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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
A CONCLUSIONE DELLA
V ASSEMBLEA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

25 ottobre 1980

 

Venerabili fratelli.

1. Abbiamo appena ascoltato l’apostolo san Paolo rendere grazie a Dio per la Chiesa di Corinto “perché in lui è stata arricchita di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza” (cf. 1Cor 1,5). Anche noi in questo momento ci sentiamo spinti a ringraziare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prima di porre termine a questo Sinodo dei Vescovi, per la celebrazione del quale, come membri e come collaboratori, ci siamo riuniti in quel mistero sommo di unità che è proprio della santissima Trinità. Ad essa ci rivolgiamo con sentimenti di gratitudine per aver terminato il Sinodo, eccellente segno di vitalità e momento importante per la vita della Chiesa. Infatti il Sinodo dei Vescovi, istituito da Paolo VI secondo le indicazioni del Concilio, “come rappresentanza di tutto l’episcopato cattolico, significa che tutti i Vescovi in comunione gerarchica sono partecipi alla sollecitudine della Chiesa universale” (Christus Dominus, 5). Rendiamo, allo stesso tempo, grazie per queste quattro settimane di lavoro.

Durante questo periodo abbiamo sentito i benefici, ancor prima che venissero resi noti gli ultimi elaborati, cioè il messaggio e le “proposizioni”: ci è sembrato infatti che la verità e l’amore si rafforzassero nei nostri cuori di giorno in giorno, di settimana in settimana.

Questa crescita va messa in luce e le caratteristiche con le quali si è rivelata vanno segnalate. Da questo appare con quanta rettitudine e sincerità si siano manifestati la libertà e l’impegno responsabile sul tema trattato.

Oggi vogliamo innanzitutto rendere grazie a colui “che vede nel segreto” (Mt 6,4) e che opera come “Dio nascosto”, che ha diretto i nostri pensieri, i nostri cuori e le nostre coscienze e ci ha concesso di lavorare nella fraternità e nella gioia spirituale, in modo tale da avvertire appena il lavoro e la fatica. Eppure è stata grande la fatica, ma non vi siete sottratti ad alcun lavoro.

2. Bisogna anche che ci ringraziamo fra noi. Ma innanzitutto bisogna riconoscere questo: noi tutti dobbiamo attribuire quel progresso, mediante il quale, come in una maturazione graduale, “abbiamo fatto la verità nella carità”, alle continue preghiere che tutta la Chiesa, come circondandoci, ha effuso. Questa preghiera è stata fatta per il Sinodo e per le famiglie: per il Sinodo in quanto si riferiva alle famiglie, per le famiglie in quanto hanno dei compiti da svolgere nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Il Sinodo ha beneficiato in modo del tutto singolare di queste orazioni.

Dio è stato invocato con intensa preghiera. Ciò è avvenuto soprattutto il 12 ottobre, quando i coniugi, che rappresentavano le famiglie di tutto il mondo, sono convenuti davanti alla Basilica di san Pietro per celebrare i sacri riti e pregare con noi.

Se dobbiamo ringraziarci a vicenda, dobbiamo ringraziare tanti ignoti benefattori che in tutto il mondo ci hanno aiutato con le loro preghiere, ed hanno offerto a Dio anche le loro sofferenze per questo Sinodo.

3. È giunto adesso il momento di ringraziare uno ad uno coloro che hanno collaborato alla celebrazione di questo Sinodo: i presidenti, il segretario generale, il relatore generale, i partecipanti in modo particolare, gli esperti, il segretario speciale e i suoi aiutanti, gli uditori, le uditrici, gli addetti agli strumenti di comunicazione sociale, i dicasteri della curia romana e specialmente il comitato per la famiglia, e anche gli altri, cioè gli addetti alla sala, allungando la serie fino agli aiutanti tecnici, ai tipografi e così via.

