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RIUNIONE PRE-SINODALE DEI GIOVANI AL
PONTIFICIO COLLEGIO INTERNAZIONALE "MARIA MATER ECCLESIAE"

INCONTRO PRE-SINODALE
DEL SANTO PADRE FRANCESCO CON I GIOVANI

Lunedì, 19 marzo 2018

[Multimedia]


 

Parole del Santo Padre prima della preghiera

Discorso del Santo Padre

Domande dei giovani e risposte del Santo Padre


 

PAROLE DEL SANTO PADRE PRIMA DELLA PREGHIERA

Adesso, ognuno nella propria fede, nel proprio dubbio, in quello che ha nell’anima, pensi a Dio, pensi al bisogno di Dio, pensi al dubbio che ha (se Dio c’è…), pensi alla propria coscienza e chieda la benedizione e la bontà su tutti noi. Amen.


 

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari giovani, buongiorno!

Saluto tutti i 15340! Speriamo che domani siano di più in questo nostro interloquire per fare uscire quello che ognuno di voi e di noi abbiamo nel cuore. Parlare con coraggio. Senza vergogna, no. Qui la vergogna si lascia dietro la porta. Si parla con coraggio: quello che sento lo dico e se qualcuno si sente offeso, chiedo perdono e vado avanti. Voi sapete parlare così. Ma bisogna ascoltare con umiltà. Se parla quello che non mi piace, devo ascoltarlo di più, perché ognuno ha il diritto di essere ascoltato, come ognuno ha il diritto di parlare.

Grazie per aver accettato l’invito di venire qui. Alcuni di voi hanno dovuto fare un lungo viaggio. Altri, invece di andare a dormire – perché è ora di andare a dormire da loro – sono collegati con voi. Faranno la notte ascoltando. Venite da tante parti del mondo e portate con voi una grande varietà di popoli, culture e anche religioni: non siete tutti cattolici e cristiani, nemmeno tutti credenti, ma siete certamente tutti animati dal desiderio di dare il meglio di voi. E io non ho dubbi su questo. Saluto anche quelli che si collegheranno, e che lo già hanno fatto: grazie del vostro contributo!

Voglio ringraziare in modo speciale la Segreteria del Sinodo, il Cardinale Segretario, l’Arcivescovo Segretario e tutti, tutti quelli che lavorano nella Segreteria del Sinodo. Hanno lavorato fortemente per questo e hanno avuto una capacità di inventare cose e creatività molto grandi. Grazie tante, Cardinale Baldisseri, e a tutti i vostri collaboratori.

Siete invitati perché il vostro apporto è indispensabile. Abbiamo bisogno di voi per preparare il Sinodo che a ottobre riunirà i Vescovi sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. In tanti momenti della storia della Chiesa, così come in numerosi episodi biblici, Dio ha voluto parlare per mezzo dei più giovani: penso, ad esempio, a Samuele, a Davide e a Daniele. A me piace tanto la storia di Samuele, quando sente la voce di Dio. La Bibbia dice: “In quel tempo non c’era l’abitudine di sentire la voce di Dio. Era un popolo disorientato”. È stato un giovane ad aprire quella porta. Nei momenti difficili, il Signore fa andare avanti la storia con i giovani. Dicono la verità, non hanno vergogna. Non dico che sono “svergognati” ma non hanno vergogna e dicono la verità. E Davide da giovane incomincia con quel coraggio. Anche con i suoi peccati. Perché è interessante, tutti questi non sono nati santi, non sono nati giusti, modelli degli altri. Sono tutti uomini e donne peccatori e peccatrici, ma che hanno sentito il desiderio di fare qualcosa di buono, Dio li ha spinti e sono andati avanti. E questo è bellissimo. Noi possiamo pensare: “Queste cose sono per le persone giuste, per i preti e per le suore”. No, è per tutti. E voi giovani di più, perché avete tanta forza per dire le cose, per sentire le cose, per ridere, anche per piangere. Noi adulti tante volte, tante volte, abbiamo dimenticato la capacità di piangere, ci siamo abituati: “Il mondo è così… che si arrangino”. E andiamo avanti. Per questo vi esorto, per favore: siate coraggiosi in questi giorni, dite tutto quello che vi viene; e se sbagli, un altro ti correggerà. Ma avanti, con coraggio!

1. Troppo spesso si parla di giovani senza lasciarci interpellare da loro. Quando qualcuno vuole fare una campagna o qualcosa, ah, lode ai giovani!, non è così?, ma non permette che i giovani li interpellino. Lodare è un modo di accontentare la gente. Ma la gente non è sciocca o stupida. No, non lo è. La gente capisce. Soltanto gli scemi non capiscono. In spagnolo c’è un motto bellissimo che dice: “Loda lo scemo e lo vedrai lavorare”. Dare la pacca sulla spalla e lui sarà contento, perché è scemo, non se ne accorge. Ma voi non siete scemi! Anche le migliori analisi sul mondo giovanile, pur essendo utili – sono utili –, non sostituiscono la necessità dell’incontro faccia a faccia. Parlano della gioventù d’oggi. Cercate per curiosità in quanti articoli, quante conferenze si parla della gioventù di oggi. Vorrei dirvi una cosa: la gioventù non esiste! Esistono i giovani, storie, volti, sguardi, illusioni. Esistono i giovani. Parlare della gioventù è facile. Si fanno delle astrazioni, percentuali… No. La tua faccia, il tuo cuore, cosa dice? Interloquire, sentire i giovani. A volte, evidentemente, voi non siete, i giovani non sono il premio Nobel per la prudenza. No. A volte parlano “con lo schiaffo”. La vita è così, ma bisogna ascoltarli.

Qualcuno pensa che sarebbe più facile tenervi “a distanza di sicurezza”, così da non farsi provocare da voi. Ma non basta scambiarsi qualche messaggino o condividere foto simpatiche. I giovani vanno presi sul serio! Mi sembra che siamo circondati da una cultura che, se da una parte idolatra la giovinezza cercando di non farla passare mai, dall’altra esclude tanti giovani dall’essere protagonisti. È la filosofia del trucco. Le persone crescono e cercano di truccarsi per sembrare più giovani, ma i giovani non li lascia crescere. Questo è molto comune. Perché? Perché non si lascia che vengano interpellati. È importante. Spesso siete emarginati dalla vita pubblica ordinaria e vi trovate a mendicare occupazioni che non vi garantiscono un domani. Non so se questo succede in tutti i vostri Paesi, ma in tanti… Se non sbaglio il tasso di disoccupazione giovanile qui in Italia dai 25 anni in su è verso il 35%. In un altro Paese d’Europa, confinante con l’Italia, 47%. In un altro Paese d’Europa vicino all’Italia, più del 50%. Cosa fa un giovane che non trova lavoro? Si ammala – la depressione –, cade nelle dipendenze, si suicida – fa pensare: le statistiche di suicidio giovanile sono tutte truccate, tutte –, fa il ribelle – ma è un modo di suicidarsi – o prende l’aereo e va in una città che non voglio nominare e si arruola nell’Isis o in uno di questi movimenti guerriglieri. Almeno ha un senso da vivere e avrà uno stipendio mensile. E questo è un peccato sociale! La società è responsabile di questo. Ma io vorrei che foste voi a dire le cause, i perché, e non dire: “Neanch’io so bene il perché”. Come vivete voi questo dramma? Ci aiuterebbe tanto. Troppo spesso siete lasciati soli. Ma la verità è anche il fatto che voi siete costruttori di cultura, con il vostro stile e la vostra originalità. È un allontanamento relativo, perché voi siete capaci di costruire una cultura che forse non si vede, ma va avanti. Questo è uno spazio che noi vogliamo per sentire la vostra cultura, quella che voi state costruendo.

