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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO DI STUDI
NEL IV CENTENARIO DELL'ARRIVO DI MATTEO RICCI

Lunedì, 25 ottobre 1982

 

1. Rivolgo il mio cordiale saluto ai signori Cardinali ed ai venerati fratelli nell’Episcopato, che con la loro gentile presenza hanno voluto onorare questo incontro. Saluto poi con deferenza il Senatore Amintore Fanfani, Presidente del Senato della Repubblica, le Autorità Accademiche dell’Università di Macerata ed i Membri del Centro di Studi Ricciani operante in quella città; con essi saluto altresì le Autorità Accademiche, i Professori e gli Alunni di questa Pontificia Università Gregoriana, a cui desidero rinnovare l’attestato del mio affetto all’inizio di un anno scolastico che auguro ricco di frutti. Vada, infine, il mio saluto ai rappresentanti degli Enti promotori ed a tutti i partecipanti al Congresso Internazionale di Studi Ricciani, col quale questo Ateneo ha inteso onorare un suo antico alunno, e la Città di Macerata un suo glorioso figlio.

È per me motivo di grande gioia potervi incontrare, illustri Signori, al termine di questo vostro Congresso, e manifestarvi con questa mia visita il vivo apprezzamento che nutro per la figura del grande umanista e missionario gesuita padre Matteo Ricci. Mi sembra giusta e appropriata iniziativa che si sia voluto celebrare il IV centenario dell’arrivo in Cina del padre Ricci tanto nell’insigne città di Macerata, ov’egli nacque e apprese i primi elementi del sapere, quanto nell’Università Gregoriana, dove il giovane Ricci acquisì la formazione umanistica, filosofica e teologica, nonché le conoscenze scientifiche nel campo della matematica, fisica e astronomia, che più tardi si rivelarono un prezioso strumento per i suoi scambi culturali con la civiltà cinese.

In quel tempo gli studi alla Università Gregoriana - allora Collegio Romano - univano in perfetta sintesi la ricerca filosofica e teologica (dove emergevano uomini come Suarez e Bellarmino) con quella delle scienze positive, le quali iniziavano in Europa i primi travagliati passi di quel prodigioso cammino di scoperte e di acquisizioni scientifiche, che stanno all’origine dell’alto livello a cui sono giunte le cognizioni teoriche e le applicazioni tecniche di oggi.

Uno dei professori del Collegio Romano era allora il padre Clavius, eminente scienziato, che preparò la riforma del calendario fatta dal mio predecessore Gregorio XIII - in quello stesso anno 1582 - e fu l’antesignano di quella schiera di illustri matematici ed astronomi, i quali resero famoso l’osservatorio astronomico di Castel Gandolfo.

2. Ma, accanto a queste due città, Macerata e Roma, ve n’è una terza, particolarmente cara a Matteo Ricci: Pechino, dove il grande umanista e missionario svolse la sua attività più feconda e dove si trova la sua tomba, custodita con venerazione da tante generazioni cinesi.

L’arrivo in Cina del padre Matteo Ricci rappresentò il coronamento del sogno che aveva animato il suo confratello, Francesco Saverio, morto a soli 47 anni su un’isoletta alle porte della grande Cina trent’anni prima, nel dicembre del 1552. Quando questi spirò, senza veder realizzato il suo desiderio, era già nato a Macerata, da meno di due mesi, il futuro missionario che, ricalcando le sue orme, sarebbe entrato in Cina guadagnandosi le simpatie del popolo cinese, così da occupare poi un posto nella storia della sua cultura.

Già altri europei, come Marco Polo e i francescani Giovanni da Montecorvino e Giovanni di Pian del Carpine, avevano avuto contatti con la Cina, nei secoli precedenti. Tuttavia, Matteo Ricci fu il primo che riuscì ad inserirsi nel vivo della cultura e della società cinesi, facendo conoscere tanto a quel grande Paese la scienza e la tecnica dell’Europa, quanto all’Occidente la civiltà e le ricchezze culturali del popolo cinese.

Vero umanista, dotato di cultura filosofica, teologica ed artistica e, al tempo stesso, provvisto di un notevole corredo di cognizioni matematiche, astronomiche, geografiche e di applicazioni tecniche tra le più avanzate dell’epoca, padre Ricci riuscì ad acquisire, con un impegno tenace, umile e rispettoso, la cultura classica cinese in un modo così vasto e profondo da fare di lui un vero “ponte” tra le due civiltà, europea e cinese.