Noi tutti siamo grati per aver potuto portare a termine questo Sinodo, il quale è una manifestazione singolare di collegiale sollecitudine per la Chiesa, dei Vescovi di tutto il mondo. Siamo grati perché abbiamo potuto comprendere il significato della famiglia, come di fatto è nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, attenti alle molteplici e diverse situazioni in cui si trova, alle tradizioni, proprie delle varie culture, che la riguardano, ai condizionamenti di una vita più evoluta dai quali è sottoposta, e realtà consimili. Siamo grati perché nel pieno rispetto della fede abbiamo potuto scrutare l’eterno progetto di Dio sulla famiglia, che è stato manifestato nel mistero della creazione e contrassegnato nel sangue del Redentore, sposo della Chiesa. Siamo infine grati per aver potuto precisare, secondo il piano divino circa la vita e l’amore, i compiti della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.

4. Il frutto che questo Sinodo 1980 ha già prodotto è contenuto nelle “proposizioni” approvate dall’assemblea. La prima di queste tratta: “La volontà di Dio da conoscere nel cammino del Popolo di Dio. Il senso della fede”.

Questo ricco tesoro delle “proposizioni”, che sono 43, noi lo riceviamo come frutto particolarmente prezioso dei lavori del Sinodo.

Nel contempo manifestiamo la gioia che la stessa assemblea ha espresso a tutta la Chiesa nel proclamare il messaggio.

La segreteria generale con l’aiuto degli organismi della sede apostolica e delle conferenze episcopali manderà questo messaggio a tutti coloro ai quali è diretto.

5. Quanto il Sinodo 1980 ha studiato con impegno e ha comunicato nelle suddette “proposizioni”, fa sì che possiamo meglio comprendere i compiti cristiani e apostolici della famiglia nel mondo contemporaneo deducendoli dalla grande ricchezza degli insegnamenti del Concilio Vaticano II.

Dobbiamo fare in modo che le indicazioni dottrinali e pastorali di questo Sinodo trovino concreta realizzazione: questa è la via da seguire.

Il Sinodo di quest’anno si collega intimamente con i precedenti Sinodi di cui è la continuazione. - Parliamo dei Sinodi celebrati nel 1971 e soprattutto nel 1974 e nel 1977 - che sono serviti e devono ancora servire ad incarnare nella vita il Concilio Vaticano II.

Questi Sinodi fanno sì che la Chiesa presenti se stessa in modo autentico come conviene che sia in questo mondo contemporaneo.

6. Tra i lavori di questo Sinodo va attribuita massima importanza all’accurato esame di quei problemi dottrinali e pastorali che lo richiedevano in modo singolare ed al giudizio chiaro dato ai medesimi.

Nella ricchezza degli interventi, delle relazioni, delle conclusioni di questo Sinodo, che si è mosso su due direttrici, come su cardini, la fedeltà cioè al piano di Dio verso la famiglia e la pratica pastorale caratterizzata da un amore misericordioso e dal rispetto dovuto agli uomini considerati nella loro completezza, per quanto concerne il loro “essere” e il loro “vivere” - in tanta ricchezza, dicevamo, motivo per noi di grande ammirazione, ci sono alcune parti, che hanno attirato l’attenzione dei padri in modo particolare. Essi infatti erano coscienti di essere interpreti delle attese e delle speranze di molti coniugi e di molte famiglie.

Tra i lavori di questo Sinodo è molto utile ricordare questi problemi e conoscere l’approfondimento che sui medesimi è stato realizzato con impegno. Si tratta dello studio dottrinale e pastorale di questioni che, anche se non sono state le uniche trattate nelle discussioni del Sinodo, tuttavia hanno avuto particolare rilievo, in quanto di esse si è parlato in modo sincero e libero.

Si crea così quella situazione derivante dalle indicazioni date circa le suddette questioni con chiarezza e vigore dal Sinodo, avendo presente il tipico elemento cristiano secondo il quale il matrimonio e la famiglia vanno visti come doni dell’amore divino.