Nella Chiesa – sono convinto – non dev’essere così: chiudere la porta, non sentire. Il Vangelo ce lo chiede: il suo messaggio di prossimità invita a incontrarci e confrontarci, ad accoglierci e amarci sul serio, a camminare insieme e condividere senza paura. E questa Riunione pre-sinodale vuol essere segno di qualcosa di grande: la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso. E questo non per fare politica. Non per un’artificiale “giovano-filia”, no, ma perché abbiamo bisogno di capire meglio quello che Dio e la storia ci stanno chiedendo. Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio.

2. Il prossimo Sinodo si propone in particolare di sviluppare le condizioni perché i giovani siano accompagnati con passione e competenza nel discernimento vocazionale, cioè nel «riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza» (Documento preparatorio, Introduzione). Tutti noi abbiamo questa chiamata. Voi, nella fase iniziale, siete giovani. Questa è la certezza di fondo: Dio ama ciascuno e a ciascuno rivolge personalmente una chiamata. È un dono che, quando lo si scopre, riempie di gioia (cfr Mt 13,44-46). Siatene certi: Dio ha fiducia in voi, vi ama e vi chiama. E da parte sua non verrà meno, perché è fedele e crede davvero in voi. Dio è fedele. Per i credenti dico: “Dio è fedele”. Vi rivolge la domanda che un giorno fece ai primi discepoli: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Anch’io, in questo momento, vi rivolgo la domanda, a ognuno di voi: “Cosa cerchi? Tu, cosa cerchi nella tua vita?”. Dillo, ci farà bene ascoltarlo. Dillo. Di questo abbiamo bisogno: di sentire il vostro cammino nella vita. Cosa cerchi? Vi invita a condividere la ricerca della vita con Lui, a camminare insieme. E noi, desideriamo fare lo stesso, perché non possiamo che condividere con entusiasmo la ricerca della vera gioia di ciascuno; e non possiamo tenere solo per noi Chi ci ha cambiato la vita: Gesù. I vostri coetanei e i vostri amici, anche senza saperlo, aspettano anche loro una chiamata di salvezza.

3. Il prossimo Sinodo sarà anche un appello rivolto alla Chiesa, perché riscopra un rinnovato dinamismo giovanile. Ho potuto leggere alcune e-mail del questionario messo in rete dalla Segreteria del Sinodo e mi ha colpito l’appello lanciato da diversi giovani, che chiedono agli adulti di stare loro vicini e di aiutarli nelle scelte importanti. Una ragazza ha osservato che ai giovani mancano punti di riferimento e che nessuno li sprona ad attivare le risorse che hanno. Poi, accanto agli aspetti positivi del mondo giovanile, ha sottolineato i pericoli, tra cui l’alcool, la droga, una sessualità vissuta in maniera consumistica. Sono dipendenze, no? E ha concluso quasi con un grido: «Aiutate il nostro mondo giovanile che va sempre più a rotoli». Non so se il mondo giovanile vada sempre più a rotoli, non so. Ma sento che il grido di questa ragazza è sincero e richiede attenzione. Sta a voi rispondere a questa ragazza, colloquiare con questa ragazza. È una di voi e bisogna vedere questo “schiaffino” che ci dà, dove ci porta. Anche nella Chiesa dobbiamo imparare nuove modalità di presenza e di vicinanza. È molto importante. Mi viene in mente quando Mosè vuole dire al Popolo di Dio qual è il nocciolo dell’amore di Dio. E dice: “Pensate: quale popolo ha avuto un Dio così vicino?”. L’amore è vicinanza. E loro, i giovani di oggi chiedono alla Chiesa vicinanza. Voi cristiani, voi che credete nella vicinanza di Cristo, voi cattolici, siate vicini, non lontani. E voi sapete bene che ce ne sono tante, tante modalità di allontanarsi, tante. Educate tutti, con guanti bianchi, ma prendere distanza per non sporcarsi le mani. I giovani, oggi, ci chiedono vicinanza: ai cattolici, ai cristiani, ai credenti e ai non credenti. A tutti. E a questo proposito, un giovane ha raccontato con entusiasmo la sua partecipazione ad alcuni incontri con queste parole. Così dice: «La cosa più importante è stata la presenza di religiosi in mezzo a noi giovani come amici che ci ascoltano, ci conoscono e ci consigliano». Uomini e donne consacrati che sono vicini. Ascoltano, conoscono e a chi chiede consiglio, consigliano. Io conosco alcuni di voi che fanno questo.

Mi viene in mente lo splendido Messaggio ai giovani del Concilio Vaticano II. È anche oggi uno stimolo a lottare contro ogni egoismo e a costruire con coraggio un mondo migliore. È un invito a cercare nuovi cammini e a percorrerli con audacia e fiducia, tenendo fisso lo sguardo su Gesù e aprendosi allo Spirito Santo, per ringiovanire il volto stesso della Chiesa. Perché è in Gesù e nello Spirito che la Chiesa trova la forza di rinnovarsi sempre, compiendo una revisione di vita sul suo modo di essere, chiedendo perdono per le sue fragilità e inadeguatezze, non risparmiando le energie per mettersi al servizio di tutti, col solo intento di essere fedele alla missione che il Signore le ha affidato: vivere e annunciare il Vangelo.