Frutti importanti in questa opera di mediazione culturale restano: i numerosi scritti in lingua cinese, portati a termine con l’aiuto intelligente e indispensabile dei suoi discepoli (soprattutto di Xu Guangqi e di Li Zhizao); il contributo di lui (e quello dei suoi collaboratori cinesi) all’introduzione e alla modernizzazione della scienza e della tecnica in Cina; le opere e le lettere scritte in lingua italiana sui vari aspetti della cultura cinese.

Ed è proprio per questa mediazione altamente significativa che il popolo cinese ha riservato al grande umanista e missionario maceratese un posto importante nella sua storia.

3. Un contributo di tale valore non poteva essere dato, se non dopo un lungo e impegnativo periodo di preparazione culturale e attraverso un profondo processo di inculturazione nelle realtà cinesi. Per questo padre Ricci si diede con notevoli sacrifici a studiare la lingua, le abitudini ed i costumi cinesi così da farli propri. Il suo compagno, padre Michele Ruggieri, in una lettera ad un amico scriveva: “Ci siamo fatti cinesi, "ut Christo Sinas lucrifaciamus"”.

Il padre Ricci, giunto a Macao nel 1582, fu inviato in missione a Zhaoqing, nella Cina meridionale, dove iniziò un lungo periodo di esperienze, di tentativi, di riflessione sul contesto culturale in cui doveva svolgere la sua missione. Solo dopo 24 anni di paziente tirocinio riuscì a giungere nel cuore della Cina ed a raccogliere con gioia a Pechino, dal 1601 al 1610, i frutti di ciò che con tanta fatica aveva seminato.

All’inizio il padre Ricci, come gli altri missionari, pensava di conformarsi all’abito e alla condizione sociale dei monaci buddisti, perché era convinto che così facendo sarebbe stato ritenuto per quello che veramente era, vale a dire “uomo di religione”. In seguito, però, si rese conto che la concezione religiosa dell’ambiente in cui viveva era notevolmente diversa da quella occidentale: i monaci infatti erano persone che vivevano, in certo modo, al margine della società; i loro stessi luoghi di culto erano di solito costruiti fuori dai centri abitati.

Padre Matteo Ricci, insieme con i suoi compagni, decise allora di portare la sua testimonianza religiosa nel cuore stesso della società e, per far questo, adottò lo stile di vita dei letterati, impegnati come lui nella vita sociale della comunità. Così facendo, intendeva mostrare che la fede religiosa non portava ad una fuga dalla società, ma ad un impegno nel mondo, in vista del perfezionamento della vita sociale fino all’apertura verso la redenzione in Cristo e verso la vita di grazia nella Chiesa.

4. Padre Ricci, come certo è stato illustrato in questo Congresso, volle innanzitutto aprire ai Cinesi una solida via per migliorare i loro sforzi di progresso scientifico, e con vero coraggio tradusse in cinese la geometria di Euclide. Si trattava di un contributo prezioso offerto dall’Occidente al mondo cinese. Ma, ovviamente, il maceratese mirava anche ad altri obiettivi, perseguiti sempre con profondo rispetto verso i suoi interlocutori. Nel parlare del Vangelo egli seppe trovare il modo culturale appropriato a chi lo ascoltava. Iniziava con la discussione dei temi cari al popolo cinese, cioè, la moralità e le regole del vivere sociale, secondo la tradizione confuciana, di cui riconosceva con simpatia i grandi valori umani ed etici. Quindi introduceva, in modo discreto ed indiretto, il punto di vista cristiano dei vari problemi e così, senza volersi imporre finiva col portare molti ascoltatori alla conoscenza esplicita e al culto autentico di Dio, Sommo Bene.

Tale messaggio, così concreto e pieno di speranza, ma nello stesso tempo rispettoso di tutti i valori positivi del pensiero classico cinese, fu compreso dai suoi discepoli e intuito dai numerosi amici e visitatori.

Fu grazie a tale lavoro di inculturazione che padre Matteo Ricci riuscì, con l’aiuto dei suoi collaboratori cinesi, a compiere un’opera che sembrava impossibile: elaborare, cioè, la terminologia cinese della teologia e della liturgia cattolica e creare così le condizioni per far conoscere Cristo, e incarnare il suo messaggio evangelico e la Chiesa nel contesto della cultura cinese.