7. Perciò il Sinodo, parlando del ministero pastorale verso coloro che sono passati ad una nuova unione dopo il divorzio, loda quei coniugi che, pur angustiati da gravi difficoltà, tuttavia hanno testimoniato nella propria vita l’indissolubilità del matrimonio. Nella loro esistenza si coglie infatti una valida testimonianza di fedeltà verso l’amore che ha in Cristo la sua forza e il suo fondamento.

I padri sinodali inoltre, mentre affermano l’indissolubilità del matrimonio e la prassi della Chiesa di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati che contro la norma si sono uniti in un nuovo matrimonio, esortano i pastori e tutta la comunità cristiana perché aiutino questi fratelli e sorelle a non sentirsi separati dalla Chiesa, non solo, ma in virtù del battesimo essi possono e devono partecipare alla vita della Chiesa pregando, ascoltando la parola, assistendo alla celebrazione eucaristica della comunità e promuovendo la carità e la giustizia.

Quantunque non si debba negare che tali persone possano ricevere, se ne ricorrano le condizioni, il sacramento della penitenza e quindi la comunione eucaristica, quando sinceramente abbracciano una forma di vita, che non contrasti con la indissolubilità del matrimonio - cioè quando l’uomo e la donna, che non possono soddisfare l’obbligo della separazione assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi, e quando non c’è motivo di scandalo - tuttavia la privazione della riconciliazione sacramentale con Dio non li distolga dalla perseveranza nella preghiera, dall’esercizio della penitenza e della carità perché possano conseguire la grazia della conversione e della salvezza.

È bene che la Chiesa pregando per loro e sostenendoli nella fede e nella speranza si dimostri madre misericordiosa.

8. I padri sinodali ben conoscono le gravi difficoltà, che molti coniugi sentono nella loro coscienza circa le leggi morali riguardanti la trasmissione e la difesa della vita umana. Convinti che quel precetto divino porta con sé la promessa e la grazia, i padri sinodali hanno riaffermato apertamente la validità e la sicura verità dell’annunzio profetico, dotato di un significato profondo e di grande rispondenza alle odierne condizioni, contenuto nella lettera enciclica “Humanae Vitae”. Il Sinodo ha inoltre sollecitato i teologi ad unire i loro sforzi all’azione del magistero gerarchico, per sempre meglio illustrare i fondamenti biblici e le ragioni personalistiche di questa dottrina, impegnandosi a far sì che tutta la dottrina della Chiesa sia sempre meglio compresa da tutti gli uomini di buona volontà. I padri sinodali rivolgendosi a coloro che esercitano il ministero pastorale a beneficio dei coniugi e delle famiglie hanno respinto ogni dicotomia tra la pedagogia, che propone una certa gradualità nel realizzare il piano divino, e la dottrina, proposta dalla Chiesa con tutte le sue conseguenze, nelle quali è racchiuso il comando di vivere secondo la stessa dottrina. Non si tratta di guardare la legge solo come un puro ideale da raggiungere in futuro, ma come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà.

In realtà non si può accettare “un processo di gradualità”, se non nel caso di chi con animo sincero osserva la legge divina e cerca quei beni, che dalla stessa legge sono custoditi e promossi. Perciò la cosiddetta “legge della gradualità” o cammino graduale non può identificarsi con la “gradualità della legge”, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse. Tutti i coniugi sono chiamati, secondo il disegno divino, alla santità nel matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in grado di rispondere al comando divino con animo sereno confidando nella grazia divina e nella propria volontà.

Perciò i coniugi che non hanno la stessa sensibilità religiosa non possono accettare passivamente la situazione, ma dovranno impegnarsi, con pazienza e benevolenza, perché si ritrovino nel fedele adempimento dei doveri propri del matrimonio cristiano.

