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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AL SACRO COLLEGIO NELLA FESTIVITÀ DI S. EUGENIO

Sabato, 1° giugno 1946

 

Ancora una volta la festa del santo Pontefice Eugenio I, figlio come Noi della Città eterna, Ci procura, Venerabili Fratelli, la gioia di trovarCi in mezzo a voi, nell’intima cerchia dei Nostri più diretti e assidui collaboratori.

Mentre il Nostro santo Patrono già da circa tredici secoli gode nella gloria del Signore la ricompensa delle sue virtù e delle sue opere, è di vivo conforto per Noi, che portiamo quaggiù il peso del supremo ministero Apostolico, il sentirCi assistiti e sorretti dal suo potente patrocinio; ma Ci riesce anche di grande sollievo, in mezzo a circostanze così dolorose e a così ardui doveri, il saperCi secondati dalla vostra infaticabile cooperazione e inalterabile fedeltà, delle quali il venerando vostro Decano, la cui vigorosa freschezza smentisce il numero degli anni, Ci ha dato una nuova testimonianza con la consueta sua nobiltà di forma e delicatezza di sentimento.

Instabilità e incertezze dell’ora presente. Il Nostro pensiero Ci riporta a un anno indietro. Su tutta la superficie dell’Europa erano state alfine deposte le armi; il turbine della guerra si era calmato; un senso di sollievo inondava tutti i cuori, che, dopo una così lunga e straziante angoscia, salutavano già l’avvento della pace; una pace, che, sebbene ancora insufficiente a colmare tutte le legittime speranze, bastasse almeno a creare sopportabili condizioni di vita.

Un anno è trascorso. Oggi si vede chiaramente che avevamo allora purtroppo ragione di lasciar trasparire dalle Nostre parole l’inquietudine del Nostro animo paterno, la trepidazione che oscurava la Nostra letizia: «Dalla tregua delle armi (dicevamo in questa stessa ricorrenza) alla pace vera e sincera il cammino sarà arduo e lungo, troppo lungo per le ansiose aspirazioni di una umanità affamata di ordine e di calma ».

Da quel tempo si sono moltiplicati gli sforzi, le discussioni, gli scambi di vedute, i contatti anche diretti fra gli Uomini di Stato, che hanno nelle loro mani i destini del mondo; ma si ha non di rado l’impressione che la pace vera, una pace la quale corrisponda alle esigenze e alle brame della coscienza umana e cristiana, piuttosto che avvicinarsi, si allontani, piuttosto che assodarsi e prendere consistenza in una realtà che ispiri fiducia, quasi si dilegui e svanisca.

Quanto più le carte si accumulano sulle tavole delle conferenze internazionali, tanto più crescono le difficoltà e gli ostacoli che si oppongono al conseguimento di soluzioni moralmente giustificabili.

Come prematura (per non dire illusoria) ci apparisce oggidì la speranza che tutti, senza eccezione, gli uomini responsabili, istruiti alla scuola sanguinosa della guerra, si mostrino veramente compresi da un supremo orrore contro ogni idea di dispotismo, contro ogni tentativo di dominazione su altri popoli imposta con la forza!

Nel retto ed equo contegno dei potenti verso i deboli si manifesta il sincero abbandono dello spirito di imperialismo e di dominio, la seria adesione ai princìpi della giustizia. Ma finché la più o meno velata minaccia del ricorso alla violenza o le pressioni politiche od economiche opprimono la voce del diritto, bisogna ben riconoscere che il primo passo certo e risoluto verso una giusta pace non è stato ancora fatto.

