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UDIENZA AI RAPPRESENTANTI
DELL’ISTITUTO DEL PATRIMONIO NAZIONALE POLACCO
IN OCCASIONE DEL 180° ANNIVERSARIO
DELLA NASCITA DEL POETA CYPRIAN NORWID

 1° luglio 2001

 

Illustri Signori,

1. A tutti il mio cordiale benvenuto. La vostra presenza a Roma e in Vaticano si unisce con le celebrazioni del 180 della nascita di Cyprian Kamil Norwid, uno dei più grandi poeti e pensatori dell'Europa cristiana. Tutti abbiamo un grande debito verso questo poeta - il quarto bardo - e vogliamo approfittare della presente circostanza, per estinguerlo almeno in una certa misura. Ho sempre ritenuto che il luogo dove dovrebbe riposare Cyprian Norwid, sia la cripta dei grandi poeti nella cattedrale di Wawel. Ciò si è dimostrato inattuabile, poiché non è stato possibile ritrovare ed identificare i resti del poeta. Ho dunque cercato altri mezzi d'espressione, per poter in qualche senso riparare quanto non era stato compiuto nei riguardi di Norwid e che sentiamo essere il nostro dovere collettivo. È bene che almeno l'urna con la terra tratta dalla fossa comune dove fu sepolto il poeta, trovi ora a Wawel il posto a lui dovuto nella patria, perché la patria, scrisse Norwid:  "È il luogo dove trovare riposo e morire" (1).

2. Cari Signori! Sono molto lieto di questo incontro e vi attribuisco una grande importanza. Perciò anche, preparandomi ad esso, sono tornato alla lettura degli scritti di Norwid e ho parlato con coloro ai quali, come a me, Norwid è caro. Ciò che vi voglio dire è in grande misura frutto dello scambio di pensieri con loro. Volevo pagare con onestà il mio debito personale nei riguardi del poeta, alla cui opera mi unisce una stretta confidenza spirituale, sin dagli anni del ginnasio. Durante l'occupazione nazista i pensieri di Norwid sostenevano la nostra speranza posta in Dio, e nel periodo dell'ingiustizia e del disprezzo, con cui il sistema comunista trattava l'uomo, essi ci aiutavano a perseverare accanto alla verità dataci in compito e a vivere degnamente. Cyprian Norwid ha lasciato un'opera da cui emana la luce che permette di penetrare più profondamente nella verità del nostro essere uomini, cristiani, europei e polacchi.

3. La poesia di Norwid è nata dalla sua difficile vita. Si è formata alla luce di una profonda estetica della fede in Dio e nella nostra umanità in Dio. La fede nell'Amore che si rivela nella Bellezza che "entusiasma" al lavoro, apre la parola di Norwid al mistero dell'alleanza, che Dio stringe con l'uomo, affinché l'uomo possa vivere, come vive Dio. Il canto sulla bellezza dell'Amore e sul lavoro, Promethidion, indica l'atto stesso della creazione, nel quale Dio svela agli uomini il legame che unisce il lavoro all'amore (cfr Gn 1, 28); nell'amore laborioso l'uomo nasce e risorge. Il lettore deve maturare ad una parola che mira così lontano. Lo sapeva benissimo il poeta, quando disse:  "Il figlio - ignorerà, ma tu, nipote, ricorderai" (2).

4. La forza dell'autorità che Norwid riveste per i "nipoti", viene dalla croce. Con quanta eloquenza si svela la sua scientia crucis nelle parole:  "Non seguire te stesso con la croce del Salvatore, ma il Salvatore con la tua croce (...) Questo è finalmente il segreto di un movimento giusto" (3). La scientia crucis permetteva a Norwid di valutare gli uomini a seconda se sapevano soffrire insieme al Salvatore, che "è ed era e sarà la radice di ogni verità" (4). Le parole con le quali il nostro poeta parlò della grandezza del beato Pio IX, costituiscono una delle più belle testimonianze, che l'uomo possa rendere all'uomo:  "È un grande uomo del XIX secolo. Sa soffrire" (5). È significativo che, secondo Norwid, i crocifissi dovrebbero essere senza la figura del Cristo, potrebbero così indicare in modo più chiaro il luogo dove deve stare un cristiano. Soltanto coloro, infatti, nel cui intimo si svolge ogni giorno il dramma del Golgota, possono dire:  la Croce "per noi è divenuta la porta" (6).