4. Cari giovani, il cuore della Chiesa è giovane proprio perché il Vangelo è come una linfa vitale che la rigenera continuamente. Sta a noi essere docili e cooperare a questa fecondità. E tutti voi potete collaborare a questa fecondità: che siate cristiani cattolici, o di altre religioni, o non credenti. Vi chiediamo di collaborare alla fecondità nostra, a dare vita. Lo facciamo anche in questo cammino sinodale, pensando alla realtà dei giovani di tutto il mondo. Abbiamo bisogno di riappropriarci dell’entusiasmo della fede e del gusto della ricerca. Abbiamo bisogno di ritrovare nel Signore la forza di risollevarci dai fallimenti, di andare avanti, di rafforzare la fiducia nel futuro. E abbiamo bisogno di osare sentieri nuovi. Non spaventatevi: osare sentieri nuovi, anche se ciò comporta dei rischi. Un uomo, una donna che non rischia, non matura. Un’istituzione che fa scelte per non rischiare rimane bambina, non cresce. Rischiate, accompagnati dalla prudenza, dal consiglio, ma andate avanti. Senza rischiare, sapete cosa succede a un giovane? Invecchia! Va in pensione a 20 anni! Un giovane invecchia e anche la Chiesa invecchia. Lo dico con dolore. Quante volte io trovo comunità cristiane, anche di giovani, ma vecchie. Sono invecchiate perché avevano paura. Paura di che? Di uscire, di uscire verso le periferie esistenziali della vita, di andare là dove si gioca il futuro. Una cosa è la prudenza, che è una virtù, ma un’altra è la paura. Abbiamo bisogno di voi giovani, pietre vive di una Chiesa dal volto giovane, ma non truccato, come ho detto: non ringiovanito artificialmente, ma ravvivato da dentro. E voi ci provocate a uscire dalla logica del “ma si è sempre fatto così”. E quella logica, per favore, è un veleno. E’ un veleno dolce, perché ti tranquillizza l’anima e ti lascia come anestetizzato e non ti lascia camminare. Uscire dalla logica del “sempre è stato fatto così”, per restare in modo creativo nel solco dell’autentica Tradizione cristiana, ma creativo. Io, ai cristiani, raccomando di leggere il Libro degli Atti degli Apostoli: la creatività di quegli uomini. Quegli uomini sapevano andare avanti con una creatività che se noi facciamo la traduzione a quello che significa oggi, ci spaventa! Voi create una cultura nuova, ma state attenti: questa cultura non può essere “sradicata”. Un passo avanti, ma guarda le radici! Non tornare alle radici, perché finirai sotterrato: fai un passo avanti, ma sempre con le radici. E le radici – questo, perdonatemi, lo porto nel cuore – sono i vecchi, sono i bravi vecchi. Le radici sono i nonni. Le radici sono quelli che hanno vissuto la vita e che questa cultura dello scarto li scarta, non servono, li manda fuori. I vecchi hanno questo carisma di portare le radici. Parlate con i vecchi. “Ma cosa dirò?”. Prova! Ricordo a Buenos Aires, una volta, parlando con i giovani, ho detto: “Perché non andate in una casa di riposo a suonare la chitarra agli anziani che sono lì?” – “Ma, Padre…” – “Andate, un’oretta soltanto”. [Rimasero] più di due ore! Non volevano uscire, perché i vecchi che erano così [un po’ addormentati], hanno sentito la chitarra e si sono svegliati, svegliati, svegliati e hanno incominciato [a parlare], e i giovani hanno sentito cose che li toccavano dentro. Hanno preso questa saggezza e sono andati avanti. Questo il Profeta Gioele lo dice tanto bene, tanto bene. Al capitolo terzo. Per me questa è la profezia di oggi: “I vecchi sogneranno, e i giovani profetizzeranno”. Noi abbiamo bisogno di giovani profeti, ma state attenti: mai sarete profeti se non prendete i sogni dei vecchi. Di più: se non andate a far sognare un vecchio che sta lì annoiato, perché nessuno lo ascolta. Fate sognare i vecchi e questi sogni vi aiuteranno ad andare avanti. Gioele 3,1. Leggi questo, ti farà bene. Lasciatevi interpellare da loro.

Per sintonizzarci sulla lunghezza d’onda delle giovani generazioni è di grande aiuto un dialogo serrato. Vi invito allora, in questa settimana, a esprimervi con franchezza e in tutta libertà, l’ho detto e lo ripeto. Con “faccia tosta”. Siete i protagonisti ed è importante che parliate apertamente. “Ma ho vergogna, mi sentirà il cardinale…”. Che senta, è abituato. Vi assicuro che il vostro contributo sarà preso sul serio. Già da ora vi dico grazie; e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. E quelli che non possono pregare, perché non sanno pregare, almeno mi pensino bene. Grazie.


 

DOMANDE DEI GIOVANI E RISPOSTE DEL SANTO PADRE

 

Domanda n. 1

Blessing OKOEDION – giovane vittima di tratta della Nigeria

Mi chiamo Blessing Okoedion e sono nigeriana. Quattro anni fa sono arrivata in Italia coinvolta con inganno nella tratta degli esseri umani. Un’esperienza drammatica, di totale annullamento delle mia dignità. Ma con la fede in un “Dio che non dorme” ho trovato il coraggio di denunciare e di uscire da quell’inferno. In una comunità di suore, ho ritrovato la mia resurrezione. Ma è proprio per questa libertà conquistata che sento forte e faccio mio il grido di aiuto e di liberazione di tante giovani donne mie sorelle, ancora oggi umiliate e schiavizzate sulle nostre strade e mi chiedo: come aiutare i giovani a prendere consapevolezza di questo “crimine contro l’umanità”, come Tu Papa Francesco l’hai definito? Come aiutarli a restare umani e contrastare e vincere una mentalità malata che riduce la donna a schiava, a proprietà dell’uomo, a merce o per profitto o per proprio piacere egoistico? Cara Papa Francesco, quello che più mi inquieta è proprio la domanda, i troppi clienti e molti di questi, come è stato detto, sono cattolici. Mi chiedo e ti chiedo, ma la Chiesa, ancora troppo maschilista, è in grado di interrogarsi con verità su questa alta domanda dei clienti? Può essere credibile nel proporre ai giovani cammini di relazione tra uomo e donna libere e liberanti?