Come potremmo quindi meravigliarci, se la mancanza di sicurezza, lo stato di precarietà e di dubbio pesano gravemente sull’anima dei popoli? se un senso generale di malessere, di malcontento, di sfiducia, inquina l’aria, tarpa le ali ai nobili ardimenti, intorpidisce le buone volontà, soffoca lo spirito di generosità e di dedizione necessario per una reale restaurazione? se, turbando le relazioni internazionali, come le condizioni interne dei popoli, quella stessa instabilità e incertezza avvelenano le lotte dei partiti e i conflitti d’interessi, ne aumentano l’asprezza, esasperano le passioni, fino a preparare e provocare in un oscuro domani la loro violenta esplosione?

L’ardua opera della Chiesa. L’ufficio, sempre grave, spettante alla Chiesa d’inculcare a tutti la coscienziosità, la rettitudine, la moderazione, il rispetto della verità e del diritto, è più che mai arduo e ingrato in tempi di agitazione e di crisi, ma è per ciò stesso anche doppiamente importante ed urgente.

Quando infatti sale minaccioso, come un maremoto, il flutto delle competizioni e delle rivalità terrene; quando nel calore della lotta l’effimera comunanza dettata unicamente dagli interessi economici e politici rischia di far perdere il senso della vera fraternità cristiana; quando le forze del sovvertimento e dell’ateismo si adoperano a condurre, come gregge insensato, le masse illuse, nascondendo loro sotto false sembianze il termine a cui esse le menano, particolarmente nel campo morale e religioso; è tanto più necessario che dall’alto faro della Chiesa s’irradi potente la luce di Cristo, per illuminare il cammino e indicare nettamente i limiti, al di là dei quali, a destra e a sinistra, gli scogli e i vortici sono in agguato per fendere e inghiottire la nave.

Senza dubbio, le amare esperienze della guerra, le delusioni del dopoguerra, le previsioni di un avvenire così povero di speranze mettono la Chiesa, nello svolgimento dell’opera sua, dinanzi a moltitudini sempre crescenti di uomini, a cui la miseria ha esaurito le forze, sminuito il vigore, fiaccato le energie di una volta.

Esortazioni alla fiducia e al coraggio. Non è questa però una ragione per lasciarsi sgomentare ed abbattere, o per perdere la veduta complessiva dell’intera realtà. Perciò Noi non Ci stancheremo di ripetere ai Nostri figli e figlie, e a quanti nutrono sentimenti simili ai loro: Abbiate fiducia. Non cadete di animo. Voi siete numerosi, più numerosi di quel che le apparenze sembrerebbero indicare, mentre altri con le loro bravate e le loro imposizioni cercano di ingrandire fallacemente l’efficienza delle loro schiere. Voi siete forti, più forti dei vostri avversari, perché le vostre intime convinzioni — e queste valgono soprattutto — sono vere, sincere, solide, fondate sui princìpî eterni, e non su falsi concetti, su erronee costruzioni, su massime ingannevoli, su impressioni od opportunità del momento. Dio è con voi!

Con profonda umiltà, ma al tempo stesso con la più viva riconoscenza verso Dio, Noi possiamo ben parlare della protezione con cui il Signore non ha cessato di difendere la sua Chiesa per sostenere vittoriosamente le raffiche degli ultimi anni, particolarmente del tempo di guerra, su tutta la superficie del globo. Noi abbiamo sotto gli occhi i rapporti che Ci giungono dal mondo intero, e ad onta di tutte le contraddizioni, e nonostante i mancamenti che han potuto manifestarsi, Ci è permesso di affermare: La Chiesa in tutto il suo complesso sta unita e salda così interiormente come esteriormente. Dovunque — o a cagione di coscienti e sistematiche persecuzioni, o per effetto delle brutali distruzioni della guerra — si è trovata priva di ogni appoggio visibile o spogliata dei suoi legittimi beni, essa ha veduto stringersi sempre più intima l’unione dei fedeli, accendersi di un ardore sempre più vivo il loro zelo. E, se non dappertutto, almeno nella maggior parte dei casi, è uscita dalla tormenta col vigore di una rinnovellata giovinezza. Si direbbe che, alla luce dei terribili avvenimenti degli scorsi anni, che evocavano allo spirito l’immagine dell’ultimo giudizio, i figli della Chiesa — non meno nei Paesi di missione che nelle antiche regioni cattoliche — abbiano quasi sensibilmente sperimentato la verità della loro fede, il valore imprescrittibile del pensiero cristiano. Quanto alle opere di carità, al coraggio e all’eroismo fino all’effusione del sangue per la fede, non esitiamo a dichiarare che la Chiesa di oggi può ben sostenere il paragone col passato.

