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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BRASILE
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 17 gennaio 1986

 

Signor cardinale
e venerabili fratelli,
vescovi delle Chiese situate nello Stato di San Paolo.

1. Rendo grazie a Dio, con tutto il cuore, per la gioia intensa che costituisce per me questo incontro con voi, che integrate il “Regionale Sud-Uno della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile”, che abbraccia le diocesi del bello Stato di San Paolo. Ho atteso nella preghiera il vostro arrivo, anticipandolo nel mio spirito, con il vivo desiderio di vedervi e ascoltarvi, uno per uno, e, in questo incontro, tutti insieme, per comunicarvi alcuni doni che vi possano “confermare” o, ancora meglio, affinché “possiamo consolarci assieme, per la fede che ci è comune, a me e a voi” (cf. Rm 1, 12). Che questo avvenga, per il maggior frutto della vostra missione di pastori, che vegliano e guidano il gregge che il Signore vi ha affidato, con buona volontà, non come dominatori, ma come modelli del gregge stesso (cf. 1 Pt 5, 2-3). Con un solo cuore e una sola anima adoriamo Cristo, che ci ha scelti per il servizio del Vangelo, certi che egli è con noi, in questo colloquio sintesi ideale di quello che avemmo nelle udienze private. Culmina qui la vostra visita “ad limina”, con la quale avete desiderato riaffermare la comunione fra voi, vescovi della Regione Paulista, e il Vescovo di Roma, successore di Pietro; e la perfetta unione di mente e di cuore che esiste tra le vostre Chiese particolari e la Chiesa di Roma.

2. Vescovi di una regione brasiliana dove l’annuncio del Vangelo e l’edificazione della Chiesa risalgono ai primordi della storia delle Terre di Santa Cruz subito dopo la scoperta, voi siete eredi e custodi di una tradizione di valore inestimabile. Questa tradizione importa seguire e ad essa abbeverarsi costantemente, non perché essa rallenti il passo, ma permanga in esso come impulso e forza viva, ad arricchire, nel crogiolo della realtà presente, il “tesoro del padre di famiglia che, saggiamente, sa trarre da esso cose nuove e vecchie” (cf. Mt 13, 52).

È giocoforza ricordare qui, come simbolo, un nome che si identifica con la storia del Brasile cristiano e, in particolare, con la storia di San Paolo, il Beato José de Anchieta, “l’apostolo del Brasile”. Egli spese la vita tra i suoi “brasis”, nell’impegno generoso di “salvare le anime per la gloria di Dio”. Guidato da una visione realistica e da uno spirito evangelico ammirevoli, e dedicandosi instancabilmente a molteplici attività, sia di promozione umana che di impronta culturale, tutto egli seppe orientare per il vero bene dell’uomo, destinato e chiamato a vivere come figlio di Dio, in fraternità, in famiglia. Anchieta era, prima di tutto, uomo di Dio; e il segreto della sua così ampia ed efficace attività missionaria e di promozione umana era la sua fede. A somiglianza di Paolo apostolo, dimostrava di sapere in chi aveva posto la sua fiducia: “Scio cui credidi” (2 Tm 1, 12).

Fu lui, insieme a un pugno di fratelli, santi conosciuti soltanto da Dio, che tracciò la rotta della storia di una popolazione attiva, laboriosa e imprenditoriale, impregnata di spirito cristiano, che più tardi si addentrò all’interno dell’immenso territorio brasiliano, recando una mentalità e un tipo di costumi che incisero, certamente, sulla nazione che si stava plasmando, con la nota brasilianità. Di qualcosa mi sono reso conto, durante la visita pastorale al vostro Paese, quando ebbi la gioia di stare con la vostra gente, in San Paolo, Aparecida e San José dos Campos. Vivono nella mia nostalgica memoria queste giornate radiose.

3. Queste evocazioni e riferimenti al passato non mi distolgono affatto dal guardare al presente di una vasta regione, che è un campione molto esauriente del Brasile, con la luce e le ombre che lo caratterizzano. Ma la luce prevale, come ho potuto concludere dagli incontri personali con voi. Vi sono, nell’insieme, segnali che fanno del nostro tempo un’epoca storica meravigliosa, per quello che l’umanità ha già raggiunto e costruito; ma segnata anche da inquietudine, incertezza e sofferenza.