[Sig.ra Blessing OKOEDION, giovane vittima di tratta. Ha raccontato la sua storia nel libro “Il coraggio della libertà”, Ed. Paoline (Nigeria)]

Papa Francesco:

La domanda è senza anestesia, ma è la realtà, è la realtà. Sono stato l’anno scorso a visitare una delle case delle ragazze che sono state liberate da questa schiavitù: è da non credere. Una è stata rapita in Moldavia e portata in macchina, dietro, dove vanno i bagagli, legata, tutta una notte, fino a Roma, minacciata, se fosse scappata, di uccidere i genitori. Poi, quelli che resistono – lo abbiamo sentito nel primo intervento sull’Africa – ci sono i giorni di ammorbidimento – in spagnolo diciamo el ablande: ti picchiano, torturano, e alla fine vincono. Poi – questo mi raccontavano le ragazze – poi incominciano il lavoro e in quel momento, per difendersi, fanno quello che io chiamo – non so se scientificamente sia così, ma io lo chiamo – una schizofrenia difensiva: isolano il cuore, isolano la mente e soltanto dicono: “Questo è il mio lavoro”, ma non si coinvolgono, per salvare quello che possono della loro dignità interna, ma la dignità esterna e sociale è a terra. E così si difendono. Ma senza alcuna speranza. Alcune sono riuscite a fuggire, ma la mafia di questa gente, le cordate tra loro, le perseguitano; le trovano e alcune volte si vendicano. Quelle che vengono, per esempio, dall’Africa e da un Paese dell’Europa – almeno questo è quello che so – vengono ingannate per un lavoro, non solo rapite, ma alcune ingannate: [promettono] un lavoro di hostess o di aiutante in aerei, e qui subito sono infilate in questa vita. Ma quando si liberano, non hanno il coraggio di tornare a casa, perché c’è la dignità della famiglia, e non hanno il coraggio di dire la verità, non possono. Ma non perché siano codarde, perché amano tanto la famiglia che questo impedisce che i loro genitori, i loro fratelli e sorelle siano sporcati da questa storia. E non possono tornare. E rimangono girando come possono, trovando un altro lavoro… Una delle ragazze ha detto che quando due volte non ha portato la somma che doveva portare quel giorno, le hanno tagliato l’orecchio; altri rompono loro le dita, e queste cose, torture, se non fanno questo. Questa è una schiavitù di oggi. E credo che qui in Italia, parlando dei clienti, credo – faccio un calcolo senza fondamento, ma credo che sia verosimile – il 90% sono battezzati cioè, come diceva lei, cattolici. Io penso allo schifo che devono sentire queste ragazze quando questi uomini fanno fare loro queste cose… Ricordo una volta, c’è stato un incidente a Buenos Aires, in un discoteca, sono morte 200 persone; io sono andato a trovare i feriti in ospedale e in una terapia intensiva c’erano due anziani: avevano perso i sensi, avevano avuto un ictus. Mi hanno detto: “Questi due sono stati portati qui dal postribolo”. Anziani, giovani… queste ragazze sopportano tutto… Ho parlato con loro – una bella riunione – in una delle case di don Benzi, un sacerdote che ha fatto tutto un lavoro per riscattare queste ragazze; loro hanno un metodo. Le ragazze sono sorvegliate; si avvicina uno di loro e incomincia a parlare, apparentemente per mettersi d’accordo sul prezzo, ma invece di dirle: “Quanto costi?”, si domanda: “Quanto soffri?”. La ragazza ascolta, lui le parla brevemente, le dà un biglietto: “Noi ti porteremo via, nessuno ti troverà”, con un numero di telefono. E l’80% delle ragazze chiama. “Va benissimo, stai tranquilla: quale giorno è il più sicuro per te?” – “Tale” – “In quell’angolo a tale ora”, passa con la macchina… e la portano fuori Roma. Hanno le case, e lì incomincia la terapia. E’ una bella terapia che fanno. E poi l’inserimento. E’ una delle opere che si fa qui a Roma, che io conosco, che mi ha coinvolto; ma se ne fanno tante. Poi parlo del fenomeno, ma ho voluto incominciare con questo [aspetto] positivo. E’ interessante: in quella riunione c’erano il cappellano e due volontari. Quando una ragazza ha raccontato la storia, il volontario che era accanto, uno di quelli che l’aveva aiutata a riprendersi… era il marito! Si erano innamorati, si erano sposati. E l’altro era il fidanzato dell’altra. Ho visto un reinserimento bellissimo. Ma ritorno qui a quello che lei ha detto: è un crimine contro l’umanità, è un delitto contro l’umanità e nasce da una mentalità malata: la donna va sfruttata. E al giorno d’oggi non c’è femminismo che sia riuscito a togliere questo dalla coscienza, dall’inconscio più profondo o dall’immaginario collettivo, diciamo così. La donna va sfruttata, in un modo o nell’altro. E così si spiega questa… malattia dell’umanità, è una malattia di un modo di pensare sociale, è un crimine contro l’umanità.

Ho parlato dei metodi [per aiutarle]. Quelle che sono capaci di aiutare meglio queste ragazze, sono le donne, le suore. Ma ci sono anche donne che le vendono! Ho saputo la storia di una dell’Africa, una ragazza che aveva finito una parte dell’università e voleva lavorare; e una signora, non ricordo se era una consacrata di una parrocchia o una signora dell’Azione Cattolica di quella parrocchia, si è interessata: “Io ti faccio il collegamento, tutto il collegamento…”, e l’aspettavano in aeroporto e dall’aeroporto a lavorare. E’ stata ingannata. Poi è stata riscattata da uno di questi gruppi e l’hanno portata in una casa per riprendersi. E’ uscita la superiora: “No!”, ha gridato [quella ragazza]; ha visto una suora e ha detto “No!”, perché era stata venduta. Non so se da una suora, forse… lei diceva una signora, una laica, una cattolica, ma della parrocchia. E alla fine è rimasta lì e ha aiutato tanto. Ma anche gente che si dice cattolica… ma forse una minoranza di questi… è una malattia: la donna va sfruttata! Io mi rallegro che i giovani lottino per questa causa. Questa è una delle lotte che io chiedo a voi giovani di fare: per la dignità della donna. Per la dignità, che è di più del fatto che la donna possa fare questo o non possa fare quest’altro, che possa diventare questo o quell’altro, no: è degna, è figlia di Dio. Di più: nel racconto della Creazione è quella che ha stupito l’uomo: ah, la bellezza, la bellezza della donna! E poi, si finisce così. Alcuni governi cercano di fare pagare multe ai clienti, ma non funzione tanto questo, per i dati che ho. Il problema che tu hai detto è un problema grave, grave, grave, e io vorrei che voi lottaste per questo. I giovani. E per favore, se un giovane ha questa abitudine, la tagli! E’ un criminale. Chi fa questo è un criminale. “Ma Padre, non si può fare l’amore?” No, no, questo non è fare l’amore. Questo è torturare una donna. Non confondiamo i termini. Questo è criminale. Mentalità malata. E io voglio approfittare di questo momento, perché tu hai parlato di battezzati, di cristiani, per chiedere perdono a voi e alla società, per tutti i cattolici che fanno questo atto criminale.