9. I padri sinodali sono pervenuti sia ad una maggiore comprensione delle ricchezze che si trovano nelle varie culture dei popoli sia dei contributi positivi che offre ogni tipo di cultura, per conoscere più a fondo il sublime mistero di Cristo. Hanno inoltre sottolineato che, anche nell’ambito del matrimonio e della famiglia, si apre un vasto campo alla ricerca teologica e pastorale per meglio favorire l’incarnazione del messaggio evangelico nella realtà di ogni popolo e per cogliere in quali modi le consuetudini, le tradizioni, il senso della vita e l’anima di ogni cultura possano armonizzarsi con tutto ciò che può contribuire a mettere in luce la divina rivelazione (cf. Ad Gentes, 22).

Questa ricerca porterà i suoi frutti alla famiglia, se essa viene attuata in conformità al principio della comunione della Chiesa universale e dietro l’impulso dei Vescovi locali, uniti fra di loro e con la cattedra del beato Pietro, “che presiede alla carità di tutta la Chiesa” (Lumen Gentium, 13).

10. Il Sinodo ha parlato della donna, della sua dignità e della sua vocazione come figlia di Dio, moglie, e madre in modo appropriato e persuasivo, con rispetto e gratitudine. Respingendo tutto ciò che lede la sua dignità umana, il Sinodo ha evidenziato anche la grandezza della dignità della madre. Per questo motivo ha dichiarato che la società deve costituirsi in modo tale che la donna non sia costretta ad un lavoro fuori casa per motivi economici, ma bisogna che la famiglia possa vivere convenientemente anche quando la madre si dedica totalmente ad essa.

11. Se abbiamo ricordato questi problemi e le risposte ad essi date dal Sinodo, non vogliamo tuttavia trascurare le altre questioni trattate. Si tratta di problemi importanti che devono essere illustrati sia sul piano dottrinale che nel ministero pastorale della Chiesa con grande rispetto, amore e comprensione verso gli uomini e le donne, nostri fratelli e nostre sorelle, che guardano alla Chiesa per avere una parola di fede e di speranza.

Questo infatti è emerso da molti interventi in queste settimane di fruttuoso lavoro. Ci auguriamo che i pastori, sull’esempio del Sinodo e con la stessa attenzione e determinazione, trattino questi problemi come si configurano nella realtà della vita coniugale e familiare affinché tutti “costruiamo la verità nella carità”.

12. Vogliamo ora dire come coronamento dei lavori svolti nel corso di queste quattro settimane che nessuno può costruire la carità se non nella verità. Questo principio vale sia per la vita di ogni famiglia che per la vita e l’azione dei pastori che intendono servire realmente la famiglia.

13. Il principale frutto di questa sessione del Sinodo sta nel fatto che i compiti della famiglia cristiana, la cui essenza è la carità, non possono essere realizzati se non vivendo pienamente la verità.

Tutti coloro ai quali, per l’appartenenza alla Chiesa - siano essi laici, sacerdoti, religiosi o religiose - è stato affidato di collaborare a questa azione, non possono realizzare questo se non nella verità.

È la verità che libera, è la verità che ordina; è la verità che apre la via alla santità e alla giustizia.

Abbiamo constatato, quanto amore di Cristo, quanta carità è offerta a tutti coloro che nella Chiesa e nel mondo formano una famiglia: non solo agli uomini e alle donne riuniti in matrimonio, ma anche ai ragazzi e ragazze, ai giovani, ai vedovi, e agli orfani, agli anziani e a tutti quelli che in qualche modo partecipano alla vita della famiglia.

Per tutti costoro la Chiesa di Cristo vuole essere e proporsi come parte di quella pienezza di vita con cui Paolo parla nella lettera ai Corinzi: “Perché in Cristo siamo stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza” (cf. 1Cor 1,5).

Detto questo, vi annunciamo di aver nominato come aiuto alla segreteria generale del Sinodo dei Vescovi, tre Vescovi la cui designazione spetta al romano pontefice, in aggiunta ai dodici da voi eletti. Essi sono:

- Ladislaus Cardinale Rubin, prefetto della sacra congregazione per le Chiese orientali;

- Paolo Tzadua, Arcivescovo di Addis Abeba degli etiopi;

- Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano.

Vi auguriamo infine ogni bene nel Signore.

 



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