5. L’inculturazione compiuta dal padre Matteo Ricci non ebbe luogo soltanto nell’ambito dei concetti e del lavoro missionario, ma anche della testimonianza personale di vita. Occorre innanzitutto mettere in evidenza la sua vita religiosa esemplare, che contribuì in maniera determinante a far apprezzare la sua dottrina presso quanti lo frequentavano.

Convinto dell’importanza che nella cultura cinese hanno l’amabilità e l’affabilità del tratto e della conversazione, come espressione di gentilezza dell’animo, metteva tutto il suo impegno nel coltivare tali virtù esercitandole, in particolare, negli incontri con quanti facevano visita alla residenza dei missionari; tali visite si succedevano senza soste, e spesso richiedevano molto tempo, con grande sacrificio per i missionari e, in particolare, per il padre Ricci, a motivo della sua conoscenza della lingua e della cultura cinese. In sintonia con questo stile, egli offerse ai suoi interlocutori una propria rielaborazione in cinese del “De amicitia” di Cicerone.

Degna di nota fu anche la sua capacità straordinaria di guadagnarsi la stima e l’amicizia di un gran numero di letterati e uomini di governo. Spesso furono proprio costoro che favorirono la diffusione del Vangelo e l’attività dei missionari in quelle parti della Cina dove per volontà dell’Imperatore essi si recavano per offrire il proprio contributo nell’amministrazione dello Stato.

Già agli inizi della sua attività missionaria il padre Ricci si rese conto di. essersi lanciato in un’avventura non facile. Particolarmente penosi dovettero riuscirgli l’incomprensione ed i sospetti di alcuni dei suoi stessi confratelli a Macao riguardo a metodi missionari, che per essi erano nuovi ed inconsueti. Con umiltà ed abbandono in Dio fu sempre pronto a modificare le proprie idee ed i propri metodi di lavoro, quando l’esperienza gli mostrava che si trovava su una via inopportuna.

Padre Ricci ebbe sempre chiarissimi il concetto e la pratica della missione, nella convinzione di non fare opera puramente personale, ma di compiere un lavoro affidatogli dalla Sede Apostolica, per il tramite dei Superiori religiosi della Compagnia di Gesù, come indicano le Costituzioni di questa.

Proprio nel lavoro missionario fu forse questo l’elemento determinante che assicurò fecondità alla sua opera, diede a lui la forza di superare difficoltà e scoraggiamenti, gli impedì di incamminarsi verso scelte erronee, di isolarsi o forse anche di irrigidirsi nelle sue idee, compromettendo così la sua autentica fecondità missionaria.

6. Dall’inculturazione personale, padre Ricci e i suoi compagni passarono naturalmente e spontaneamente alla inculturazione del messaggio evangelico. Io stesso ho avuto più volte occasione di ritornare su questo concetto, così fondamentale, nell’opera missionaria della Chiesa.

Nel febbraio dello scorso anno, parlando a Manila ai rappresentanti delle Comunità cinesi dell’Asia, dissi: “Fin dall’antichità la Chiesa ha saputo esprimere la verità di Cristo servendosi dei concetti e adattandosi alle culture dei vari popoli. Il messaggio che essa proclama è destinato infatti a tutti i popoli e a tutte le nazioni, e non è proprietà esclusiva di un gruppo o di una razza” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Sinenses in urbe Manila habita, 4, die 18 febr. 1981: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV,1 [1981] 385).

Impresa senza dubbio ardua ed esaltante ad un tempo, tanto più se si considerano le connotazioni proprie della civiltà e della cultura cinesi, tra le più antiche e celebrate del mondo, autonome nella loro originalità di pensiero, di espressione linguistica e letteraria, di tradizioni e di costumi, così da costituire uno tra i più ricchi centri di elaborazione di valori intellettuali ed umani della storia universale.

Non è ardito pensare che padre Matteo Ricci debba aver sentito la grandezza dell’impresa non meno di come la sentirono il filosofo e martire san Giustino e Clemente di Alessandria ed Origene nel loro sforzo di tradurre il messaggio della fede in termini comprensibili alla cultura del loro tempo.

Come già i Padri della Chiesa per la cultura greca, così padre Matteo Ricci era giustamente convinto che la fede in Cristo non solo non avrebbe portato alcun danno alla cultura cinese, ma l’avrebbe arricchita e perfezionata. I suoi discepoli cinesi, alcuni dei quali divennero eminenti uomini di governo, mostrarono di essere convinti che accettare la fede cristiana non implicava affatto l’abbandono della propria cultura, né una diminuita lealtà al proprio Paese e alle sue tradizioni, ma anzi che la fede permetteva loro di offrire alla patria un servizio più ricco e qualificato.