La scienza e la tecnica, assieme al lavoro e allo spirito di iniziativa, hanno disseminato il suolo paulista di fabbriche e centri industriali, facendovi affluire un grande numero di brasiliani, in cerca di lavoro e di giorni migliori. Sfortunatamente, tuttavia, la squallida cornice di gradi città, dove sorgono le “favelas”, crea contrasti troppo vivi nello scenario in cui l’uomo dovrebbe essere il protagonista della sua esistenza. A ciò si aggiungono fattori molteplici che, lungi dal favorire un tipo di vita autenticamente umana, la degradano sempre più. Molti, condannati a una situazione subumana, sono facilmente tentati di dirigersi per sentieri che non portano alla vita: violenza, erotismo, droga e materialismo pratico. E, lo sappiamo, un male non si vince con un altro male.

Cristo vi ha scelti e inviati, in questo momento storico, a predicare in mezzo a questo popolo le meraviglie del suo amore. La gente delle vostre diocesi vive le contraddizioni del nostro tempo, antiche e nuove, di male, che accompagnano il cammino del progresso.

4. Conoscere e comprendere la realtà meravigliosa e terribile che è l’uomo, nella sua condizione, captare la sua necessità profonda di amare e di essere amato e tener nella dovuta considerazione le sue aspirazioni legittime di giustizia, di pace e fraternità, sono cose indispensabili ai pastori d’anime. E sono certo che voi di questo vi preoccupate. Tuttavia il compito primario delle nostra paternità spirituale è annunziare e testimoniare Cristo, trasmettere e servire la fede in Dio, non per alienare, ma affinché ogni uomo possa trovare per la propria vita, con tutte le sue dimensioni, il senso ultimo, unificante e pacificatore.

Vi sarebbe molto da dire, cari fratelli, circa l’immensità dei problemi con incidenze pastorali di cui mi avete parlato, nel quadro della concentrazione industriale, dell’agricoltura in crisi, dei cambiamenti culturali profondi e dell’accumulo di veri drammi umani: disoccupazione, mancanza di abitazioni, famiglie senza focolare, giovani e bambini abbandonati per strada. E, all’interno della vita ecclesiale, problemi di invecchiamento e diradarsi dei sacerdoti, decadimento della pratica religiosa, avanzata delle sette, con lo sconforto e il dissenso di tanti cristiani, che perplessi si interrogano. E sono stati numerosi fra di voi coloro che mi hanno confidato le loro preoccupazioni circa i seminari.

Ciascuno di questi argomenti potrebbe essere oggetto di uno scambio di opinioni interessante tra noi o di un discorso appropriato. Ciò non è realizzabile. Ma non è certo inutile l’aver confidato al Papa e ai dicasteri romani le vostre preoccupazioni; anche se non daremo loro soluzioni immediate, essi le registreranno nella memoria dello spirito e del cuore, come problemi posti alla Chiesa dalla sua comune pastorale.

5. Vorrei che voi portaste via dalla vostra visita “ad limina” con la ravvivata coscienza della collegialità episcopale, che sostiene il vostro ministero pastorale e da esso deve essere sostenuta, qualcosa che potesse essere non novità, ma “messaggio” per il popolo di Dio: messaggio vitale. Questo è stato e continua ad essere per me motivo di supplica al Dio della pazienza e della consolazione, implorandolo che abbiate l’uno per l’altro i medesimi sentimenti, secondo lo spirito di Cristo, affinché in un solo cuore e con una sola voce, glorifichiate Iddio (cf. Rm 15, 5-6), in un partecipato “sentire cum Ecclesia”.

Mi piacerebbe aver il tempo di discutere con voi sul significato e la portata della realtà della comunione nella Chiesa, sulla falsariga di quanto ha fatto il recente Sinodo dei vescovi, in eco al Concilio a distanza di vent’anni. Ciò servirebbe al risplendere di quella ecclesiologia della comunione, che non può essere ridotta a mere questioni di organizzazione, o quelle che si riferiscono a semplici poteri, ma anche è il fondamento dell’ordine e dell’armonia nella Chiesa e, soprattutto, della corretta relazione tra la sua unità e pluralità (cf. Relatio finalis, C).