È perciò un punto di capitale importanza, nell’ora presente, che i cattolici e quanti riconoscono e adorano un Dio personale e osservano il suo Decalogo, non si lascino per nulla al mondo intimorire, ma abbiano coscienza della propria forza.

La Chiesa assertrice e tutrice della vera libertà. Siamo dunque consapevoli di quanto essi, ed essi soltanto, possono realmente ed efficacemente contribuire all’opera di ricostruzione, persuasi ad un tempo che questa giammai non sarà per venire a felice compimento, se non si fonderà sul diritto, sull’ordine e sulla libertà. Sulla libertà, vogliamo dire, di tendere a ciò che è vero e buono, una libertà la quale sia in armonia col benessere di ogni popolo in particolare e di tutta la grande famiglia dei popoli. Di questa libertà la Chiesa è stata sempre assertrice, tutrice e vindice.

Ecco, già più di sessant’anni or sono, il Nostro grande Predecessore Leone XIII invocava la testimonianza della storia per mostrare la Chiesa incessantemente sollecita nel proteggere i popoli contro il dispotismo di prìncipi non curanti del bene comune, nel difendere i municipî e le famiglie contro le ingiuste intromissioni dello Stato, nel sostenere la dignità della persona umana e i diritti dei singoli cittadini [1].

Non hanno forse gli ultimi decenni dato a queste asserzioni una nuova e convincente conferma?

Considerazioni sulla giornata di domani. Domani stesso i cittadini di due grandi nazioni accorreranno in folle compatte alle urne elettorali. Di che cosa in fondo si tratta? Si tratta di sapere se l’una e l’altra di queste due nazioni, di queste due sorelle latine, di ultramillenaria civiltà cristiana, continueranno ad appoggiarsi sulla salda rocca del cristianesimo, sul riconoscimento di un Dio personale, sulla credenza nella dignità spirituale e nell’eterno destino dell’uomo, o se invece vorranno rimettere le sorti del loro avvenire all’impassibile onnipotenza di uno Stato materialista, senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio.

Di questi due casi si avvererà l’uno o l’altro, secondo che dalle urne usciranno vittoriosi i nomi dei campioni ovvero dei distruttori della civiltà cristiana. La risposta è nelle mani degli elettori; essi ne portano l’augusta, ma pur quanto grave responsabilità!

Da una parte, infatti, è lo spirito di dominazione, l’assolutismo di Stato che pretende di tenere nelle sue mani tutte le « leve di comando » della macchina politica, sociale, economica, di cui gli uomini, queste creature viventi, fatte ad immagine di Dio e partecipi per adozione della vita stessa di Dio, non sarebbero che ruote inanimate. Da parte sua, invece, la Chiesa si erge serena e calma, ma risoluta e pronta a respingere ogni attacco. Essa, madre buona, tenera e caritatevole, non cerca, no! la lotta; ma appunto, perché madre, è più ferma, indomita, irremovibile, con le sole forze morali del suo amore, che non tutte le forze materiali, quando si tratta di difendere la dignità, l’integrità, la vita, la libertà, l’onore, la salute eterna dei suoi figli.