Domanda n. 2

Maxime RASSION – Francia

Très Saint-Père, Je m’appelle Maxime, je suis étudiant en Droit à Paris. Je n’ai pas été baptisé et je ne suis pas catholique. Aujourd’hui, comme des milliers de jeunes, croyants ou non, je dois faire des choix, notamment autour de mon orientation professionnelle. Cependant, je suis indécis, perdu et inquiet. Ce choix crucial pour mes études, a fait resurgir en moi, une forme d’insécurité et d’oppression. Comme si je m’étais essentiellement construit sur la forme et non pas sur le fond. Je me retrouve actuellement comme face à un mur, celui du sens profond à donner à ma vie. Je pense avoir besoin de discernement face à ce vide. Je voudrais trouver mes fondations afin de mieux me connaitre, de savoir qui je suis, dans ce monde et par rapport à Dieu. Si je crois en une puissance transcendante, je suis dépassé par l’immensité de l’Eglise et questionné entre ma volonté personnelle ou l’influence que peut avoir un mouvement. J’ai l’impression de ne pas avoir réellement construit ma colonne vertébrale, je voudrais bâtir une forteresse dans mon coeur. Je veux pouvoir choisir et avancer, j’ai cette volonté au plus profond de moi, mais je ne sais pas par ou commencer, savez-vous quel chemin dois-je prendre ? Je vous remercie sincèrement.

Sig. Maxime RASSION, Presidente della « Junior Consulting » dell’Institut Catholique de Paris (ICP) (Francia)

Papa Francesco:

Ti dico: con questo, tu già hai incominciato. Il pericolo è non lasciare sorgere le domande. Quello che vedo è che tu le lasci venire su, per vederle. Tu già hai incominciato; tu hai incominciato col lasciare venire su le domande, senza anestetizzare le domande! Le nostre domande forti – e questo è importante, prendete nota – possono subire il processo di essere abbassate nel tono, anestetizzate un po’, un po’, un po’ o totalmente. C’è un modo “educato” di anestetizzare le domande e questo non è sociale. È la tecnica che finisce nella corruzione coi guanti bianchi! Si incomincia così. La lealtà verso sé stessi deve avere il coraggio di dire le verità crude, come sono e farsi le domande crude, come sono, senza anestesia. “Je pense avoir besoin de discernement face à ce vide ». È vero. Tutti noi abbiamo bisogno del discernimento. Per questo nel titolo del Sinodo c’è questa parola, non è così? E quando c’è questo vuoto, questa inquietudine, bisogna discernere. Dobbiamo dire, su questo punto, che tante comunità ecclesiali non sanno farlo o manca ad esse la capacità di discernimento. E’ uno dei problemi che noi abbiamo, ma non bisogna spaventarsi. [I giovani] vivono questa inquietudine, alcune inquietudini, che tante volte vengono moralmente respinte. [Invece] non spaventarti: prendila, accompagnala, aiuta a discernere. Discernere, accompagnare, ascoltare e cercare che la persona tiri fuori tutto e lei stessa cerchi di trovare la strada. Voi avrete qui, per esempio, facilitatori nei gruppi: è un modo di aiutare a fare in modo che le domande vengano fuori. Aiutano a discernere. Il dialogo, il dialogo per discernere. Fare che ti aiuti. Questo è riguardo al “besoin de discernement face à ce vide”. Perché c’è un vuoto dentro. Nella vita bisogna sempre avere due cose: primo, avere coraggio di parlare delle cose che accadono; ma non di tutte le cose si può parlare con tutti; ci sono cose che riguardano la nostra identità più profonda. Cerchi qualcuno che ti dia fiducia? Può essere un anziano, una persona saggia, un giovane saggio: la saggezza l’hanno anche i giovani! Pensa a Salomone. I giovani hanno la saggezza. Alcuni giovani. Cerca una persona saggia. Il saggio è uno che non si spaventa di nulla, che sa ascoltare e che ha il dono del Signore per dire la parola giusta al momento giusto. Lascia che lui sia interpellato dalla tua inquietudine, e lasciati interpellare da lui: il dialogo, no? Ma questo che tu hai detto, Maxime, è una delle cose di cui abbiamo più bisogno. Tu sei Presidente della “Junior Consulting” dell’Istitut Catholique de Paris. Lì, hai esperienza di come si fa questo e come si aiuta in tutto questo. È importante, perché quando un giovane non trova questa strada di discernimento – non solo vocazionale, discernimento è mille cose, di quello che senti tu, no? – si chiuderà in modo negativo. E chiudersi così nella vita è portare dentro un tumore. Una cosa chiusa nell’anima che presto o poi ti fa un peso e ti toglie libertà. È importante aprire tutto, non truccare i sentimenti, non mimetizzare i sentimenti. I pensieri che vengono su siano [portati] nel discernimento, con qualcuno. Io credo che quello che tu dici, che tu vorresti “choisir et avancer”, credo che questa volontà tanto profonda è proprio l’inizio di un processo di discernimento che deve andare avanti e dura tutta la vita. Ma è bello quando uno ha una persona con cui parlare su queste cose. Lasciare venire fuori i sentimenti. Non anestetizzarli, non diminuirli. Cercare qualcuno che mi dia fiducia per parlarne e fare il discernimento. Questa è la mia risposta à toi, Maxime.

Domanda n. 3

María de la Macarena SEGUI – Argentina

En nuestra experiencia como estudiantes y también en el trabajo con jóvenes nos dimos cuenta que hoy en día se educa en verdades construidas desde la razón, se transmiten certezas que fueron debilitando el sentido de trascendencia, la duda que permite la creencia y el asombro, entre otros valores que constituyen nuestra humanidad. Como educadores intuimos un camino que desnude nuestra mirada, para abrirnos al misterio del otro y agradecer eso único y por tanto bello de todos. Quisiéramos saber que piensa usted sobre esta concepcion de educación que tiene Scholas y cómo podemos hacer para que la experiencia trascendente que viven los jóvenes en ese Encuentro perdure en el tiempo.

[Sig.ra María de la Macarena SEGUI, Scholas Occurrentes (Argentina)]

Papa Francisco:

¿Puedo responder en español, está la traducción? [responden si]. María Macarena me dijo: “Scholas me cambió la vida”. Una de las cosas, que ella, dijo críticamente, sobre un sistema educativo, es el sistema educativo que educa en verdades construidas desde la razón, que debilitan, el sentido de trascendencia, debilitan la duda, y debilitan el asombro. Piensen ustedes en estructuras escolares, las hay y muchas, donde se crece en conocimiento muchísimo. Son de excepción, de altísimo nivel en el conocimiento, pero al final, han perdido la capacidad de asombrase. Han perdido la capacidad del estupor. Esto directamente es una herencia educativa del Iluminismo, ¿no? Que, llegó a este tipo de escuela educativa, que hoy día se la critica mucho y se reacciona contra ella. De hecho la experiencia de Scholas como, seguramente, ya contará en el grupo y además de alguna paraguaya de ahí que lo ha hecho también, ahí estás vos, que en Paraguay prendió muy fuerte, se llegó a revertir esta tendencia, incluso a nivel ya de Ministerio de Educación Nacional, ¿no? Y eso es muy importante. No sólo esto de quitar el asombro, lo cual también quita la capacidad de contemplar belleza y de abrirse al misterio del otro. Muy bueno el resumen que hizo.