L’indiscutibile connessione della Chiesa stessa con Cristo, “che è sempre il medesimo, oggi, domani e per tutti i secoli” (cf. Eb 13, 8), e che non può mai essere dissociata dal mistero della sua croce e risurrezione, conferisce alla formula antica e sempre nuova del “sentire cum Ecclesia” la priorità assoluta nelle nostre programmazioni e attività pastorali. Corresponsabilità apostolica, comunione ecclesiale, conversione e riconciliazione permanente costituiscono i cardini su cui si fonda questo “sentire”.

E, non sarebbe necessario sottolinearlo, si tratta dell’unica Chiesa di Gesù Cristo, che nel Credo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, con la sua indole escatologica, luminosamente presentata nel numero otto e nel capitolo settimo della Lumen Gentium. Nonostante che fuori dal suo corpo si trovino elementi di verità e di santificazione, questa Chiesa, come società costituita e organizzata in questo mondo, sussiste nella Chiesa cattolica.

Il conosciuto canone 333 del Codice di diritto canonico, nel ricordare che il Romano Pontefice è sempre in comunione con i vescovi e con tutta la Chiesa nell’assolvimento del suo compito, ricorda anche il diritto che gli compete di determinare il modo di meglio assolverlo; e rende omaggio, nel canone seguente, alle persone e istituzioni che egli può incaricare, in forme diverse, “in suo nome e per sua autorità”, per svolgere incarichi “per il bene di tutta la Chiesa”.

6. Essere uno con la Chiesa vuol dire, amati fratelli, rallegrarsi con essa per tutto ciò che è vero, giusto e valido nelle istituzioni temporali al servizio dell’uomo; vedere con soddisfazione gli sforzi che mirano a promuovere i diritti e le libertà fondamentali della persona umana; divulgare con essa le riforme che abbiano come obiettivo una società più giusta; ispirare gli stessi responsabili del bene comune a intraprendere queste riforme, in accordo con i principi etici e cristiani. Ma esser uno con la Chiesa non si concilia col ridurre al socio-politico la propria missione. Esser uno con la Chiesa vuol dire sviluppare una pastorale specifica verso i poveri, assumendo l’impegno con l’opzione preferenziale non esclusiva, certo, ma prioritaria di annunziare loro il messaggio della piena liberazione: il messaggio della salvezza; e insieme ricordare ai poveri che essi sono vicini al regno di Dio, che non è loro permesso di ridursi in miseria, che devono fare tutto ciò che è lecito per superarla; dire a quelli che vivono nel benessere che usufruiscano del loro lavoro onesto e diligente senza chiudersi, ma pensando a coloro che hanno bisogno e sapendo dividere con loro. Fare tutto ciò con la finalità primaria di far sì che ciascun uomo incontri Cristo e con lui percorra i sentieri della vita, vuol dire far sì che Cristo nasca nei loro cuori, tramite l’azione dello Spirito Santo, per mezzo dell’evangelizzazione, annunzio della liberazione dal peccato e della comunione con Dio. In questo modo, esser uno con la Chiesa non si concilia con l’accettare le gravi deviazioni che alcune “teologie della liberazione” recano con sé.

7. La preoccupazione di “esser uno con la Chiesa” non cesserà, certo, di dipendere dalla generosità con la quale vi dedicate al vostro compito, nella sua triplice dimensione: annunziare il mistero della salvezza e vigilare sulla qualità della sua presentazione; presiedere alla preghiera del popolo di Dio e vigilare affinché i sacramenti siano celebrati come si deve; ed essere, infine, padri e pastori di tutti, come il Buon Pastore, con particolare attenzione ai più diretti collaboratori.

A questi, ai vostri amati sacerdoti vorrei riferirmi brevemente, poiché sono gli autentici educatori alla fede, incarico che esige molta chiarezza nell’“esser uno con la Chiesa”. Sulla grande importanza e urgenza da dare alla formazione permanente dei sacerdoti e dei candidati al sacerdozio, già mi sono intrattenuto con un altro gruppo di fratelli vescovi brasiliani. I membri del presbiterio e coloro che si preparano a integrarlo, devono verificare sempre le condizioni di “sale della terra” e “luce del mondo”. Per questo si legge nel Presbyterorum Ordinis (Presbyterorum Ordinis n. 3): “a causa della chiamata e dell’ordinazione, sono segregati, in un certo modo, dal seno del popolo di Dio, non per separarsi da questo popolo o da qualsiasi uomo, ma per consacrarsi totalmente all’opera per la quale il Signore li chiama”: a favore degli uomini, sì, ma nelle cose che riguardano Dio. Come suggerimento, nella Relatio finalis i Padri dell’ultimo Sinodo, in vista di una migliore applicazione del Concilio, si sono così espressi: “La formazione dei candidati al sacerdozio deve meritare la massima attenzione. In questa formazione si curi la formazione filosofica e il modo di insegnare la teologia proposto dal decreto Optatam Totius.