Per i prigionieri e gli espatriati. Ed ora, Venerabili Fratelli, dopo di aver gustato con voi la intimità di questa ricorrenza festiva, come potremmo lasciarvi senza rivolgere il Nostro pensiero a tanti e tanti altri Nostri figli, che la guerra e il dopoguerra privano già da lunghi anni di ogni gioia familiare? A loro i giorni di festa, gli anniversari domestici fanno sentire, anche più dolorosamente che negli altri dì, l’amarezza dell’esilio. Intendiamo parlare dei prigionieri di guerra e internati civili; poi di coloro che, dopo di essere stati spogliati, talvolta fino all’ultimo centesimo, dei loro risparmi, sono stati scacciati dalla casa e dalla terra nativa; e di quelli infine, soli o in gruppi randagi, a cui non basta l’animo di far ritorno. alle loro antiche dimore (in verità, nelle circostanze presenti, non più tali per loro), e che cercano ansiosamente di crearsi altrove un nuovo focolare.

Noi abbiamo già anche recentemente parlato di loro nel Nostro ultimo Messaggio natalizio e nel discorso al Corpo diplomatico riunito intorno a Noi nel passato febbraio. Ben volentieri certamente riconosciamo che, nei mesi testé trascorsi, importanti contingenti di prigionieri di guerra sono stati rimpatriati. Se dunque oggi nuovamente discorriamo di queste centinaia di migliaia di uomini, trattenuti ancora in prigionia, e degli infelici senza patria né tetto, è perché Ci sentiamo a ciò spinti dalle innumerevoli suppliche che implorano il Nostro intervento e perché un tale stato di cose richiede imperiosamente un soccorso urgente ed efficace.

Per i prigionieri di guerra quelle molteplici e pressanti invocazioni Ci pervengono da ogni classe sociale. Sono madri che anelano di riavere il figlio lontano; sono spose che non possono più oltre sostenere il peso delle necessità familiari gravante sulle loro deboli e ormai consunte forze; sono figli che invano attendono il confortante sorriso e il valido aiuto del padre, che li formi e li prepari alle aspre esigenze della vita. Comunità di cittadini e autorità pubbliche domandano il ritorno della gioventù, che è la forza migliore per poter iniziare e sviluppare quell’opera di ricostruzione dei propri Paesi, alla quale è connessa la generale restaurazione della società delle genti.

Fra quei prigionieri alcuni, giovanissimi, arrolati in massa immediatamente prima della fine della guerra, si son visti, senza aver mai maneggiato un fucile, gettati in un campo di concentramento. Degli altri, ancora assai numerosi, non pochi, da ben sette anni lontani dal loro paese, ne hanno passati forse già cinque o sei languendo in cattività o trascinando miseramente la vita nelle squadre di lavoro. Noi non ignoriamo che i freddi testi del diritto internazionale non obbligano il vincitore a liberare i prigionieri che dopo la conclusione della pace. Ma i bisogni spirituali e morali dei prigionieri stessi e dei loro congiunti, che si vanno aggravando di giorno in giorno, i diritti sacri del matrimonio e della famiglia, gridano al cielo più altamente e fortemente che tutti i testi giuridici, ed esigono che si ponga alfine un termine al regime dei campi di prigionia e di concentramento. Che se l’uno o l’altro degli Stati vincitori, per motivi di ordine economico, stimasse di non poter rinunziare alle braccia di quei lavoratori, sarebbe ben da considerarsi se un tale vantaggio non verrebbe egualmente o anche meglio assicurato, sostituendoli con uomini liberi del paese stesso dei prigionieri a condizioni giuste e umane di disciplina e di lavoro.

Non Ci è nemmeno ignota un’altra difficoltà più volte addotta per giustificare i dolorosi indugi dei ritorni in patria, vale a dire la scarsezza di naviglio e le impellenti necessità di altri trasporti; non possiamo tuttavia non auspicare che la pietà umana e la saggezza civile, per cui i rimpatri devono a tutti stare a cuore, abbiano a primeggiare sopra altri calcoli ed interessi, anche legittimi, e sappiano suggerire gli opportuni espedienti per combinare la restituzione dei prigionieri, dislocati oltremare, ai loro focolari con le esigenze dei traffici postbellici.