Me repito. Me repito una cosa que me gusta decirla, pero es que para mí es evidente: Para tener una educación completa hay que usar los tres lenguajes: el lenguaje de la cabeza, o sea aprender a pensar bien. No sólo pensar cosas. Saber cosas. Eso es importante. Pero además, pensar y progresar con el pensamiento. Libertad de pensamiento. Buscar con el pensamiento. A eso yo llamo pensar bien. Primero de los tres lenguajes de la cabeza.

Segundo: lenguaje del corazón. Aprender a sentir bien. Hay un problema, que es viejo. El problema no es de ahora pero hoy día al menos se habla, el problema del bullying, el problema del bullying en las escuelas es un problema de no sentir bien. Puse un solo ejemplo, pero hay mil cosas. Aprender a sentir bien las cosas. Educar el sentimiento y esto no es tan común en las escuelas herederas del Iluminismo.

Y tercero, el lenguaje de las manos: a hacer. Porque también es herencia que recibimos de Dios. Ser artesanos y creadores. El arte nace también de ahí. La ingeniería nace de ahí. La capacidad de construcción nace de ahí.

Y esos tres lenguajes, el de la cabeza, el del corazón y el de las manos armonizados. A tal punto que yo piense lo que siento y lo que haga. Sienta lo que pienso y lo que hago y haga lo que siento y lo que pienso. La armonía de los tres lenguajes. Y esa es la experiencia de Scholas. Ir por este camino y avanzar en una educación total y comunitaria. Evidentemente cuando se va por este camino, la educación es personal, como persona que necesariamente necesita de la comunidad para progresar, ¿no?

Otra cosa que yo diría. Esto lo digo porque yo critico mucho el mundo virtual. Pero no porque sea viejo atrasado, sino porque, porque tiene sus peligros, por ejemplo, en una cena de familia, papá y mamá miran la televisión y cada chico está con el teléfono, hablando con amigos, pero por ahí le tiene que decir algo al papá, o al otro, y se lo manda por teléfono. O sea, ya el mundo virtual puede llevarte a un nivel de alienación muy grande, que te hace no ya líquido, como decía el gran Bauman, sino gaseoso! Sin arraigo. Yo critico por eso el mundo virtual. Pero no lo demonicemos. Porque es una riqueza, tenemos que saber usarlo, y no que nos esclavice alejándonos de lo concreto. Entonces, para salvar lo bueno del mundo virtual, una sola palabra: lo concreto. En italiano “concretezza”. Tener el hábito de ir a lo concreto. Sí poder usar el mundo virtual pero con los pies sobre la tierra y no dejándome chupar, no gaseosamente, no líquidamente sino sólidamente. Es una ayuda. Y ahí, ahí tenemos que ir hacia atrás.

El sábado me encontré, hice un matrimonio ahí en Santa Marta, y me encontré con una señora joven, una chica joven que es música, es compositora, artista, y estaba espantada por el mundo virtual, en su carrera de docente, veía el mal que hacía a los chicos, y hace un par de años se decidió a luchar contra esta exageración del mundo virtual para que el mundo virtual tuviera el puesto que le corresponde pero con lo concreto y me dio un muñeco de trapo. Y digo, ¿qué es? Con esto, artesanalmente, recupero la capacidad de juego en los chicos. O sea, del juego ilusorio, virtual, baja al juego real y esté empezando desde ahí con los chicos. O sea, creo que este tipo de cosas, buscar salvar a las personas de lo gaseosos, lo líquido de la virtualidad para que la virtualidad esté arraigada en lo concreto.

Una virtualidad arraigada está muy bien. Pero cuando ya se pasó de tocar tierra, ahí ya desparrama todo, no madura. Pero vean qué curioso esta mujer, en su experiencia pedagógica, como maestra, descubrió que la única manera era retomar el juego. El juego es concreto.

El mundo virtual tiene otro defecto, claro esto hablando de Scholas, a lo concreto de Scholas, que te puede quitar la dimensión del amateur, no sé cómo se llama, amatoriale. Por ejemplo el juego, el deporte, hoy día, ha perdido el sentido de amateur, y se transforma en comercial, o lo que sea, mil cosas, también el juego es el que pierde. Siempre pierde el juego. En un mundo líquido, sin raíces siempre pierde el juego. El verdadero juego. El juego gratuito. La capacidad de los chicos, que vemos en el campo que por ahí los encontramos más limpios que estos y que son capaces de armar una escuadra de fútbol con dos palitos para el arco y el portero libre, avanzado, que va y hace el gol, es decir, libertad, concreta. Una cosa es liquidez y gaseosidad y otra cosas es libertad concreta. Lo concreto te da libertad. Lo líquido y lo gaseoso te quita libertad. Entonces Scholas ha tomado este camino de unir los tres lenguajes y socialmente. Yo asistí a la conclusiones, por eso mencioné Paraguay, de embarcación en Paraguay, en el puerto donde ahora está el barrio San Francisco, y las conclusiones de un encuentro de chicos de Scholas sobre embarazo adolescente. Yo les digo que ni una Cámara de Diputados argentina he escuchado las reflexiones de estos chicos. Porque están educados a pensar lo concreto y con el corazón y la cabeza. Eso es maravilloso.

Bueno ese es el camino de la educación. Gracias.

Domanda n. 4

Yulian VENDZILOVYCH – seminarista dell’Ucraina

[Saluta con “Sia lodato Gesù Cristo”; Papa Francesco gli risponde in ucraino.]

Sono Yulian Vendzilovych, seminarista del seminario dello Spirito Santo di Lviv, Chiesa greco-cattolica ucraina. Questa è la domanda del nostro Seminario per il Santo Padre. Santo Padre, il nostro tempo è caratterizzato da diversi nuovi movimenti culturali. Oggi è importante che un sacerdote possa essere non solo un insegnante di religione, ma un vivo testimone di Cristo, uno che capisce le richieste del suo tempo e non vuole perdere il soffio dello Spirito Santo, che ispira la cultura di oggi. Secondo Lei, come un giovane che si prepara al sacerdozio e vuole essere aperto alla gioventù e alla cultura odierna, dovrebbe prepararsi per capire che cosa c’è di prezioso nella cultura e che cosa c’è di falso? Per esempio, il tatuaggio per un gruppo di persone esprime vera bellezza, però per un altro è un esempio della cultura, che è difficile da capire e da comprendere. Il giovane pastore come dovrebbe reagire alle circostanze complesse della cultura di oggi? Grazie, grazie Santo Padre.