7. A 400 anni dal suo arrivo in Cina, la figura e l’opera del padre Ricci appaiono assumere oggi una grande attualità per il popolo cinese, proteso com’è in un impegno di modernizzazione e di progresso. È un momento in cui per la nazione cinese si rivela evidente sempre più al mondo l’unità fondamentale dei valori umani e culturali del suo popolo, nella quale tutti i cinesi del mondo si riconoscono. Anche la Chiesa, sensibile alle doti spirituali di ogni popolo, non può non guardare al popolo cinese - il più numeroso della terra - come ad una grande realtà unitaria, crogiuolo di elevate tradizioni e di fermenti vitali, e, quindi, nello stesso tempo come ad una grande e promettente speranza.

Ciò che il popolo cinese ammira in modo particolare nell’opera scientifica di Matteo Ricci in Cina è il suo atteggiamento umile, onesto e disinteressato, non ispirato da secondi fini e libero da legami con qualsiasi potenza economica o militare straniera.

Alla luce dello spirito di dialogo e di apertura che caratterizza il Concilio, il metodo missionario di padre Ricci appare quanto mai vivo ed attuale. Il decreto conciliare Ad Gentes sembra alludervi, quando descrive l’atteggiamento che devono avere i cristiani: “Essi devono stringere rapporti di stima e di amore con gli uomini del loro tempo, riconoscersi membra vive di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prendere parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell’esistenza umana, alla vita culturale e sociale. Così devono conoscere bene le tradizioni culturali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che in loro si nascondono . . .” (Ad Gentes, 11).

Anch’egli portò in un lontano Paese la fede che egli aveva ereditato dalla sua famiglia e dal suo popolo, e la scienza che aveva assimilata in questa Università Gregoriana per offrirle ad un popolo ricco di alte tradizioni morali e di una nobile civiltà mentre il suo metodo di evangelizzazione contribuì anche ad arricchire la Chiesa di elementi culturali tanto diversi, ma così raffinati e preziosi.

Egli riuscì a stabilire tra la Chiesa e la cultura cinese un ponte che appare ancora solido e sicuro, nonostante le incomprensioni e le difficoltà verificatesi nel passato e tuttora rinnovatesi. Sono convinto che la Chiesa può orientarsi senza timore per questa via, con lo sguardo rivolto all’avvenire.

Possiamo aver fiducia che gli ostacoli potranno appianarsi e che si troverà una maniera appropriata e le strutture adeguate per riallacciare il dialogo e tenerlo costantemente aperto. In tal modo tutti i credenti cinesi potranno sentirsi a loro agio sia nella comunità nazionale che nella Chiesa. Siamo sicuri che ciò tornerà a vantaggio anche di tutta la nazione cinese, che la Chiesa profondamente stima ed ama.

8. Padre Matteo Ricci è rimasto in Cina anche dopo la sua morte. Il terreno per la costruzione della sua tomba fu donato dallo stesso Imperatore, e a chi si meravigliava di una decisione non ancor mai avvenuta nella storia della Cina, il Cancelliere dell’Impero rispose: “E neppure è mai capitato nella storia della Cina che sia venuto uno straniero così eminente di scienza e di virtù come il dottor Ricci”.

Oltre al terreno per la tomba, l’Imperatore donò ai Gesuiti anche una residenza con lo spazio per un luogo di culto: così facendo egli accordò la sua protezione alla Chiesa cattolica in Cina, che in seguito poté lavorare con serenità e frutto.

Mi auguro che la Compagnia di Gesù, ispirata ed incoraggiata dall’esempio del suo illustre figlio, e guidata dalle vie imperscrutabili dello Spirito Santo, abbia la possibilità di portare ancor oggi il suo contributo efficace all’opera di cultura e di evangelizzazione del popolo cinese.

La tomba di Matteo Ricci a Pechino ci rammenta il chicco di grano nascosto nel seno della terra per portare frutto abbondante. Essa costituisce un appello eloquente, sia a Roma che a Pechino, a riprendere quel dialogo da lui iniziato 400 anni fa con tanto amore e con tanto successo.

Invito tutti voi ad avvalorare questo fervido augurio con una preghiera incessante, mentre di cuore imparto la mia particolare, propiziatrice benedizione apostolica.

 

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