5. Norwid non invidiava a nessuno le cose, né gli onori posseduti. La sua povertà in Dio splende nel finale di una delle sue poesie: 

"Per qualcun altro l'alloro e la speranza,
per me:  l'unico onore è quello di essere uomo" (7).

L'onore di essere uomo, difficilmente concepibile "sulla terra", è "più comprensibile in cielo" (8), e la via per esso passa proprio attraverso la porta della croce. Attraversandola l'uomo percepisce che la verità del suo essere uomo lo supera infinitamente. Da essa proviene la sua libertà. "Tutto prende vita dall'Ideale" (9). L'uomo cammina da pellegrino verso l'ideale, ma lo riceve in dono. "La verità si aspetta e insieme la si raggiunge" (10), perché "l'umanità è di Dio" (11). Da qui l'immensità del lavoro di fronte alla persona umana che, creata "ad immagine e somiglianza" di Dio, è chiamata a diventare simile a Dio, il che non è facile, poiché "la fatica è grande proprio perché è quotidiana" (12). Di questo sono capaci soltanto gli uomini sobri nelle "cose comuni", e sono così soltanto quando sono "entusiasmati" da ciò che è "eterno" (13). Soltanto essi non si prostreranno di fronte alle Circostanze, e non comanderanno alle Verità di "restare dietro la porta" (14). Sono essi, che lavorando per la verità, come si lavora per guadagnarsi il pane, formano la storia. Bruciano la terra con la coscienza (15), ed è la stessa "Verità, Veronica delle coscienze" (16) ad asciugare il sudore dalla loro "pallida fronte".

6. Norwid ricorda con insistenza che senza eroismo l'umanità "Umiliata in volto, in sé ripiegata" cessa di essere se stessa. "L'umanità priva della divinità tradisce se stessa" (17). L'insieme della società non sarà in grado di opporsi alla filosofia non-eroica dei nostri giorni che la sta devastando, se non vi saranno in essa delle persone che vivono l'interrogativo di Norwid: 

"Per essere nazionale - essere sovra-nazionale!
E per essere umano, per questo
Essere sovraumano... essere doppio e uno - perché?" (18).

L'uomo è sacerdote, ancora "inconscio ed immaturo" (19), il cui compito nella vita è sin dall'inizio gettare i ponti (ponti-fex) che uniscono l'uomo all'uomo, e tutti a Dio. Sono meschine le società dove scompare questo carattere sacerdotale della persona umana. Questo pensiero mi è stato sempre caro. Posso dire che in una certa misura esso forma la dimensione sociale del mio pontificato.

Con grande dolore diceva Norwid ai polacchi che non saranno mai dei buoni patrioti, se prima non lavoreranno a favore del proprio essere uomini. Per poter infatti risolvere "quel compito che è essere polacco" (20), bisogna non essere "cittadino della Polonia d'oggi (...) ma di quella un po' passata e molto futura" (21). La Patria, secondo Norwid, si trova in un Futuro senza limiti, così da poterla trovare ovunque, persino "ai confini dell'essere" (22). Chi lo dimentica, fa della Patria una setta, e alla fine entra nelle file di coloro che sono "grandi! - nelle cose private; in quelle pubbliche? - dei privati" (23). Questo è il principio del caos in ogni società.

L'ordine della nazione viene dal di fuori della nazione, in definitiva proviene da Dio, e perciò per coloro che amano la propria nazione in un modo così lungimirante, perché sacerdotale, non c'è il pericolo del nazionalismo. "La nazione è fatta non solo di quello che la distingue dalle altre, ma di quanto alle altre la unisce" (24). Conosciamo a memoria, ma lo conosciamo in pratica, nella nostra coscienza, il contenuto doloroso delle parole:  "Oggi il polacco è un gigante, ma l'uomo nel polacco è un nano (...). Il sole sorge sul polacco, ma chiude gli occhi sull'uomo" (25)? Quante questioni polacche potrebbero svolgersi diversamente, se i polacchi avessero ritrovato nella loro coscienza la verità proclamata da Norwid che "la patria è un impegno collettivo" che "per sua natura si compone di due:  di ciò che vincola la patria per l'uomo e di ciò che vincola l'uomo per la patria" (26).
Qui a Roma, nel cuore della Chiesa, di cui Norwid scrisse che è il più antico "cittadino nel mondo" (27), ripeto con commozione le parole attinte da Moja Ojczyzna

"Nessun popolo mi ha redento o creato;
Prima del secolo ricordo l'eternità;
La chiave di Davide la bocca mi ha forzato,
Chiamato uomo la romanità" (28).