Papa Francesco:

Alla fine è un collega! Ti ringrazio. Tu parli di “vivo testimone di Cristo”. E’ vero, un sacerdote che non è testimone di Cristo fa tanto male, tanto male. Tanto male, sbaglia, disorienta la gente, fa male. Ma quella che deve essere testimone di Cristo è la comunità: il sacerdote è testimone di Cristo in quanto membro di quella comunità. Il povero prete, in una comunità che non è testimone di Cristo, non so se riuscirà ad andare avanti. Sì, lui potrà testimoniare, ma l’appoggio della comunità è testimonianza, e il primo lavoro è che le comunità siano testimoni di Cristo, comunità cristiane. Altrimenti il prete sarà solo, e poverini, i preti soli, affettivamente soli perché una comunità non li accompagna nella testimonianza, ne fanno un prete soltanto funzionale: la comunità va in chiesa, “affitta” una Messa, chiede una sepoltura, la prima Comunione, e poi lo lascia solo. E’ un isolato in una comunità che non è testimone di Cristo. La prima cosa che io ti direi è domandarsi: “Come è la tua comunità, o la comunità di tuo fratello, di quell’altro…? Se una comunità non è testimone di Cristo, lì deve intervenire il vescovo e aiutare il sacerdote e non lasciarlo solo. Lo “mangeranno vivo”, perché non si può essere testimone da solo: sempre c’è bisogno della comunità, e i grandi santi – pensiamo a Francesco – hanno subito cercato dei compagni, subito! La comunità. Filippo Neri, subito. Perché non si può essere testimoni di Cristo se non c’è una comunità testimone. Tu sei testimone in una comunità testimone di Cristo. E qui c’è il rapporto fra il prete e la comunità: anche il rapporto dev’essere testimoniale. Perché c’è una malattia molto grande, che è il clericalismo, e noi dobbiamo uscire da questa malattia. Alcuni di voi non sono cattolici, altri siete non credenti, ma io dico con tanta umiltà: è una delle malattie più brutte della Chiesa. Il clericalismo. Quando una comunità cerca un sacerdote e non trova un padre, non trova un fratello, trova un dottore, un professore o un principe… E questa è una delle malattie che fanno tanto male alla Chiesa. Io sono preoccupato di questo, perché si confonde il ruolo paterno del sacerdote e lo si riduce a un ruolo dirigenziale: il “boss”. Il boss della ditta, il dirigente… E mi preoccupano anche atteggiamenti non paterni, non fraterni del sacerdote che nel rapporto con la comunità non lo fanno essere testimone di Cristo. Per esempio, lo spiritualismo esagerato: quando tu trovi questi preti che pensano di stare sempre in cielo, che sono incapaci di capire, credono che con un atteggiamento così – come dico io – “con la faccia della beata Imelda” [ride, ridono] così no, non va… Come tu, se hai fatto una di quelle scivolate che si fanno nella vita, vai a dirlo a lui? Ma tu hai paura! Non trovi in lui la testimonianza della misericordia di Cristo. O quando tu vedi un prete che è rigido, che va sempre avanti con rigidità, ma come la comunità può andare da lui? Manca la testimonianza. E quando tu vedi un prete mondano, è brutto, è peggio. Pregate per lui perché il Signore lo converta, perché i preti mondani fanno tanto male, tanto male alle comunità. Ma anche le comunità: devono essere comunità-testimoni. Uno dei vizi della comunità è il chiacchiericcio. Mi raccontava un cardinale, simpatico, che aveva conosciuto un prete con un gran senso dell’umorismo e nella parrocchia aveva una donna tanto chiacchierona, che parlava di tutti e su tutto. Ma abitava vicino vicino alla parrocchia, a tal punto che dalla finestra della sua abitazione poteva vedere l’altare della parrocchia. Veniva a Messa tutti i giorni e poi, le altre ore del giorno girava la parrocchia, sparlando delle altre. Un giorno era malata, chiama il prete e dice: “Padre, sono a letto con un’influenza forte, per favore, mi può portare la Comunione?” – “Non si preoccupi: lei, con la lingua che ha, dalla sua finestra arriva al tabernacolo”. Ma dimmi, in una parrocchia dove i fedeli chiacchierano tutta la giornata contro di loro e contro il prete, il povero prete è solo, senza la testimonianza a Cristo della comunità. E io menziono soltanto il chiacchiericcio, perché per me è una delle cose più brutte delle comunità cristiane. Ma sapete che le chiacchiere sono un terrorismo? Un terrorismo, le chiacchiere? Sì, perché un chiacchierone fa lo stesso di un terrorista: si avvicina, parla con uno, butta la bomba della chiacchiera, distrugge e se ne va. Tranquillo. Tu sei testimone del prete con la comunità e della comunità con il prete.

Poi, l’ultima tua domanda, sulla cultura. Non spaventarti dei tatuaggi: gli eritrei, da anni, si facevano la croce qui [indica la fronte], anche oggi li vediamo. Si tatuavano la croce. Sì, ci sono esagerazioni, oggi vedo che alcuni… credo che quelli che hanno una misura forte di tatuaggi non possono dare il sangue, no?, credo qualcosa del genere, perché c’è pericolo di intossicazione… No, quando si esagera…, ma è un problema di esagerazione, ma non di tatuaggio. Il tatuaggio indica appartenenza. Tu, giovane, che ti sei tatuato o tatuata così, cosa cerchi? Quale appartenenza esprimi? E incominciare a dialogare con questo, e da lì si arriva alla cultura dei giovani. E’ importante. Ma non spaventarti: con i giovani non ci si deve spaventare mai, mai! Perché sempre, anche dietro alle cose non tanto buone, c’è qualcosa che ci farà arrivare a qualche verità. E non dimenticarti mai di questo: la doppia testimonianza insieme, quella del prete e quella della comunità con il prete. Grazie.

Domanda n. 5

Suor Teresina Chaoying CHENG – Cina

Buongiorno a tutti, anche al Santo Padre!

Carissimo Papa Francesco, sono suor Teresina Cheng, cinese. Sto studiando scienze religiose alla Pontificia Università Urbaniana, con sede nel Collegio Mater Ecclesiae di Castel Gandolfo. Sono molto onorata e felice di avere questa opportunità di incontrarLa e poterLe chiedere un consiglio. La Cina attualmente sta compiendo passi da gigante nello sviluppo; la gente persegue soprattutto la ricerca di beni materiali, mentre i giovani attraversano una crisi di identità. Il loro cuore è portato al confronto e all’emulazione degli altri. Internet rende tutto rapido e conveniente. In tal modo diventa difficile resistere alle proposte della società secolarizzata, e i giovani seguono la corrente. La formazione culturale delle suore è generalmente bassa e solo la loro spiritualità è in grado di interagire con i giovani e attirarli. I risultati spesso non sono molto evidenti. Affrontando questa situazione, Santo Padre, vorrei chiederLe: noi giovani religiose, come possiamo bilanciare la cultura dominante della società e la vita spirituale per realizzare la missione? Grazie.