8. Un altro impegno che la situazione socio-culturale, come ho potuto ascoltare parlando con voi, indica come particolarmente urgente è quello della pastorale familiare. La famiglia è la cellula fondamentale della società, vivaio delle generazioni future e “chiesa domestica”. Le profonde e rapide trasformazioni che caratterizzano il nostro tempo e la vostra regione Paulista esigono dalla Chiesa una rinnovata sollecitudine in questo delicato settore della pastorale. Si impone il risveglio nelle coscienze della preoccupazione per le realtà spirituali ed eterne e il senso del primato dei valori morali, che sono i valori della persona umana in quanto tale (cf. Familiaris Consortio, 8). E per ovviare a potenziali forze disgregatrici dell’istituzione familiare, che il progresso moderno, con le sue risorse, pone nelle mani dell’uomo, è necessaria una continua evangelizzazione, tramite un’assidua e incisiva istruzione religiosa, catechesi, pratica sacramentale e preghiera.

Per fare tutto questo occorre far uso dei buoni uffici dei movimenti e organizzazioni ecclesiali per la spiritualità e l’apostolato delle famiglie. Per quanto mi risulta, quest’ultime hanno avuto una certa fioritura nelle vostre comunità e anche adesso sono lì all’opera, con buoni risultati. Che siano stimolate nel loro impegno nella salvaguardia e promozione dell’amore vissuto secondo Dio e nell’aiutare le famiglie ad essere fermento attivo per l’animazione cristiana dell’ambiente. La Chiesa, che trasmette l’insegnamento di Cristo, offre criteri sicuri affinché le coppie cristiane possano realizzarsi ed essere felici nella propria scelta di vita, nella fede all’ideale dell’amore comunione e ai doveri che impone loro la fecondità e l’educazione dei figli. Su questa linea, faccio appello alla predicazione, in particolare l’omelia, data la sua portata e funzione, “sempre attentamente preparata, sostanziosa e adattata e riservata ai ministri consacrati” (cf. Catechesi Tradendae, 48). E faccio appello anche alle scuole e mezzi di comunicazioni di massa: bisogna riunire tutti gli sforzi a favore di una moralità di base, che è stata la forza segreta del popolo brasiliano.

Miei amati fratelli. Non vorrei terminare questo gradito incontro senza andare in ispirito al santuario di Aparecida, ben noto e caro per l’influenza sulla vita cristiana del Brasile, soprattutto nelle vostre terre, che ad esso sono più vicine. Esso innalza il nostro pensiero a Maria santissima, la Madre di Gesù, che “brilla, come segnale di speranza sicura e di consolazione, agli occhi del popolo di Dio pellegrino” (Lumen Gentium, 68). Nel mistero del Cristo, ella ha un posto molto particolare: quello della donna, che accoglie giubilante l’amore di Dio e gli si consegna completamente; e quello della madre, che genera il Verbo Incarnato, accompagnando la sua crescita umana e la sua missione; e dilata poi la sua maternità a tutta la Chiesa. Ella costituisce un modello ideale di amore al Padre, di unione con Cristo e di obbedienza allo Spirito Santo, di servizio alla Chiesa e di carità verso tutti gli uomini. Così bisogna presentarla, venerarla e imitarla.

Che Nostra Signora di Aparecida aiuti le comunità diocesane affidate alle vostre cure di pastori e aiuti tutto l’amato popolo brasiliano. Che vi ispiri nel vostro appassionato ministero quotidiano e nella realtà della Chiesa-comunione. E che vi accompagni la certezza del mio affetto e della mia preghiera, perché Dio vi indichi la strada e renda efficace il vostro generoso lavoro pastorale.

Portate un saluto molto cordiale ai presbiteri, ai religiosi e alle religiose, ai laici impegnati nei ministeri o in compiti specifici di apostolato e a tutti i fedeli - bambini, giovani, adulti e anziani - delle vostre comunità, con un’ampia e affettuosa benedizione apostolica.

 

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