7. Cyprian Norwid fu l'uomo della speranza. Grazie ad essa poté vivere degnamente su questa terra, indipendentemente dalle difficili condizioni, in cui si trovava. Attingeva la speranza con la preghiera da Dio, a cui si rivolgeva con parole potenti, come quelle che il Salvatore stesso ci ha insegnato: 

"Sia fatta la tua volontà, non come in terra
(Non come è più comodo... ma come è più degno)" (29).

La preghiera "formava" la vista del poeta in modo che egli indovinava le "cose di Dio sotto l'involucro di quelle terrene" (30). Pregando, guadagnava l'Amore nella fede profonda che la voce dell'uomo che si innalza al cielo insieme a quella di Cristo, viene sempre esaudita (31).

8. Vogliate, Signori, accettare alcuni pensieri di Norwid, che "non sono nuovi" (32), come espressione del mio omaggio per il lavoro del Poeta, ed anche della mia gratitudine verso di voi per la fatica intrapresa, affinché nel suo lavoro entrino i Polacchi. Che ognuno di essi "da chi lastrica la strada fino a Copernico" ponga in ciò che fa "il proprio accento originale" (33). Auguro a tutti i polacchi, e in modo particolare a coloro che amano l'opera di Cyprian Norwid, che, mediante il loro lavoro si compiano nella società le parole finali del Fortepian Szopena:  "Gemono i ciottoli sordi :  L'ideale tocca il selciato" (34).

Vi benedico di cuore, chiedendo allo stesso tempo a Colei che chiamiamo Mater admirabilis, e che Norwid cantava in modo così bello nella Legenda e in Litania, di accompagnarvi in questo lavoro che serve la Chiesa, l'Europa e la Polonia.


1) C. K. Norwid, Co to jest ojczyzna, in "Pisma wszystkie", VII, PIW 1971-1976, 50. 

2) Klaskaniem majac obrzekle prawice, II, 17.

3) Cfr Motto di Promethidion - Bogumil, III, 431.

4) Lettera a M. Trebicka, maggio 1854, VIII, 213.

5) Lettera a Jan Skrzynecki, maggio 1884, VIII, 63.

6) Dziecie i krzyz, II, 170.

7) Odpowiedz Jadwidze Luszczewskiej, I, 323.

8) Dumanie, I, I, 18.

9) W pracowni Guyskiego, II, 194.

10) Idee i prawda, II, 66.

11) Lettera a Józef Ignacy Kraszewski, maggio 1863, IX, 99.

12) Kleopatra i Cezar, V, 54.

13) Piec zarysów. III. Ruiny, III, 492-493.

14) LXIX. Poczatek broszury politycznej)..., II, 99.

15) Socjalizm, II, 19.

16) Czlowiek, I, 274.

17) Rzecz o wolnosci slowa, I, III, 564.

18) Rzecz o wolnosci slowa. II, III, 569.

19) Sfinks II, II, 33.

20) Juliusz Slowacki, Notatki in "Dziennik z lat 1847-1848", in "Dziela", XI, Ossolineum 1959, 292.

21) List do Konstancji Górskiej, luglio 1862, IX, 43.

22) Fortepian Szopena, II, 144-145.

23) Rozmowa umarlych. Byron, Rafael-Sanzio, I, 282.

24) Znicestwienie narodu, VII, 86.

25) List do Michaliny z Dziekonskich Zaleskiej, 14 novembre 1962, IX, 63-64.

26) Memorial mlodej emigracji, VII, 86.

27) Cfr Glos niedawno do wychodztwa polskiego przybylego artysty, VII, 7.

28) Moja ojczyzna, I, 336.

29) /Badz wola Twoja.../, I,150.

30) /O modlitwie/, VI, 618 e s.

31) Cfr Monolog, I, 79.

32) Sila ich, I, 172.

33) Do Spartakusa (o pracy), VI, 641.

34) Fortepian Szopena, III, 239.

                   



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