[Suor Chaoying (Suor Teresina) CHENG, Studentessa di Teologia, Collegio Missionario "Mater Ecclesiae" di Castel Gandolfo. Suora della Madre del Signore di Daming-Hebei (Cina)]

Papa Francesco:

[la Suora gli ha donato una sciarpa rossa] Da Papa mi ha rifatto cardinale! [ridono] Ha detto che questa è una cosa che fanno loro, che la sciarpa dà calore e che il rosso è il colore della gioia, in Cina; augura che questo dia calore al Papa e gioia. E’ bello! Vedete, due cose che sono “da casa”, due cose che fanno il rapporto tra la mamma e il papà e il bambino: dare calore e dare gioia. Questi cinesi sanno dove ci sono le radici! Grazie.

La tua domanda era più lunga, io l’ho letta ieri. Tu parli della formazione; credo che sia importante quello che tu dici. Prima di tutto, quello che dici dell’ingresso in Congregazione. E’ vero, c’è un primo tempo di vita spirituale per capire bene la dimensione spirituale; ma poi, non si può andare avanti così senza una formazione di tipo umano, intellettuale… Ma, direi, la vera formazione religiosa nella vita consacrata – questo per le congregazioni che hanno giovani, come anche per i sacerdoti – deve avere quattro pilastri: formazione alla vita spirituale, formazione alla vita intellettuale – devono studiare –, formazione nella vita comunitaria – devono imparare a risolvere i problemi comunitari e a convivere comunitariamente – e formazione alla vita apostolica – devono imparare a fare l’annuncio evangelico. E se una, come tu dicevi qui, sviluppa soltanto la vita spirituale e poi ti inviano a fare scuola o catechesi, psicologicamente sarete immature. E questo è un problema di questa mentalità. Perché si fa questo? Per proteggere dal mondo. Ma proteggere dal mondo “potando” potenzialità? Potenzialità affettive, potenzialità intellettuali, potenzialità comunicative? Questa non è protezione, questo è annullare; mi permetto una parola psichiatrica un poco forte: questo è “castrare” la persona. La vera protezione si fa nella crescita. Una mamma che iper-protegge il bambino, lo annulla, non lo lascia crescere, non lo lascia essere libero. E così troviamo nella vita tanti, tanti zitelli e zitelle che non hanno saputo trovare una vita di amore, di matrimonio perché erano stati costretti alla dipendenza materna o non avevano la libertà di scegliere. Ma è un pericolo, possono perdere la vocazione! Io preferisco che un giovane, una giovane perda la vocazione piuttosto che sia un religioso o una religiosa malato che poi faccia del male. O quando noi leggiamo – bisogna parlare chiaro – quando noi leggiamo i casi di abusi: quanti di questi sono stati annullati nello sviluppo, nella libertà, nell’educazione affettiva e sono finiti così? Non so, ognuno ha la propria storia, ma noi possiamo pensare a gente che finisce così perché non è stata educata nell’affettività. Per questo, io direi, quando tu sarai superiora generale o una cosa simile [ride, ridono], cerca di cambiare questa mentalità. L’educazione spirituale, intellettuale, comunitaria e apostolica. Ma dall’inizio. Secondo le dosi di ogni tappa, ma non trascurare nessuna. Questo è molto importante, molto importante. E questo che è valido per i preti e per le suore, è valido anche per i laici. La maggioranza di voi vi sposerete, avrete figli, ma per favore, educateli bene, così, con tutte queste potenzialità. Non annullare. Non iper-proteggere: questo è cattivo, è molto cattivo, e si diventa psicologicamente immaturi.

Poi, c’è un’altra cosa… in Cina, per esempio: “ciò che rende difficile lo sviluppo del germe della vocazione presente nei giovani è il fatto che essi sono immersi in un ambiente in cui il confronto con gli altri spinge a intraprendere una corsa verso l’ottenimento di beni materiali sempre maggiori”. E’ vero. Pensiamo all’incontro di Gesù con il ricco, con quel giovane ricco. Dice il Vangelo che Gesù lo amò. Aveva una vita perfetta, ma era tanto attaccato ai soldi, tanto attaccato ai soldi. E questo fa male. E quando – hanno parlato un prete e una suora, io approfitto dell’occasione – quando un prete o una suora sono attaccati ai soldi, è il peggio. Non dimenticatevi che il diavolo entra dalle tasche. Sempre. E’ il primo scalino. Poi la vanità, poi la superbia, tu ti credi tutto, e da lì tutti i peccati. Io ricordo – per farvi ridere – una economa di una congregazione, una donna forte, anziana, una tedesca, in Argentina, figlia di tedeschi, della migrazione tedesca; 70 anni aveva, ma era in forma! Reggeva un collegio enorme… Era molto attaccata ai soldi, non per lei, per l’Istituto, ma i soldi erano la cosa principale, povera donna, era buona ma non era stata educata a questo. E un giorno nel caffè, nel break con i professori, svenne. Tutti a dire: “suora, suora, suora”, e non reagiva. E una professoressa ha detto: “Qualcuno ha un biglietto da 100? Passiamoglielo sul naso, forse reagisce”. Questo è il commento della gente quando vede un sacerdote o una suora attaccati ai soldi. Per favore, è meglio fare la fame e non essere attaccati ai soldi.

“A questo punto, Santo Padre – avevi scritto una domanda lunga iniziale – vorrei farLe la seguente domanda: di fronte a culture che non lasciano spazio a Dio, alla società che adora la supremazia della materia, noi giovani religiose come possiamo equilibrare la nostra formazione culturale e la nostra vita spirituale?”. Per favore, proteggete lo sviluppo delle suore, ma proteggetelo con la vita, attraverso il dialogo con questa vita che non cerca Dio, che è attaccata solo ai beni materiali. Che imparino ad andare così, ma non proteggerle come i pomodori d’inverno nelle serre, per favore, no, no. Perché quando verrà l’estate e usciranno da lì, non serviranno, non avranno sapore. Proteggerle è bene, con i rischi dell’ambiente, ma bisogna proteggerle bene. Proteggere è accompagnare, insegnare, aiutare e soprattutto amare. Questo è la cosa principale.

Questo credo che per la Cina sia sufficiente. Grazie.

E grazie per la sciarpa!



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