Quanto poi alle altre due categorie di espatriati o altrimenti costretti a dimorare lungi dalla loro terra, talvolta in regioni che hanno già una popolazione superiore a quella che in tempi normali la loro agricoltura e la loro industria potrebbero nutrire, sarebbe necessario provvedere alla collocazione di quegli infelici nei paesi d’oltremare, e Noi abbiamo ferma fiducia che gli Stati e i continenti capaci di accoglierli non mancheranno di aprir loro le porte e di compiere così un’opera di tanto alta e cristiana carità.

Per la festa del Cuore di Gesù. Oggi, in questo primo giorno del mese dedicato in modo speciale alla devozione del Cuore sacratissimo di Gesù, Noi proviamo, anche più sensibilmente che d’ordinario, un immenso dolore nel mirare la società umana più che mai allontanatasi da Cristo, e al tempo stesso una indicibile compassione allo spettacolo delle calamità senza precedenti, con cui essa è afflitta a cagione della sua apostasia. Perciò Ci sentiamo mossi ad elevare di nuovo la Nostra voce per ricordare ai Nostri figli e alle Nostre figlie del mondo cattolico l’ammonimento che il Salvatore divino non ha cessato di inculcare attraverso i secoli nelle sue rivelazioni ad anime privilegiate che si è degnato di scegliere per sue messaggiere: Disarmate la giustizia punitrice del Signore con una crociata di espiazione nel mondo intero; opponete alla schiera di coloro, che bestemmiano il nome di Dio e trasgrediscono la sua legge, una lega mondiale di tutti quelli che Gli rendono l’onore dovuto e offrono alla sua Maestà offesa il tributo di omaggio, di sacrificio e di riparazione, che tanti altri Gli negano.

È dunque Nostro ardente desiderio, Nostra espressa intenzione che il mese, che oggi si inizia e che quest’anno volgerà al suo termine nella celebrazione della solenne festività del Sacro Cuore di Gesù, ne sia tutto intero una devota e fervorosa preparazione, soprattutto dando pratica esecuzione, con atti di pietà, di carità e di penitenza, a quella grande opera di espiazione e di riparazione. Noi confidiamo nello zelo dei Nostri Venerabili Fratelli nell’episcopato, dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, dei membri dell’Azione cattolica, specialmente della gioventù, per far scaturire dai cuori dei fedeli figli della Chiesa universale il Confiteor della umiltà, del pentimento, del fiducioso ricorso alla misericordia divina, con tanta sincerità, con tanto ardore, con tanta intensità di spirito, da forzare, per così dire, Colui che «multus est ad ignoscendum »[2], che « è largo nel perdonare », ad adempire a favore del popolo della nuova Alleanza la promessa fatta già per bocca del Profeta al popolo d’Israele: « Revertere, aversatrix Israel, ait Dominus, et non avertam faciem meam a vobis, quia sanctus ego sum, dicit Dominus, et non irascar in perpetuum » [3]: « Ritorna, o ribelle Israele, e io non volgerò più contro di voi la mia faccia, perché io sono santo, e non sarò adirato per sempre ».

Con l’intima speranza che questa confessione e professione del mondo intero, presentata al Padre celeste dal Cuore di Gesù, che è « propitiatio pro peccatis nostris », « pax et reconciliatio nostra » [4], ne placheranno la giustizia e attireranno su tutta la umana famiglia la larghezza delle sue grazie, impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, a quanti sono vostri nel Signore, a tutti coloro che sono con voi in comunione di pensiero e di sentimento, la Nostra Apostolica Benedizione.


[1] Cf. Enc. Immortale Dei, 19 novembris 1885: Leonis XIII Acta, vol. V, pag. 142.

[2]Is., 55, 7.

[3] Ier., 3, 12.

[4] Litaniae de sacratissimo Corde Iesu.

 



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