdote e apostolo. Assiduo ministro del sacramento del Perdono e della Riconciliazione, il suo eroico servizio nel confessionale divenne una vera direzione spirituale. Ebbe il profondo dono di saper scoprire e mostrare le vie della vocazione divina. Era uomo di costante preghiera, particolarmente nell’adorazione del Santissimo Sacramento; immerso in Dio e ad un tempo aperto alla realtà terrena. Un testimone oculare disse che egli “camminava sempre con Dio”.

È vissuto, come è noto, in tempi difficili: tempi difficili per la patria e per la Chiesa. La Polonia aveva subito le spartizioni. Nel cosiddetto Regno di Polonia era stato proclamato, dopo l’insurrezione di gennaio, lo stato di guerra. Erano stati soppressi tutti gli ordini religiosi, ed erano rimasti soltanto alcuni monasteri, condannati praticamente a morte, perché i noviziati erano stati chiusi. Su tutti i campi della vita scolastica gravava il terrore poliziesco. Fu allora che il nostro beato formulava il principio che divenne l’ispirazione per la sua attività apostolica: “lo «stato» dei religiosi e delle religiose è un’istituzione divina, quindi non può venir meno, poiché senza di esso il Vangelo non sarebbe realizzato, perciò può e deve cambiare soltanto forma” (O. Kozminski “Notizie sulle nuove congregazioni religiose”, Kraków 1980, 45).

Egli cercava personalità eminenti e condivideva con esse la sua sollecitudine per la sorte della patria, della Chiesa e degli istituti religiosi in Polonia.

Quanto eloquente è la sua confidenza: “bisogna pregare ferventemente, il Signore vuole qualche cosa da me . . . sempre più spesso vengono a me le anime di diversi stati, istruzione, libere e chiedono di indicar loro la direzione, vogliono entrare in un convento, e soprattutto chiedono il permesso di fare i voti di castità. I conventi non ci sono. Dove e come guidare queste anime? Prima di tutto, non è lecito mandarle all’estero, poiché ciò è il frutto di questa terra; qui devono rimanere, non è lecito privare questa terra del frutto maturo e più bello che essa ha dato. Che cosa rimarrà qui quando toglieremo le anime sante, chiamate? Dio vuole qualche cosa, egli provvederà . . . Pregate anche voi perché otteniamo la luce di Dio, perché Dio riveli ciò che vuole che noi facciamo per queste anime” (J. Chodzynska “Diario”, 10-11).

Così ha pensato e operato il beato Onorato, al quale il Signore ha dato la sua grazia e che era spinto da una forza interiore. Indicava la via alla perfezione che nasceva dalla lettura del Vangelo e dalla contemplazione. Incoraggiava a rimanere nel suo ambiente e ad imitare la vita di Gesù e Maria a Nazaret, a praticare i consigli evangelici nel nascondimento, senza segni esterni. Divenne un innovatore della vita monastica e fondatore di una sua nuova forma simile agli odierni istituti laicali. Mediante le sue figlie e i suoi figli spirituali cercava di far rigenerare nella società lo spirito di zelo dei primi cristiani, e raggiungeva per il loro tramite tutti gli ambienti. Ancora oggi diciassette congregazioni, provenienti dalla cerchia della sua spiritualità, operano in diciannove Paesi sui quattro continenti. “Chi vuol essere grande tra voi - dice Cristo - si farà vostro servitore . . . e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10, 43-44).

Il beato Onorato diceva: “Quotidie a Christo exeo, ad Christum eo et ad Christum redeo” (“Ogni giorno vengo da Cristo, vado a Cristo e ritorno a Cristo”).

Si è abbandonato a Cristo, sapienza incarnata, come suo schiavo, secondo le direttive di san Luigi Grignon de Montfort. Ripeteva spesso “totus tuus”. Chiedeva che Maria fosse per lui “protettrice, mediatrice, ausiliatrice, maestra delle sue prediche, consigliera per le confessioni, garante della castità, consolatrice, riparatrice”.

Il sacerdote Onorato è stato provato da numerose sofferenze fisiche e spirituali. “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori” (Is 53, 10).

Quando ricevette la decisione della Chiesa che lo privava della direzione delle congregazioni e ne cambiava il carattere, scriveva: “lo stesso Vicario di Cristo ci ha rivelato la volontà di Dio ed eseguo quest’ordine con la fede più grande . . . Ricordate, venerabili fratelli e sorelle, che a voi si presenta l’occasione di dimostrare l’obbedienza eroica alla santa Chiesa” (O. Kozminski “Le lettere circolari alle Congregazioni”).

Ed ecco, dopo il suo intimo tormento ha visto la luce e si è saziato della sua conoscenza (cf. Is 53, 11). Oggi riceve la gloria degli altari nella Chiesa. Ci mostra come leggere “i segni dei tempi”. Come perseverare, secondo il volere di Dio, e operare nei tempi difficili. Egli insegna come risolvere, nello spirito del Vangelo, i problemi difficili e come rimediare ai bisogni umani alle soglie del terzo millennio da quando “il Figlio dell’uomo . . . è venuto non per esser servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (cf. Mc 10, 45).

7. “Signore, sia su di noi la tua grazia,
perché in te speriamo”.
Ringraziamo oggi la Santissima Trinità per quella grazia, da cui fu pervasa e guidata la vita terrena dei nuovi beati:
- Bernardo
- Carlo
- Onorato.

Ecco, essi hanno sperato in Dio. Come servi di Cristo sono diventati grandi nello Spirito.

Nell’odierno atto solenne della beatificazione lo stesso Signore “prolunga” in un certo senso i giorni della loro vita e permette loro di vedere la “discendenza”, nata dalla grazia dello Spirito Santo anche per opera del loro ministero.

E noi qui raccolti, unendoci alla santissima Genitrice di Dio, ripetiamo nella comunione dei santi la stessa preghiera del salmista:
“Signore, sia su di noi la tua grazia, perché in te speriamo”.

Che questa grazia ci aiuti a servire i fratelli, seguendo l’esempio di Cristo, il quale “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45).


Al termine della solenne concelebrazione il Santo Padre ringrazia il Cardinale Decano per la parole rivoltegli in apertura di concelebrazione.  

Voglio ringraziare l’amatissimo Decano del Collegio Cardinalizio per le parole rivoltemi all’inizio della Messa. Sono tanto grato per le Sue parole. Sono tanto grato per la partecipazione di tanti miei fratelli Cardinali a questa concelebrazione. Voglio, rispondendo, rievocare solamente queste parole che ci ha insegnato Nostro Signore: “ Servi inutiles sumus ” e mi raccomando alle vostre preghiere.

 

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